A proposito di INVALSI
di Renata Puleo

Nei giorni scorsi alcuni quotidiani italiani, La Repubblica, Il Corriere, I Fatto, hanno riportato con zelo inconsueto, rispetto all’interesse normalmente rivolto alla scuola primaria, le riflessioni dei responsabili dell’Istituto INVALSI sulle abilità e sulle conoscenze delle bambine e dei bambini che frequentano la scuola di base. Furio Colombo, rispondendo ad una lettera sconfortata di un insegnante, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, sottolineava come nelle considerazioni dell’Istituto si ventilasse l’ipotesi che la caduta della qualità formativa nella scuola elementare fosse dovuta alla presenza di troppi alunni stranieri. Il Governo incassa così, grazie all’INVALSI, un doppio successo: 1.la riforma della scuola elementare era necessaria, visto che viene dimostrato che non è la scuola di eccellenza rivendicata dalle opposizioni; 2. gli stranieri sono realmente una emergenza e sono giustificate le campagne di contenimento che, per la scuola di ogni ordine del Lazio, si concretizzano nelle ingiunzioni della Direzione Regionale a mantenere i tetti di iscrizione entro il 30% per cento (circolare del 3 febbraio 2010 prot 2220) . Il costoso carrozzone INVALSI rivela la sua vocazione censoria e per nulla orientata a comprendere la realtà della scuola italiana, la primaria soprattutto, le sue difficoltà oggettive, derivanti dal legame perverso fra il radicamento in territori degradati socialmente e la mancanza di risorse.
Ma vengo al merito della proposta dell’Istituto che quest’anno è volta a valutare gli apprendimenti di matematica e di lingua italiana in seconda e in quinta classe della primaria e di prima e terza classe della secondaria di primo grado, anche – precisa la circolare ministeriale di quest’anno ( 22 ottobre 2009 n 86) – alla luce della prova nazionale dell’esame di stato. Non pare che i redattori dei quesiti abbiano tenuto conto delle numerosissime critiche avanzate dal mondo della scuola e della ricerca universitaria, infatti il quadro concettuale è il medesimo degli anni scorsi, come si evince dalla lettura della circolare di riferimento. Pertanto, le riflessioni che come Collegio Docenti facemmo nel 2004/05 e servirono a giustificare il rifiuto alla somministrazione delle prove nella nostra scuola, rimangono in piedi. Ricordo solo le considerazioni più pregnanti: 1. la volontà di conoscere e di armonizzare il sistema fa difetto della nozione stessa di sistema- scuola: le sue caratteristiche a macchia di leopardo non hanno nulla della interazione reciproca e virtuosa fra le parti, della qualità emergente visibile ad un osservatore, che connotano qualsiasi sistema. La scuola è cresciuta in modo difforme, su un territorio nazionale segnato da profondissime differenze, con carriere professionali così diverse da compromettere ogni tentativo di curricula disciplinari lunghi; 2. le prove non tengono conto dei progetti di intervento reali, costruiti dai docenti sulla base dei continui aggiustamenti di contesto ( legati almeno a due aspetti: convinzioni personali ed epistemologiche degli insegnanti e abilità espresse dagli alunni in entrata e in itinere).
Tralascio i termini del dibattito su cosa significhi e cosa comporti valutare abilità e competenze e a quali rischi esponga ogni semplificazione del problema.
Appare davvero ipocrita chiedere ai docenti collaborazione per la buona riuscita dell’impresa (somministrazione, correzione, invio dati), millantandola come un’occasione per la riflessione e il confronto. Riflessione e confronto sui processi di valutazione sono stati esperiti molte volte, ma sono rimasti senza ascolto, soprattutto da parte del Ministro attualmente in carica. Dunque, l’INVALSI diventa, attraverso le prove standardizzate che anche quest’anno le scuole dovranno obbligatoriamente somministrare, un ulteriore strumento di attacco al lavoro degli insegnanti. Un lavoro – ripeto - molto diverso da quello a cui le prove fanno riferimento, un lavoro volto proprio a favorire i processi di integrazione attraverso i curricula sulla Lingua Materna (quella nazionale e quella degli Altri) e sulle discipline, messi continuamente in discussione proprio dal dialogo interculturale e dalla presenza efficacemente problematica dei soggetti diversamente abili (locuzione che appare oggi ancor più ipocrita).
Credo ci siano sufficienti motivi per giustificare un’iniziativa di rigetto di tutto il pacchetto INVALSI. Penso ad una sorta di obiezione di coscienza che contrasti gli effetti nefasti di una politica governativa che non fa che avvilire la scuola pubblica. Un’obiezione che faccia riferimento ai compiti e alla libertà - come ricerca responsabile di strategie - che la Costituzione assegna ai docenti.
So che c’è molta stanchezza, so che anche le scuole più combattive sono divise al loro interno e fra loro. Molti considerano le prove un male minore, altri ancora, presi dal senso di colpa che spesso avvilisce gli sconfitti, credono che le prove INVALSI serviranno davvero ad avviare un confronto che possa mettere a punto il loro lavoro con i bambini e i ragazzi.
E’ evidente che per fare un’azione di contrasto di questo tipo, servono requisiti che stanno scomparendo, anche in coloro che dovrebbero formare il pensiero critico: la visione politica d’insieme ( il quadro di valori anti-costituzionali che ispira le scelte del governo); la capacità di mobilitazione (non serve a nessuno che solo alcune scuole adottino l’obiezione); la capacità di produrre pensiero alternativo sulla valutazione e sui compiti della scuola di base; il coraggio di pagare i prezzi derivanti dalle proprie scelte. Forse, l’INVALSI è solo un pretesto per riflettere davvero sull’arte politica di non farsi eccessivamente governare.