Atti - Genova 2004

 

 

A proposito dello stato giuridico degli insegnanti
Ugo Gabaldi, Cobas Scuola Genova

Non molti sanno che nel giugno 2003 sono state depositate ben due proposte di legge sulla riforma dello stato giuridico degli insegnanti. Si tratta della proposta di legge n. 4091 del 19/06/03 d’iniziativa dei deputati Santulli, Aracu, Bianchi, Clerici, Carlucci (sic! Sì, proprio lei!), Galvagno, Garagnani (il forzista bolognese già distintosi con l’idea del famoso telefono per denunciare i docenti politicizzati), Licastro Scardino, Orsini, Pacini, Palmieri, Ranieli e della proposta n. 4095 del 23/06/03, d’iniziativa del deputato nazional-alleato Angela Napoli, sottosegretario all’ Istruzione. Quali equilibri parlamentari e/o interni alla maggioranza abbiano portato alla necessità di presentare due proposte identiche nei contenuti e financo nella forma non è dato sapere.

Perché si tratta di due leggi (una in realtà) estremamente pericolose per la scuola pubblica italiana? Principalmente perché sono perfettamente funzionali alla riforma Moratti e al suo progetto di aziendalizzazione e distruzione della scuola pubblica. Sembra eccessivo? Forse lo è, ma lo sembra molto di meno dopo aver letto i testi in questione.

Per comodità di discorso e analisi e prescindendo per ora dai singoli articoli, si farà riferimento al testo presentato dal deputato Angela Napoli, che è sostanzialmente identico all’altro e la cui parte più interessante è quella introduttiva che spiega perché sia necessario giungere ad una radicale riforma dello stato giuridico degli insegnanti.

La prima spiegazione è che tale cambiamento è richiesto dal sistema dell’autonomia scolastica che "esige un profondo ripensamento e riorientamento in termini culturali, professionali, valoriali e organizzativi del modo di intendere l’esercizio della funzione sia docente che dirigente" dato che finora "la difficoltà di sviluppo dell’autonomia e del decentramento delle competenze alle scuole dipende in gran parte dal blocco della formazione dell’insegnante e dal mancato sviluppo e aggiornamento della professionalità e delle competenze del docente".

La seconda cerca addirittura di fare passare una tesi paradossale per cui la contrattazione e le libertà sindacali hanno "imprigionato" i docenti rendendoli una massa di "proletari" e non dei professionisti dotati di autonomia e responsabilità. Si legge infatti:" Finora il parlamento si è occupato dell’insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato. A partire dagli anni ’80, ad esso sono state assicurate, come per gli altri (ma non per i professori universitari), la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua <dipendenza> piuttosto che la sua autonomia e la sua responsabilità professionali. Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un <insegnante professionista> capace di vera responsabilità per i risultati? Sembra di no, a giudicare dallo stato di frustrazione e disagio che gli insegnanti continuano a manifestare." Più avanti si insiste ancora:"Il processo di <proletarizzazione> dei docenti (favorito dal numero decisamente impressionante), da timore e <profezia> teorizzata negli anni settanta, ha avuto la sua realizzazione nel contesto della contrattualizzazione vasta e penetrante, che ha inciso anche sull’immagine sociale, sulla percezione di sé e sugli stessi comportamenti quotidiani dei docenti".

Come si vede non si fa menzione del malessere e disagio generato dagli stipendi troppo bassi, dal potere dei Dirigenti, dalle classi troppo numerose, dall’edilizia fatiscente, dalla mancanza di risorse, dai contratti e dalle leggi su cui i docenti non sono mai interpellati. Per tacere, poi, della ennesima riproposizione della bufala del numero "impressionante" dei docenti, numero che andrebbe interpretato incrociando questo dato generale con il tipo di servizio e di tempo scuola che il sistema pubblico italiano offre.

Si continua, in seguito, a solleticare il peggiore riflesso corporativo della categoria insegnante, là dove si dice che "l’insegnante –caso unico nel pubblico impiego – si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola, compresi gli ausiliari. Tale anomalia ha avuto come conseguenza quella <mostruosità> organizzativa costituita dall’istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni scuola, dove l’insegnante può essere rappresentato da operatori e lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione."

Sempre in tema di attacco alle RSU ( sulla cui funzione e utilità il dibattito è stato acceso all’interno dei Cobas) si dice anche che "resta la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto rigurda il personale) dato che il consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia – a differenza di altri paesi europei e industrializzati – non ha il potere di assumere o licenziare il personale, ma è del tutto dipendente dalle norme amministrative per quanto riguarda alla gestione del bilancio, dell’organico e di ogni altra materia attinente al governo del personale…", e per fortuna viene subito da aggiungere. Il punto di arrivo, da tanti anni cavallo di battaglia di Confindustria, è quello della chiamata diretta da parte dei Dirigenti, in pratica la sostituzione di norme certe e uguali per tutti, di graduatorie e quant’altro con un rapporto "feudale", di "fedeltà" personale e di allineamento totale, con tanti saluti alla libertà di insegnamento.

Dopo questa parte esplicativa si passa a quella propositiva i cui punti salienti sono:

Scendendo più nel dettaglio, analizziamo i singoli articoli che compongono la proposta di legge.

Art. 1 (Funzione docente)

Al comma 2 si legge: "La Repubblica riconosce e valorizza la professione dell’insegnate, ne promuove l’immagine e il prestigio e ne garantisce la qualità attraverso un efficace sistema di reclutamento, la formazione iniziale e continua, la carriera e la retribuzione per merito".

A parte la promozione dell’immagine e del prestigio degli insegnanti, che sono sotto gli ochhi di tutti da decenni, il punto centrale è quello dell’introduzione della retribuzione per merito, ovvero di una ulteriore e massiccia gerarchizzazione all’interno del corpo docente, i cui criteri dovrebbero essere definiti dagli organismi tecnici rappresentativi, uno nazionale e uno regionale, istituiti con l’art. 4.

Art. 2 (Principi e criteri dello statuto degli insegnanti)

Alla lettera e) si parla espressamente di "articolazione della funzione docente in specifiche funzioni di docente tirocinante, docente ordinario e docente esperto. In particolare, il docente esperto ha responsabilità in relazione ad attività di formazione iniziale e di aggiornamento permanente dei docenti, di coordinamento di dipartimenti o di gruppi di insegnanti, di collaborazione e di temporanea sostituzione del dirigente scolastico. Alla funzione di esperto si accede mediante concorso volto a verificare il possesso dei requisiti professionali individuati sulla base di ben precisi standard".

Viene riproposto, in pratica, il famoso "concorsone contro cui la classe docente si era massicciamente mobilitata ai tempi del ministro Berlinguer. Del resto non c’è da sorprendersi più di tanto dato che l’ultimo CCNL, siglato dai sindacati confederali, dice all’art. 22 (Intenti comuni):"Le parti stabiliscono di costituire … una commissione di studio tra ARAN,MIUR e OO.SS. firmatarie del presente CCNL che … elabori le soluzioni possibili per istituire già nel prossimo biennio contrattuale meccanismi di carriera professionale per i docenti".

In questo caso si può veramente parlare di pensiero bipartisan: tutti, governo e sindacati confederali (questi ultimi recidivi, dopo la vergognosa marcia indietro che hanno dovuto fare già una volta), vogliono ulteriormente frammentare e dividere e gerarchizzare la categoria, creando la figura del docente esperto. Tra l’altro le uniche notizie che si hanno sui lavori di questa commissione di studio si hanno da una sintetica e generica nota delle segreterie confederali, in data 22 aprile 2004, in cui si dice che dopo cinque mesi si sono conclusi i lavori della commissione e si rimanda ad una convocazione plenaria della commissione che dovrà dare il proprio parere nel merito del testo elaborato. Che cosa contenga tale testo non è specificato e si parla, molto genericamente, di figure di sistema, di accorciamento del periodo necessario per il massimo della carriera, di valutazione dei docenti, di situazioni professionali diverse all’interno della categoria (ad es. docenti a fine carriera e docenti neoassunti).

Alla lettera h) , sempre dell’art. 2 si parla di "valutazione e verifica delle prestazioni di ogni titolare della funzione docente ai fini della progressione economica e di carriera", cioè di una valutazione, fatta in base a criteri ancora tutti da stabilire, da parte degli organismi tecnici rappresentativi istituiti con l’art. 4. Ecco, con ogtni probabilità, quello a cui servivano e serviranno i cosidetti PROGETTI PILOTA dell’ Invalsi che sono stati, più o meno supinamente e consciamente, accettati da molti collegi docenti.

La lettera i) dispone "l’istituzione di un albo nazionale dei docenti del sistema nazionale di istruzione, suddiviso in sezioni regionali" che sembra essere l’inevitabile preludio dell’attribuzione ai Dirigenti scolastici della facoltà di nominare direttamente i docenti.

Gli artt. 4 – 5 istituiscono, come già detto, gli organismi tecnici rappresentativi nazionale e regionali che dovranno tenere l’albo nazionale e regionale dei docenti e stabilire gli standards formativi e professionali dei docenti.

Gli artt. 6-7 stabiliscono un area di contrattazione autonoma per gli insegnanti e che "la rappresentanza sindacale unitaria è costituita a livello regionale" e che vengano soppresse le rappresentanze sindacali unitarie di Istituto.

Se è vero che le RSU di Istituto hanno avuto e continuano ad avere un ruolo tutto sommato marginale, essendo la contrattazione molto limitata, è anche però vero che in molte realtà hanno rappresentato e rappresentano un, sia pur minimo e sbrindellato, contropotere nei confronti dei Dirigenti ed un punto di riferimento per i colleghi ( e su questo argomento la discussione all’interno dei Cobas è stata anche accesa). Abolirle per istituirle su scala unicamente regionale sembra, comunque, un passo indietro: pur avendo criticato, fin dai tempi della loro istituzione con Berlinguer, la scelta delle RSU di Istituto (favorevole solo ai grandi sindacati con grandi mezzi a disposizione) e la mancanza di RSU a livello provinciale, il problema della democrazia sindacale non si risolve demamdando il tutto ad un livello di contrattazione regionale inevitabilmente troppo lontano dalle reali necessità del territorio.

Come si deduce anche solo da questa sommaria analisi, il progetto governativo (che conta sull’appoggio/complicità delle forze sindacali "rappresentative", è estremamente pericoloso. Nei prossimi mesi, dopo le elezioni e l’estate, bisognerà stare molto attenti ed essere pronti a mobilitarsi contro questo progetto.

(Ugo Gabaldi, Cobas Scuola Genova)