GATS è il nome dell’accordo, interno alla WTO
(World Trade Organization, in italiano Organizzazione Mondiale del Commercio)
e attualmente in corso di trattativa, che si occupa del commercio per i beni
e i servizi. Per capire come un accordo commerciale tra stati possa riguardare
la scuola, è prima di tutto utile capire qualcosa riguardo al funzionamento
di questo accordo,
I servizi liberalizzabili sul mercato mondiale sono raccolti attraverso quattro
modalità: [1] fornitura oltre i confini (l’azienda fornisce il
servizio nel territorio di un altro paese); [2] consumo oltre il confine; [3]
presenza commerciale, che include filiali, infrastrutture controllate e fornite
dall’azienda, e, in pratica, gli investimenti; [4] spostamento di persone,
quindi trasferimento i dipendenti o personale qualificato. Questa vastissima
definizione di servizio commerciabile su base trans-nazionale comprende circa
160 servizi, tra i quali rientra anche l’istruzione, intesa come formazione
primaria,; formazione secondaria, formazione superiore , formazione para-universitaria
e universitaria; l’istruzione per adulti (destinata a intersecare sempre
di più la formazione indirizzata ad adolescenti, nella cornice culturale
del Longlife Learning, la formazione continua).
L’istruzione, come servizio, appare facilmente commercializzabile secondo
tutte le modalità previste: può essere erogata oltre il confine
grazie alle nuove tecnologie telematiche, mentre il consumo all’estero
e lo spostamento dei dipendenti sono già una realtà consistente.
Anche la modalità III potrà in futuro essere estesa alla formazione:
basterà che un’università privata, o un centro specializzato
in servizi educativi stabilisca delle filiali all’estero. Sono dunque
nel mirino le cosiddette barriere alla concorrenza: i limiti nell’equiparazione
dei titoli di studio, i limiti alla mobilità di studenti, insegnanti
e altre figure professionali, ma anche le norme statali che “discriminano
” l’offerta di altri stati, per esempio finanziando la propria istruzione
pubblica. Tali norme, infatti, sono in contrasto con alcuni dei principi più
importanti della legislazione WTO:
- Il principio della nazione più favorita, che stabilisce che le concessioni
applicate da un paese membro a un altro vengano automaticamente estese a tutti
gli altri, impedendo il formarsi di rapporti commerciali privilegiati.
- Il principio del trattamento nazionale stabilisce che non vi possano essere
discriminazioni a favore delle propria industria o fornitura nazionale: se il
settore è liberalizzato, l’azienda di Stato deve competere con
i fornitori provati esteri, in ogni caso.
Dietro a questo assalto commerciale alla scuola, che da diritto diventa oggi
servizio commerciabile, è possibile risalire ad alcuni dati. In primo
luogo a un sostegno pubblico decrescente, che rischia di trasformare in realtà
la tanto sbandierata immagine di una scuola pubblica allo sfascio e che di fatto
apre la porta a un massiccio intervento di privati; in secondo luogo un’idea
di istruzione che punta sempre di più sull’acquisizione di competenze
utili non allo sviluppo globale della persona, ma al suo inserimento nel mercato
del lavoro. Già oggi, anche tra le righe delle critiche impugnate contro
la scuola dai fautori di un suo svecchiamento in senso commerciale, si intravedono
le direzioni di quella che dovrà essere la scuola del futuro: la riduzione
del sapere a insieme di competenze spendibili sul mondo del lavoro, la preminenza
dell’istruzione tecnica e specialistica su una formazione globale e ampia
dell’individuo e la settorializzazione imposta fino dai primi anni di
istruzione.
I segni di queste trasformazioni sono visibili già nelle politiche scolastiche
italiane e comunitarie degli ultimi dieci anni, anche se, rispetto al presente,
l’applicazione del GATS rappresenterà uno scarto in avanti: la
vendita di curricoli a livello internazionale comporterà una standardizzazione
ancora più efficace ed avanzata , realizzabile grazie al massiccio uso
di tecnologie audiovisive e informatiche e di verifiche interne il più
oggettive possibile.
I risultati saranno commerciali e ideologici: guadagno per le poche firme specializzate
in educazione, formazione di dirigenti o tecnici specializzati, già addestrati
a svolgere le mansioni richieste; aumento della competitività e dell’incidenza
del momento della verifiche nel tempo scolastico; l’aumento dei costi
per gli studenti e le loro famiglie, e la trasformazione della scuola di qualità
in un lusso pagabile solo da pochi; riduzione dell’insegnamento a un addestramento,
in cui anche la capacità di dare un senso e un’interpretazione
critica delle cose diviene uno “skill”, verificabile oggettivamente,
attuabile attraverso una procedura e certificabile.
Restano da determinare le ricadute dei diversi tipi di liberalizzazione del
mercato della scuola: l’aumento degli scambio di ricercatori e di insegnanti
oltre le frontiere potrebbe non avere le stesse ricadute di un’apertura
indiscriminata a ogni forma di investimento, con la creazione di pochi poli
specializzati in formazione e educazione che proporrebbero pezzi di programma
commerciabili e standardizzati uniformando totalmente a l processo di apprendimento.Tuttavia
gli andamenti espansivi di questi accordi e il prevalere della logica della
libera concorrenza lasciano vedere l’apertura del settore come un rischio
enorme: le giuste speranze in una nuova istruzione, più vicina alle nuove
esigenze generate dai nuovi saperi, dalla globalizzazione e dagli scambi tra
culture non vanno certo riposte nel WTO.
Vedi anche: aziendalizzazione della scuola, mercificazione dell'educazione