LIBRI DI TESTO
da luoghi di incontro a tema di scontro
Mirco Pieralisi, insegnante di scuola elementare (Bologna)
Lo scontro di fine anno tra lo staff ministeriale e il movimento
delle scuole sulla questione dei libri di testo contiene in sé qualcosa
di paradossale, al di là dei suoi esiti sicuramente non favorevoli al
tentativo di porre un tassello di irreversibilità sulla riforma. Il paradosso
consiste nel fatto che il ministero, in piena sintonia per altro con le esigenze
di mercato dei grandi gruppi editoriali, ha scelto di “stringere”
e di richiamare all’ordine docenti di tutta Italia su un punto dove si
concentrano contraddizioni, ricchezze e complessità dell’insegnamento.
Spiegando che gli unici libri buoni erano quelli che si adeguavano alle indicazioni
nazionali, il ministero ha ottenuto di spingere alla disobbedienza un po’
tutte e tutti: le insegnanti motivate o quelle un po’ pigre, i fautori
dell’adozione alternativa o i sostenitori di un uso alternativo dei testi
tradizionali, le persone quasi rassegnate a subire la riforma o quelle alla
ricerca di ogni terreno possibile di scontro.
In realtà, loro malgrado, i funzionari ed esperti del ministero ci hanno
ricordato non l’importanza dei “libri di testo”, ma l’importanza
dei libri, dei testi, dei racconti, delle parole. Tutti i libri, tutti i modi
possibili di farli vivere e di scambiare le parole con altre che escono da altri
libri, da altri media da altre bocche, da vissuti ed esperienze.
Giustamente, nel fuoco della lotta contro i “testi di stato”, le
direttive ministeriale sono state contrastate anche sul piano formale, opponendo
ad esse i regolamenti e le leggi che si riferiscono all’autonomia scolastica
(Dpr 275), ma la vera sostanza del problema sta altrove e chiama in causa la
funzione stessa dell’insegnamento, e con essa i luoghi, i tempi e i modi
della comunicazione che avviene nella comunità scolastica. Stiamo parlando
cioè di un’altra ben più corposa e tutt’altro che
burocratica forma di autonomia: stiamo parlando di autonomia dell’insegnamento,
che è possibilità di scelta, di valorizzazione di esperienze,
di sperimentazione di opportunità educative. Nella relazione educativa
i libri, sono strumenti, occasioni di apprendimento che vanno rapportate alla
situazione concreta in cui si lavora. Quello che determina il buon funzionamento
di un testo (istituzionale o poetico che sia) è la “lettura”
che ne viene fatta in classe, non solo quello che c’è scritto né
la quantità di libri messi a disposizione. D’accordo, fa bene Dante
a ricordarci che il libro “galeotto” parlava di cavalieri, armi
ed amori, ma niente mi toglie dalla testa che Paolo e Francesca si sarebbero
inguaiati anche compitando una pagina di Tommaso D’Aquino…
Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito sia al diffondersi di adozioni
alternative (nella formula più comune delle biblioteche di classe), sia
ad un tentativo da parte di una serie di gruppi editoriali di “dialogare”
con le motivazioni letterarie e pedagogiche che stavano a monte del rifiuto
dei vecchi libri di testo, il che aveva portato ad un miglioramento complessivo
della stessa offerta istituzionale.
In questo contesto abbiamo visto docenti delle scuole elementari scegliere un
unico testo letterario, sfondo di un percorso di apprendimento della lingua,
altre/i organizzare biblioteche di classe, altre/i invece puntare su un uso
strumentale del testo istituzionale come momento di verifica o di raccordo con
altri materiali ed esperienze (proprie monografie o letture, rapporto con biblioteche
di quartiere o di scuola etc). La stessa insegnante a volte, a seconda della
composizione socio culturale della classe può avere fatto scelte diverse
nell’arco della sua esperienza.
In questo indimenticabile anno il ministero ha cercato di uniformare le scelte
didattiche alle indicazioni nazionali, per altro senza averne la legittimità.
Ha tentato di richiamare chi insegna all’obbedienza, indicando i testi
che soli si conformavano alla “nuova”scuola. A quel punto poca importanza
aveva il contenuto di queste pubblicazioni (in alcuni casi non molto dissimili
dalle edizioni precedenti). Nel rifiuto dei testi riformati si è espressa
certamente la volontà continuare la lotta contro la riforma, ma anche,
e questo è un messaggio anche per il futuro, la difesa dell’autonomia
didattica e della centralità della relazione educativa, tutt’altro
che uniformabile e certamente non governabile da prescrizioni e pagine numerate.
Vedi anche: discussione, occupare la scuola, valutazione (didattica)