PACE (cultura di)
Enzo Mazzi, ex insegnante elementare, Firenze

Al punto in cui siamo occorre un colpo d’ala. Il folle riproporsi della guerra, guerra militare e guerra economica, a livelli sempre più orridamente distruttivi impone di ripensare in profondità tutti gli aspetti della convivenza umana: economia, politica, religioni, culture, relazioni. E’ qui la novità del nuovo pacifismo animato dai Forum sociali. Come la guerra non è solo un evento tragico ma è una cultura, è un sistema, ed oggi è il frutto compiuto del globalismo liberista, così anche la pace non può più essere semplice assenza di guerra ma deve essere il frutto di una cultura nuova, la cultura del globalismo sociale. La pace si presenta sempre più come un processo rivoluzionario capace di modificare in profondità tutti gli assetti sociali. Ognuno è chiamato a fare la sua parte per immaginare e costruire un “mondo nuovo possibile” negli snodi piccoli o grandi del “mondo vecchio” in cui vive e opera.
Anche la scuola è investita da un tale processo. La scuola va ripensata nel suo insieme. Non sono affatto cose nuove queste. Tanti operatori della scuola e più in generale del sistema educativo sono da tempo convinti della necessità di un tate ripensamento complessivo. E tanti sono gli insegnanti e i genitori che da anni sperimentano strade nuove adeguate al processo di transizione dalla cultura di guerra alla cultura di pace. Non è nato proprio da lì il Tempo Pieno?
Si può fare qualche cosa di più? Possiamo continuare a fare scuola come se nulla stesse succedendo? Aggiungendo magari qualche residuo per attività aggiuntive sul tema buonista della pace? Può essere meritorio il tentativo di “aggiungere” ai programmi il settore specifico dedicato alla educazione alla pace. Ma è anche pericoloso. Ostacola l’affermarsi della consapevolezza della pace come cultura globale e come valore di fondo che deve animare e trasformare tutti i campi della conoscenza e della razionalità.
Credo che qualcosa di nuovo possiamo fare. Ad esempio, ma è solo uno spunto tratto dall’esperienza, creare finalmente gruppi di ricerca e di coordinamento territoriale delle sperimentazioni didattiche. Le sperimentazioni, che sono l’anima della trasformazione, soffrono di isolamento e di frammentazione. Il centralismo burocratico impone anche nella scuola la cultura del rapporto “radiale” e impedisce il rapporto circolare. Le relazioni sono sempre mediate dal centro in forma più o meno palese e cosciente. Anche le sperimentazioni ne risentono. Sono ridotte a cisti o al massimo ad isole felici. La conclamata autonomia scolastica sembra attenuare tale centralismo. E forse in qualche caso avviene. In realtà strutturalmente lo aggrava. Rende più incombente il centro-mediatore delle relazioni intronizzando il dirigente-manager, isola una scuola dall’altra, enfatizza la competizione, crea ghetti di scuole poco competitive per classi “inferiori”, trasforma il sistema scolastico in un supermercato dell’offerta formativa e gli studenti in passivi e annoiati consumatori del sapere. Qui sta io credo una radice profonda che rende la scuola incapace di opporsi alla cultura di guerra e di educare a una nuova cultura di pace.
Tanto che gli insegnanti risultano di gran lunga più soggetti degli altri lavoratori a patologie psichiatriche. L’accumulo di stress, la sindrome del burnout (lo scoppiato) come la chiamano i ricercatori di una recente indagine, sembra che in gran parte derivi proprio dall’isolamento, dalla competizione, dall’individualismo, dall’incapacità di confrontarsi e di collaborare. E’ generatore di nevrosi il rapporto conflittuale fra l’etica formativa essenzialmente sociale ispirata dal valore della gratuità-condivisione e l’etica mercantile della guerra di tutti contro tutti che erode come un cancro ogni altro valore.
E allora l’impegno dovrà essere rivolto a svelare i tentacoli della piovra in noi, anche come educatori, e nelle strutture educative. Dovremo impiegare energie per liberare le relazioni dal cancro del “danaro” e dal suo più stretto alleato, l’individualismo narcisista che misura se stesso e l’ “altro” attraverso lo specchio della propria autosufficiente onnipotenza. Sarà necessario porre fra le priorità il compito di rigenerare relazioni vitali fra insegnanti, studenti, genitori, territorio. Cosa di meglio che creare reti autogestite di confronto, di socializzazione e di cooperazione fra esperienze?
Ancora una volta, non si scopre niente di nuovo. Ma si trae forza dal senso di vertigine di fronte al baratro orrido, direi quasi apocalittico, in cui la violenza del liberismo mercantile ci sta spingendo, per dare una forza nuova e un’inedita urgenza a cose già sperimentate o anche solo intraviste.

Vedi anche: autonomia, relazione, tempo pieno.