RSU
Ferdinando Alliata, docente di storia dell'arte, L.A.S. "Damiani Almeyda", Palermo

Le Rappresentanze Sindacali Unitarie nascono per regolare l’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
La partecipazione dei lavoratori alle decisioni relative all’organizzazione del proprio lavoro (quella che con brutto neologismo giuslavoristico è chiamata procedimentalizzazione [1]) ha in Italia una lunga tradizione, consolidatasi nello Statuto dei lavoratori (L. 300/70).
Strumento inizialmente presente solo nel mondo del lavoro privato, dai primi anni ’90, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, la procedimentalizzazione trova applicazione anche nelle pubbliche amministrazioni, nelle quali il dirigente, che ormai agisce “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art. 5 DLgs 165/2001), “nell’attività organizzativa minore e in quella di gestione del personale non adotta più atti amministrativi, ma pone in essere atti negoziali di natura privatistica” (Gino Giugni, Diritto Sindacale, 2002).
Per individuare la rappresentanza dei lavoratori in questa negoziazione, e puntando ad una relativa omogeneizzazione tra lavoro pubblico e privato, viene estesa la L. 300 a tutta la pubblica amministrazione e prevista la costituzione di nuove rappresentanze elettive dei dipendenti nei luoghi di lavoro, le Rsu appunto, che subentrano alle vecchie Rappresentanze sindacali aziendali – Rsa (non elettive) previste dall’art. 19 dello Statuto.
Ma alla finalità specifica delle elezioni delle Rsu – eleggere rappresentanti dei lavoratori nei luoghi di lavoro – è forzatamente sovrapposta una finalità spuria: concorrere a determinare la “maggiore rappresentatività sindacale” a livello nazionale (DLgs 396/97).
Il 7 agosto 1998 è definito l’Accordo per la costituzione delle Rsu nella pubblica amministrazione e il relativo Regolamento elettorale. Un Regolamento antidemocratico, disegnato per consolidare il monopolio sindacale in atto, che mette al riparo da risultati negativi chi gode di una rendita di posizione poiché, essendo già titolare di tutti i diritti sindacali, dall’assemblea all’affissione, può cercare più facilmente candidati e può fare propaganda alle proprie liste, mentre chi non ha questi diritti rischia di non poterli mai acquisire. Un’elezione, inoltre, che concorre a misurare la rappresentatività nazionale sommando i voti ottenuti su liste presentate nelle singole amministrazioni con candidati appartenenti ai singoli luoghi di lavoro, piuttosto che su una lista nazionale come sarebbe logico, quindi: niente lista nell’amministrazione di appartenenza – niente voti per il comparto nazionale. L’ambiguità di questa procedura che lega la rappresentatività nazionale a elezioni di livello molto diverso (la singola azienda, la singola amministrazione, la singola scuola) è spesso sottovalutata, o volutamente sottaciuta, nonostante sia proprio il riconoscimento della “maggiore rappresentatività” il risultato più rilevante di tutta l’operazione elettorale: così si decide chi acquisisce tutti i diritti sindacali e chi partecipa alla contrattazione nazionale di comparto.
Le grottesche vicende delle elezioni Rsu nella scuola
Le elezioni, indette a livello provinciale per dicembre 1998 come per il resto del pubblico impiego, sono sospese poche ore prima della scadenza per la presentazione delle liste, con “un atto d'imperio” (così lo giudicherà il Pretore del Lavoro di Roma), dal ministro Bassanini. Nel gennaio 1999 il Governo emana un Decreto legge (poi convertito nella L. 69/99) che rinvia le elezioni al dicembre 2000. Nel frattempo viene individuata come sede di elezione non più il Provveditorato, ma addirittura ognuna delle quasi 11.000 scuole: bisogna presentare diverse migliaia di liste per poter sperare in un risultato nazionale soddisfacente. Un voto polverizzato che favorisce ancor di più chi già gode di una posizione di privilegio: come se i partiti alle elezioni politiche nazionali potessero ottenere voti in un determinato caseggiato solo se in esso riuscissero a presentare candidati.
Ulteriore conseguenza di questa frammentazione è l’esiguità del numero degli eletti: in genere tre, in qualche caso sei.
Senza contare che nelle scuole ci sono già organismi che hanno la competenza e la responsabilità per definire importanti questioni di organizzazione del lavoro: gli Organi collegiali. Tanto è vero che fin da subito emerge il problema del “riparto” delle competenze tra Rsu (il cui ruolo viene ampliato contratto dopo contratto), Collegio dei docenti e Consiglio di circolo o d’istituto, in attesa di un’ulteriore riforma che ridimensioni il ruolo di questi ultimi.
Compiti e funzioni delle Rsu
L’art. 5 dell’Accordo Collettivo Quadro del 7/8/1998 individua i compiti e le funzioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie:
- la titolarità dei poteri riguardanti l’esercizio delle Relazioni sindacali: l’informazione preventiva e successiva, ma soprattutto la contrattazione integrativa;
- la titolarità dei diritti sindacali: permessi, indizione dell’assemblea dei lavoratori, uso dei locali, affissione.
Per quanto riguarda la contrattazione, precisa sempre l’Accordo, la delegazione di parte sindacale è integrata “dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del relativo Ccnl” che nella scuola attualmente sono quattro a fronte – normalmente - di soli tre eletti nelle Rsu. Così al momento della trattativa le Rsu, soverchiate dalla presenza dei rappresentanti delle OOSS firmatarie di contratto, rischiano di perdere la loro piena legittimazione negoziale a livello di scuola. Una titolarità che discende direttamente dal consenso ricevuto dai lavoratori che saranno soggetti agli accordi d’istituto, e che viene riconosciuta dall’art. 43 del DLgs 165/2001. Inoltre, se ai sindacati esterni fosse riconosciuto un ruolo negoziale uguale a quello delle Rsu, si metterebbe in discussione lo stesso principio di rappresentatività proporzionale delle organizzazioni dei lavoratori espresso dall’art. 39 della Costituzione, non è detto, infatti, che i “firmatari” siano rappresentativi a livello di scuola e comunque non sembra neanche molto “democratico” che possano duplicare il loro peso contrattuale. L’unica funzione possibile per le organizzazioni sindacali firmatarie rimane quella cosiddetta tutoria nella formazione di un accordo integrativo coerente col Ccnl.
Anche per quanto riguarda i diritti, in questi ultimi anni, contratti e interpretazioni varie sono arrivate a capovolgere un caposaldo del diritto comune secondo il quale “ciò che non è vietato è consentito”, in “è vietato ciò che non è previsto”, come se le relazioni sindacali dovessero soggiacere ai principi caratteristici del funzionamento della pubblica amministrazione. Abbiamo così assistito al tentativo di limitare al massimo l’agibilità sindacale del singolo eletto imponendo una lettura illegittima – almeno così l’hanno ritenuta diversi giudici – e antidemocratica dell’art. 8 dell’Accordo che recita: “Le decisioni relative all’attività della RSU sono assunte a maggioranza dei componenti”, come se convocare un’assemblea o affiggere un volantino non fossero diritti degli eletti, ma “decisioni relative all’attività”.
Stretti tra questi vincoli che ruolo possono assolvere allora le Rsu?
Le relazioni sindacali in Italia hanno preso una deriva concertativa, di gestione dell’esistente, che rischia di trascinarsi dietro anche la buona volontà di tanti eletti che si trovano a fare i conti con una contrattazione segregata scuola per scuola, un tassello fondamentale nel percorso di “autonomia e aziendalizzazione” della scuola, che mette in seria difficoltà il funzionamento degli organi collegiali. Una frammentazione della scuola pubblica, che produce divisione anche all’interno di ogni singolo istituto mettendo in confitto docenti e Ata con l'uso ricattatorio/spartitorio dei soldi del fondo d'Istituto, che rappresenta la principale materia della trattativa d’istituto. Un salario aggiuntivo, ulteriore cascame di quella sedicente "autonomia scolastica" che tende a trasformare le scuole in supermarket e vincola docenti ed Ata ad una logica aziendale/pubblicitaria, in cui proliferano i più svariati "progetti", che rischia di svilire la qualità e l'unitarietà dell'istruzione e dello stesso ruolo educativo della scuola.
Le Rsu potrebbero essere invece uno strumento di resistenza, di conflitto e di contrattacco nei confronti della scuola-azienda, favorendo la più ampia partecipazione dei lavoratori. Partendo dalle condizioni materiali nei luoghi di lavoro, potrebbero concorrere a ricostruire concretamente un contesto di valori e principi di solidarietà e uguaglianza che, nella democrazia diretta, nella partecipazione collettiva, nel rifiuto della delega, individua una generale proposta di trasformazione della realtà che si contrappone alle gerarchie e alla competitività sulle quali si fonda l’attuale società. Nelle scuole, l’azione delle Rsu potrebbe favorire lo sviluppo di condizioni di confronto e circolazione delle esperienze, affinchè la situazione lavorativa venga sottoposta alla critica e sia quindi data come una condizione trasformabile dai lavoratori e dalle loro lotte, per approfondire la conoscenza dello sfruttamento che subiamo, e delle connessioni che esso ha con le più generali politiche economiche: a partire proprio dal quel modello di sviluppo neoliberista del mondo, che vorrebbero farci credere o imporci come l’unico possibile. Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nell’elaborazione delle piattaforme contrattuali e nelle scelte conseguenti, potrebbe definire un modo nuovo di agire nei conflitti di lavoro di cui c’è urgente bisogno: a partire dal basso e ponendo l’autonomia dei bisogni e delle attese dei lavoratori al centro delle lotte. Un percorso che è possibile cominciare anche da scelte minime: non concludere alcuna trattativa senza aver prima indetto e svolto un’assemblea di scuola; realizzare un’organizzazione del lavoro condivisa e trasparente; rifiutare qualsiasi trattativa in merito a tematiche e argomenti che siano di competenza degli Organi collegiali della scuola.
Naturalmente per poter assolvere a tale ruolo le Rsu dovrebbero avere il tempo e le occasioni per uscire dai ristretti limiti in cui si trovano ad operare per confrontarsi con altri e scambiare le proprie esperienze. La normativa vigente prevede già due strumenti che potrebbero essere immediatamente messi a disposizione degli eletti:
1. la possibilità dell’incremento (fino al suo raddoppio) della quota oraria di permessi retribuiti da attribuire alle Rsu (art. 6 comma 4 Ccnq del 27 gennaio 1999)
2. la possibilità di costituire coordinamenti tra le Rsu delle diverse scuole (art. 2 comma 5 Accordo Collettivo Quadro del 7/8/1998).
Ma i contratti di comparto che avrebbero potuto realizzare queste utili modifiche non si sono occupati di questi argomenti, mentre, come abbiamo visto, si accaniscono a limitare la titolarità di ogni eletto a convocare assemblee in orario di servizio o, addirittura, ad affiggere un volantino in bacheca (per ultima basta vedere la Nota Aran del 27/5/2004).
Ricordate le aspettative di partecipazione democratica che nutrivamo nei confronti degli organi collegiali? Le Rsu subiranno la stessa sorte? Da possibile strumento di partecipazione e dialettica sindacale, saranno ridotte da un lato a mera macchina spartitoria dentro le scuole e dall’altro a collettori di voti per misurare “la rappresentatività nazionale” e dividere distacchi e permessi?
Se così sarà, qualcuno ne sarà responsabile o tutto accadrà per gli scherzi di un destino cinico e baro?

Note:
1: “consiste in una complicazione del processo decisionale dell’imprenditore, essenzialmente volta a garantire che nel formarsi di certe decisioni si tenga conto degli interessi antagonistici sui quali va ad incidere l’esercizio del potere” (Francesco Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, 1982).

Vedi anche: gerarchizzazione, potere, staff