Le Rappresentanze Sindacali Unitarie nascono per regolare l’attribuzione
dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
La partecipazione dei lavoratori alle decisioni relative all’organizzazione
del proprio lavoro (quella che con brutto neologismo giuslavoristico è
chiamata procedimentalizzazione [1]) ha in Italia una lunga tradizione, consolidatasi
nello Statuto dei lavoratori (L. 300/70).
Strumento inizialmente presente solo nel mondo del lavoro privato, dai primi
anni ’90, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro
nel pubblico impiego, la procedimentalizzazione trova applicazione anche nelle
pubbliche amministrazioni, nelle quali il dirigente, che ormai agisce “con
la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art. 5 DLgs
165/2001), “nell’attività organizzativa minore e in quella
di gestione del personale non adotta più atti amministrativi, ma pone
in essere atti negoziali di natura privatistica” (Gino Giugni, Diritto
Sindacale, 2002).
Per individuare la rappresentanza dei lavoratori in questa negoziazione, e puntando
ad una relativa omogeneizzazione tra lavoro pubblico e privato, viene estesa
la L. 300 a tutta la pubblica amministrazione e prevista la costituzione di
nuove rappresentanze elettive dei dipendenti nei luoghi di lavoro, le Rsu appunto,
che subentrano alle vecchie Rappresentanze sindacali aziendali – Rsa (non
elettive) previste dall’art. 19 dello Statuto.
Ma alla finalità specifica delle elezioni delle Rsu – eleggere
rappresentanti dei lavoratori nei luoghi di lavoro – è forzatamente
sovrapposta una finalità spuria: concorrere a determinare la “maggiore
rappresentatività sindacale” a livello nazionale (DLgs 396/97).
Il 7 agosto 1998 è definito l’Accordo per la costituzione delle
Rsu nella pubblica amministrazione e il relativo Regolamento elettorale. Un
Regolamento antidemocratico, disegnato per consolidare il monopolio sindacale
in atto, che mette al riparo da risultati negativi chi gode di una rendita di
posizione poiché, essendo già titolare di tutti i diritti sindacali,
dall’assemblea all’affissione, può cercare più facilmente
candidati e può fare propaganda alle proprie liste, mentre chi non ha
questi diritti rischia di non poterli mai acquisire. Un’elezione, inoltre,
che concorre a misurare la rappresentatività nazionale sommando i voti
ottenuti su liste presentate nelle singole amministrazioni con candidati appartenenti
ai singoli luoghi di lavoro, piuttosto che su una lista nazionale come sarebbe
logico, quindi: niente lista nell’amministrazione di appartenenza –
niente voti per il comparto nazionale. L’ambiguità di questa procedura
che lega la rappresentatività nazionale a elezioni di livello molto diverso
(la singola azienda, la singola amministrazione, la singola scuola) è
spesso sottovalutata, o volutamente sottaciuta, nonostante sia proprio il riconoscimento
della “maggiore rappresentatività” il risultato più
rilevante di tutta l’operazione elettorale: così si decide chi
acquisisce tutti i diritti sindacali e chi partecipa alla contrattazione nazionale
di comparto.
Le grottesche vicende delle elezioni Rsu nella scuola
Le elezioni, indette a livello provinciale per dicembre 1998 come per il resto
del pubblico impiego, sono sospese poche ore prima della scadenza per la presentazione
delle liste, con “un atto d'imperio” (così lo giudicherà
il Pretore del Lavoro di Roma), dal ministro Bassanini. Nel gennaio 1999 il
Governo emana un Decreto legge (poi convertito nella L. 69/99) che rinvia le
elezioni al dicembre 2000. Nel frattempo viene individuata come sede di elezione
non più il Provveditorato, ma addirittura ognuna delle quasi 11.000 scuole:
bisogna presentare diverse migliaia di liste per poter sperare in un risultato
nazionale soddisfacente. Un voto polverizzato che favorisce ancor di più
chi già gode di una posizione di privilegio: come se i partiti alle elezioni
politiche nazionali potessero ottenere voti in un determinato caseggiato solo
se in esso riuscissero a presentare candidati.
Ulteriore conseguenza di questa frammentazione è l’esiguità
del numero degli eletti: in genere tre, in qualche caso sei.
Senza contare che nelle scuole ci sono già organismi che hanno la competenza
e la responsabilità per definire importanti questioni di organizzazione
del lavoro: gli Organi collegiali. Tanto è vero che fin da subito emerge
il problema del “riparto” delle competenze tra Rsu (il cui ruolo
viene ampliato contratto dopo contratto), Collegio dei docenti e Consiglio di
circolo o d’istituto, in attesa di un’ulteriore riforma che ridimensioni
il ruolo di questi ultimi.
Compiti e funzioni delle Rsu
L’art. 5 dell’Accordo Collettivo Quadro del 7/8/1998 individua i
compiti e le funzioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie:
- la titolarità dei poteri riguardanti l’esercizio delle Relazioni
sindacali: l’informazione preventiva e successiva, ma soprattutto la contrattazione
integrativa;
- la titolarità dei diritti sindacali: permessi, indizione dell’assemblea
dei lavoratori, uso dei locali, affissione.
Per quanto riguarda la contrattazione, precisa sempre l’Accordo, la delegazione
di parte sindacale è integrata “dai rappresentanti delle organizzazioni
sindacali di categoria firmatarie del relativo Ccnl” che nella scuola
attualmente sono quattro a fronte – normalmente - di soli tre eletti nelle
Rsu. Così al momento della trattativa le Rsu, soverchiate dalla presenza
dei rappresentanti delle OOSS firmatarie di contratto, rischiano di perdere
la loro piena legittimazione negoziale a livello di scuola. Una titolarità
che discende direttamente dal consenso ricevuto dai lavoratori che saranno soggetti
agli accordi d’istituto, e che viene riconosciuta dall’art. 43 del
DLgs 165/2001. Inoltre, se ai sindacati esterni fosse riconosciuto un ruolo
negoziale uguale a quello delle Rsu, si metterebbe in discussione lo stesso
principio di rappresentatività proporzionale delle organizzazioni dei
lavoratori espresso dall’art. 39 della Costituzione, non è detto,
infatti, che i “firmatari” siano rappresentativi a livello di scuola
e comunque non sembra neanche molto “democratico” che possano duplicare
il loro peso contrattuale. L’unica funzione possibile per le organizzazioni
sindacali firmatarie rimane quella cosiddetta tutoria nella formazione di un
accordo integrativo coerente col Ccnl.
Anche per quanto riguarda i diritti, in questi ultimi anni, contratti e interpretazioni
varie sono arrivate a capovolgere un caposaldo del diritto comune secondo il
quale “ciò che non è vietato è consentito”,
in “è vietato ciò che non è previsto”, come
se le relazioni sindacali dovessero soggiacere ai principi caratteristici del
funzionamento della pubblica amministrazione. Abbiamo così assistito
al tentativo di limitare al massimo l’agibilità sindacale del singolo
eletto imponendo una lettura illegittima – almeno così l’hanno
ritenuta diversi giudici – e antidemocratica dell’art. 8 dell’Accordo
che recita: “Le decisioni relative all’attività della RSU
sono assunte a maggioranza dei componenti”, come se convocare un’assemblea
o affiggere un volantino non fossero diritti degli eletti, ma “decisioni
relative all’attività”.
Stretti tra questi vincoli che ruolo possono assolvere allora le Rsu?
Le relazioni sindacali in Italia hanno preso una deriva concertativa, di gestione
dell’esistente, che rischia di trascinarsi dietro anche la buona volontà
di tanti eletti che si trovano a fare i conti con una contrattazione segregata
scuola per scuola, un tassello fondamentale nel percorso di “autonomia
e aziendalizzazione” della scuola, che mette in seria difficoltà
il funzionamento degli organi collegiali. Una frammentazione della scuola pubblica,
che produce divisione anche all’interno di ogni singolo istituto mettendo
in confitto docenti e Ata con l'uso ricattatorio/spartitorio dei soldi del fondo
d'Istituto, che rappresenta la principale materia della trattativa d’istituto.
Un salario aggiuntivo, ulteriore cascame di quella sedicente "autonomia
scolastica" che tende a trasformare le scuole in supermarket e vincola
docenti ed Ata ad una logica aziendale/pubblicitaria, in cui proliferano i più
svariati "progetti", che rischia di svilire la qualità e l'unitarietà
dell'istruzione e dello stesso ruolo educativo della scuola.
Le Rsu potrebbero essere invece uno strumento di resistenza, di conflitto e
di contrattacco nei confronti della scuola-azienda, favorendo la più
ampia partecipazione dei lavoratori. Partendo dalle condizioni materiali nei
luoghi di lavoro, potrebbero concorrere a ricostruire concretamente un contesto
di valori e principi di solidarietà e uguaglianza che, nella democrazia
diretta, nella partecipazione collettiva, nel rifiuto della delega, individua
una generale proposta di trasformazione della realtà che si contrappone
alle gerarchie e alla competitività sulle quali si fonda l’attuale
società. Nelle scuole, l’azione delle Rsu potrebbe favorire lo
sviluppo di condizioni di confronto e circolazione delle esperienze, affinchè
la situazione lavorativa venga sottoposta alla critica e sia quindi data come
una condizione trasformabile dai lavoratori e dalle loro lotte, per approfondire
la conoscenza dello sfruttamento che subiamo, e delle connessioni che esso ha
con le più generali politiche economiche: a partire proprio dal quel
modello di sviluppo neoliberista del mondo, che vorrebbero farci credere o imporci
come l’unico possibile. Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nell’elaborazione
delle piattaforme contrattuali e nelle scelte conseguenti, potrebbe definire
un modo nuovo di agire nei conflitti di lavoro di cui c’è urgente
bisogno: a partire dal basso e ponendo l’autonomia dei bisogni e delle
attese dei lavoratori al centro delle lotte. Un percorso che è possibile
cominciare anche da scelte minime: non concludere alcuna trattativa senza aver
prima indetto e svolto un’assemblea di scuola; realizzare un’organizzazione
del lavoro condivisa e trasparente; rifiutare qualsiasi trattativa in merito
a tematiche e argomenti che siano di competenza degli Organi collegiali della
scuola.
Naturalmente per poter assolvere a tale ruolo le Rsu dovrebbero avere il tempo
e le occasioni per uscire dai ristretti limiti in cui si trovano ad operare
per confrontarsi con altri e scambiare le proprie esperienze. La normativa vigente
prevede già due strumenti che potrebbero essere immediatamente messi
a disposizione degli eletti:
1. la possibilità dell’incremento (fino al suo raddoppio) della
quota oraria di permessi retribuiti da attribuire alle Rsu (art. 6 comma 4 Ccnq
del 27 gennaio 1999)
2. la possibilità di costituire coordinamenti tra le Rsu delle diverse
scuole (art. 2 comma 5 Accordo Collettivo Quadro del 7/8/1998).
Ma i contratti di comparto che avrebbero potuto realizzare queste utili modifiche
non si sono occupati di questi argomenti, mentre, come abbiamo visto, si accaniscono
a limitare la titolarità di ogni eletto a convocare assemblee in orario
di servizio o, addirittura, ad affiggere un volantino in bacheca (per ultima
basta vedere la Nota Aran del 27/5/2004).
Ricordate le aspettative di partecipazione democratica che nutrivamo nei confronti
degli organi collegiali? Le Rsu subiranno la stessa sorte? Da possibile strumento
di partecipazione e dialettica sindacale, saranno ridotte da un lato a mera
macchina spartitoria dentro le scuole e dall’altro a collettori di voti
per misurare “la rappresentatività nazionale” e dividere
distacchi e permessi?
Se così sarà, qualcuno ne sarà responsabile o tutto accadrà
per gli scherzi di un destino cinico e baro?
Note:
1: “consiste in una complicazione del processo decisionale
dell’imprenditore, essenzialmente volta a garantire che nel formarsi di
certe decisioni si tenga conto degli interessi antagonistici sui quali va ad
incidere l’esercizio del potere” (Francesco Liso, La mobilità
del lavoratore in azienda: il quadro legale, 1982).
Vedi anche: gerarchizzazione, potere, staff