da "Il manifesto" 26 nov 2003.

E se tolgono il tempo pieno?
Piace ma da sempre è a rischio. Ora ci prova la riforma Moratti. Ma c'è chi
combatte
Focus su Bologna In questa città è nato il tempo pieno, un modello educativo
che molti mettono in discussione. Ma la sua storia è rivoluzionaria

CINZIA GUBBINI
BOLOGNA
Sabato la scuola fa tris: in un solo giorno tre manifestazioni per difendere
la scuola pubblica. Un buon segnale di vitalità mentre la riforma Moratti
avanza; soprattutto quando - come a Bologna - la manifestazione nazionale
nasce per iniziativa del «Coordinamento per la difesa del tempo pieno», che
detta così sembra un'organizzazione con una lunga storia alle spalle ma in
realtà è un gruppo nato molto «dal basso», mettendo insieme insegnanti e
genitori non appena si è sparsa la voce che la riforma vuole decapitare
l'esperienza del tempo pieno. Per la verità la storia c'è, ed è quella di
una città come Bologna: proprio qui, infatti, nacquero le prime
sperimentazioni del tempo pieno (tra il `68 e il `69) animate da personalità
come quella di Bruno Ciari. Da allora il modello del tempo pieno ha subito
diversiattacchi, ed è noto che al ministero dell'istruzione molti funzionari
pensano sia ora di eliminarlo, per dare libero sfogo a modelli più
«flessibili». Il tempo pieno, però, finora ha retto, grazie anche alla
crescente domanda da parte dei genitori.

Ma è vero che la riforma Moratti cancella il tempo pieno? La questione è
pelosa: lo schema di decreto approvato il 12 settembra scorso in Consiglio
dei ministri - il primo sostanzioso decreto attuativo della riforma Moratti,
e che oggi dovrebbe essere discusso in Conferenza stato-regioni - di fatto
non cita il tempo pieno e prevede un tempo scuola di 30 ore (quella a tempo
pieno è di 40). Il ministero dell'istruzione, però, giura che il tempo pieno
non sarà toccato, tanto che ha diffuso uno schema di decreto commentato in
cui si spiega (solo nel commento, però) che le 10 ore settimanali del tempo
mensa verranno mantenute, assegnandole ai docenti. Insegnanti e genitori
sentono puzza di bruciato, e chiedono che il tempo pieno venga menzionato in
modo esplicito, che sia garantita la presenza degli insegnanti anche nel
tempo mensa, e che sia eliminata la figura del «maestro tutor», la vera
antitesi del modello del tempo pieno.

Questi sono i nodi al pettine, su cui si stanno svolgendo numerose assemblee
in giro per l'Italia. L'ultima, l'altra sera a Bologna, organizzata dal V e
dal XIII circolo didattico della città.

In una sala periferica di un circolo Arci si è svolto un appassionato
dibattito che ha visto confrontarsi da un lato l'ispettore ministeriale
Luciano Lelli, dall'altro un rappresentante del gruppo Gasp (genitori attivi
per la scuola pubblica), il dottor Andrea Graffi. La riforma Moratti è stata
commentata in molti dei suoi aspetti, confermando i punti maggiormente messi
in discussione: la questione del dovere/diritto all'istruzione e la
conseguente cancellazione dell'obbligo scolastico, la precocità della
canalizzazione scolastica, l'impressione che la riforma tenda a
«individualizzare» i percorsi buttandosi alle spalle una scuola di tutti e
per tutti.

Il dibattito, tuttavia, è stato anche un'occasione per mettere in chiaro
alcune posizioni sul tempo pieno. «Il tempo pieno non è nominato nel decreto
attuativo per il semplice fatto che, con l'autonomia, spetta alle singole
scuole decidere l'organizzazione interna agli istituti», ha spiegato Lelli.
All'obiezione che, comunque, il ministero è tenuto a fornire dei parametri
nazionali, per esempio prevedendo la possibilità di organizzare classi a
quaranta ore, l'ispettore ha spiegato: «La possibilità ci sarà, lo dice il
commento al decreto, che prevede anche l'istituzione del tempo mensa con
finalità educative, e che quindi dovrà essere affidato agli insegnanti». Ma
perché non si inserisce nell'articolato di legge? «Il ministero lo assicura,
e io sono tenuto a crederci», ha risposto Lelli. Non altrettanta fedeltà
all'istituzione spetta ai genitori, che hanno protestato vivamente quando è
stato spiegato che «il dirigente scolastico deciderà di istituire classi a
40 o a 35 ore, in base alle esigenze», previa «contrattazione» con il
provveditorato del numero di docenti necessario. E questo è già un problema
assicurato, visto il continuo taglio di personale.

Ma non è soltanto una questione di soldi, bensì del modello pedagogico che
trapela dalla riforma. «Il tempo pieno è un modello di insegnamento e di
rapporto con i bambini - ha detto un insegnante - Quando si inserisce un
`maestro tutor', beh, si torna indietro a quando un solo maestro dava
un'infarinatura di tutto, senza nessun interesse per le aree disciplinari.
Siamo l'unica categoria di lavoratori non gerarchizzata - ha continuato - e
facciamo una fatica da cani; sarà fuori moda, ma è proprio in questo
confronto tra pari che si trasmette qualcosa di implicito ai bambini». Cioè
si insegna il confronto, si insegna a prendersi il proprio tempo, ad
ascoltare e a dire la propria. Forse è anche per questo che insegnanti,
genitori e bambini del tempo pieno sono così efficaci quando protestano. Non
sarà per questo che tutti lo vogliono eliminare?