CRESCERE NEL TEMPO PIENO / FAR CRESCERE IL TEMPO PIENO

ATTI

INDICE

Una scommessa Redazione Cesp - Cobas

L’ora di restaurazione Enzo Mazzi

Una scuola ben fatta per una testa ben fatta Piero Sacchetto

Appunti… per una storia del tempo pieno… a Bologna e non solo Rosanna Facchini

Crescere con il tempo pieno Piero Castello

La scuola del signor Tempo Mauro Bernini

Ma perché si vuol eliminare il Tempo pieno? Cristiana Collevecchio

Scuola impacchettata.. scuola liberata I maestri della scuola Romagnoli

Cronaca dell’occupazione di una scuola elementare Rita De Luca e Marzia Mascagni, Ins. scuola Longhena, Bologna

Qualificare il Tempo Pieno Lori Zanetti

Un’esperienza di Tempo Pieno Silvia Fedozzi e Carla Carpigiani

Ricordi della nonna di Teresa Paola Montuschi e Teresa Mazzanti

Salviamo il tempo pieno! Leandro López-Nussa

Cosa rischiamo di perdere con la riforma Una mamma della classe 2B (Bottego)

Protagonisti del processo di crescita I docenti della scuola "L. da Vinci" di Pavullo

La scuola del largo respiro Maria Guerrini e Luciana Potena

Tempo pieno per tutti! Daniela Turci

Il censimento dei lombrichi Ilaria Pacetti

I crinali del Tempo Pieno Gianluca Gabrielli

Due righe sul tempo pieno Maddalena Micco

Dalla risposta ad un bisogno alla ricerca della qualità dell'offerta formativa Docenti delle classi di tempo pieno delle scuole "Saffi" Forlì

Dal sogno all’incubo Vittorio Delmoro

Che fare nel fortino? Vittorio Delmoro

Il tempo pieno: un’esperienza che non è facile abbandonare Maestra Sandra

I tempi della relazione Andrea Canevaro

Formidabili quegli anni! Gli insegnanti della scuola a tempo pieno si raccontano Patrizia Selleri, Barbara Santarcangelo

Siamo cresciuti con il tempo pieno Loredana Cecchetti

L’educazione Ambientale può prescindere da tempi lunghi? Nicola Zanini

Il tempo pieno ha segnato la mia strada Bruno Cappagli, attore e regista de La Baracca produzioni teatrali

Una scuola dove crescere è possibile Lanzoni A, Castagnari N, Tosarelli T, Martelli A; Sc. Elem. Stat. "A. Albertazzi", Castel San Pietro Terme

Tempo pieno e modulo per una tirocinante Nisi Vittoria

Ho vissuto l’esperienza del tempo pieno Luigi Vezzalini, genitore e amministratore del Comune di Castello di Serravalle

Riflessioni sull’agire quotidiano nella nuova scuola Tonia Girasoli, maestra del I Circolo Didattico di Melfi

Un volantino del 1998 [Storie di quotidiana resistenza] Coordinamento Genitori-Insegnanti di Firenze

Scheda normativa

Una scommessa

Redazione Cesp-Cobas

Questo convegno è una scommessa.

Il tempo pieno è un modello di scuola che da tanti anni (almeno dieci) vive sotto la spada di Damocle dei tagli e delle riforme.

Sono purtroppo gli anni della liquidazione dello stato sociale, dei tagli alla spesa pubblica, dell’ubriacatura neoliberista che tenta di affidare al mercato ogni spazio della vita sociale. Il principale parametro di giudizio sul mondo dell’istruzione diventa il bilancio e allora una scuola costruita su due insegnanti per classe diventa troppo costosa perché altri modelli si accontentano di un insegnante e mezzo. Così i "riformatori" della scuola, come un famoso personaggio di Paperopoli, vedono ossessivamente nel Tempo pieno solo una facile fonte di risparmio economico, da attingere al più presto.

Ma il tempo pieno non è un modello di scuola residuale! Basta guardare le statistiche relative al 2001 per accorgersi immediatamente che questa scuola è diffusa e radicata nel tessuto sociale e culturale di tutta Italia; Sicuramente se mille ostacoli normativi, finanziari e strutturali non le venissero continuamente opposti, la scuola a tempo pieno avrebbe una diffusione ancora maggiore.

E’ un modello di scuola che nasce dal basso. Nasce dalle lotte di insegnanti e genitori in una fase della storia nazionale in cui il corto circuito tra bisogno e richieste sociali, impegno collettivo e risposte politiche funzionava ancora. Oggi la sordità delle forze politiche rischia di scoraggiarci, ma non ci toglie dalla testa l’idea che questo circolo virtuoso si possa riavviare, anche a partire da lotte come quella in difesa e per l’allargamento del tempo pieno.

E’ un modello di scuola che ha caratteristiche particolari. Tempi distesi, spazi disponibili alla creatività e alla sperimentazione, forti legami tra i protagonisti (senso di comunità) e con il territorio... E’ stato il volano di moltissime innovazioni che poi, in parte, si sono diffuse a

tutta la scuola nazionale, dall’integrazione dei bambini portatori di handicap alla valorizzazione delle "educazioni" e della didattica laboratoriale, dalla collaborazione tra i docenti (prima c’era il maestro unico) alla valorizzazione dei "tempi distesi". Soprattutto è stata ed è una scuola in cui si discute, si prova, una scuola che si costruisce e si reinventa giorno per giorno, e questo avveniva probabilmente di più quando ancora 1’ "Autonomia" non c’era (a conferma che a volte le parole tradiscono i significati).

L’idea del convegno ci è venuta lo scorso anno quando, in primavera, di fronte ai tagli d’organico, il mondo della scuola si è mobilitato in numerose parti d’Italia. Qui a Bologna tra le scuole più attive c’erano proprio molti Tempi pieni. Da essi sono venute idee nuove di mobilitazione (vedi gli interventi che seguono) e uno spirito unitario che coinvolgeva lavoratori della scuola e famiglie e che poi è sfociato nella manifestazione cittadina di maggio. Questa commistione di creatività ed intransigenza nella difesa della scuola pubblica ci hanno invogliato a non far cadere stimoli ed entusiasmo, bensì a rilanciarlo a livello nazionale in una giornata di confronto e di lotta.

Confronto: perché il tempo pieno non è un’entità fissa e immutabile, ma una scuola che deve reinventarsi costantemente m relazione ai protagonisti e al contesto. Questa reinvenzione, per essere produttiva, ha bisogno di spazi di confronto libero e franco. Il convegno vuole garantire questo spazio (e i 24 contributi che si sono già aggiunti alle relazioni "ufficiali" quando ancora manca una settimana al convegno confermano che la voglia di confronto è diffusa e forte).

Lotta: perché non tutti i problemi del tempo pieno si possono risolvere rimanendo all’interno dei confini della didattica. Le minacce di liquidazione, i tagli, i definanziamenti richiedono mobilitazioni; se mancherà la capacità di mettere in campo iniziative che contrastino tali processi, allora questo modello di scuola ci scivolerà via dalle mani, così come tanti altri aspetti di qualità della scuola pubblica statale.

Già una settimana prima del convegno possiamo affermare che qualcosa è mancato. Ci dispiace l’assenza quasi totale di contributi di professionisti della teoria educativa. E’ vero che i1 Tempo pieno nasce "dal basso", ma in fin dei conti questo modello è parte anche della biografia di molti docenti universitari, è cresciuto con essi. Negli atti dei convegni degli anni Ottanta pedagogisti oggi affermati sostenevano le ragioni del tempo pieno a spada tratta. Oggi il contesto è mutato, e proprio per questo saremmo stati curiosi di ascoltare le loro voci. Avremmo preferito contributi critici (se non in un convegno, quando?) piuttosto che questo silenzio. Speriamo di incontrarli sabato.

Questo convegno quindi è una scommessa. La scommessa che dal confronto franco di esperienze e di conoscenze possa nascere una nuova stagione di mobilitazioni in difesa della scuola pubblica statale, per estendere il tempo pieno dovunque genitori e lavoratori ne facciano richiesta. Confronto e lotta crescono solamente insieme. La lotta senza confronto è cieca. Il confronto senza la lotta è sterile.

L’obiettivo è così comprensibile e sacrosanto che raggiungerlo sembra nell’ordine delle cose. Rimbocchiamoci le maniche.

 L’ora di restaurazione

Enzo Mazzi

È ripartito ormai ovunque il rito della scuola. "Rito" non è parola inappropriata o solo metaforica. Ivan Illich, negli anni ruggenti intorno al ‘68, predicando la necessità di "distruggere la scuola", diceva che "la scuola è un rituale di iniziazione che integra il neofita nella corsa sacra al consumo". C’era molto intellettualismo privo di riferimenti a esperienze concrete nelle analisi di Illich ma questa idea del rito credo che fosse assai azzeccata e la ritengo ancora valida. Non solo sul metro della funzionalità ma anche su quello simbolico vanno valutate le esperienze innovative e le riforme attuali. Questo dato fa parte di un principio più generale della convivenza umana: la forma è sostanza. Tanto più la forma è sostanza nell’epoca moderna. La modernità ha reso insignificanti i vecchi simboli, ma non ha rimesso al centro la sostanza dell’essere umano e delle sue relazioni, anzi ha sostituito quei simboli con altri ancor più astratti e potenti. Ha costruito le torri gemelle simbolo dell’onnipotenza di un altro dio: il danaro. L’astrazione simbolica del danaro è il nuovo principio di autorità. La cosa più astratta e formale, il danaro appunto, è diventata la realtà più sostanziosa, pietra angolare, fondamento del nuovo ordine mondiale. Tutta la realtà che ieri veniva consacrata, ad ogni costo, anche al prezzo di massacri e roghi e dannazioni, oggi è monetizzata. E ancora una volta la sottomissione alla nuova divinità deve avvenire "ad ogni costo". La scuola non fa eccezione. Ed oggi il rito della scuola riprende proprio sotto il segno della più impudica monetizzazione. Il fronte della resistenza nella scuola assume ormai una importanza primaria.

Vediamo alcuni aspetti del problema, i pochi su cui posso dire qualcosa perché legati ad esperienze che mi hanno coinvolto.

Il tempo pieno

Il tempo pieno è una delle innovazioni che ritengo fra le più significative e meglio riuscite nel panorama delle riforme della scuola. Fu il tentativo di "descolarizzare" l’insegnamento senza distruggere la scuola, anzi valorizzandola. Ebbe l’obiettivo di rendere praticabile l’essenza stessa della pedagogia contemporanea (lo diceva negli anni ‘70 il pedagogista Francesco De Bartolomeis, il quale però vedeva il tempo pieno inevitabilmente confinato in un ristretto ambito sperimentale, a causa del suo carattere rivoluzionario).

La nascita della sperimentazione del tempo pieno, negli anni ‘70, avvenne per rispondere a bisogni molto concreti, ma come vedremo poi l’impatto maggiore lo ebbero gli aspetti simbolici. Influì innanzitutto l’esigenza di tenere insieme a scuola tutti i ragazzi dalla mattina al pomeriggio. Fino allora c’era la scuola del mattino gestita dallo stato per tutti e poi, solo per alcuni, il pranzo e il doposcuola gestiti dai comuni. Il tempo pieno annulla questa divisione. E lo fa in nome dell’egualitarismo e dei diritti, contro le discriminazioni fra benestanti e bisognosi e fra bravi e ciuchi enfatizzate dal doposcuola. Ma lo fa anche in nome dell’efficienza didattica ed educativa. Otto ore a scuola permettono di svolgere i programmi in maniera più distesa, di tenere il passo dei meno bravi, di introdurre nuove tecniche didattiche, di valorizzare la socializzazione, di inserire con pieni diritti e con attenzioni mirate i portatori di handicap. Lo stesso tempo del pranzo è considerato in qualche modo parte del programma formativo se non proprio didattico. Il tempo pieno conosce uno sviluppo straordinario. Anche i genitori benestanti e perfino i benpensanti, che non mandavano i figli al doposcuola per non segnarli insieme ai figli del popolo, si rendono conto che il tempo pieno è una risposta efficiente capace di risolvere molti loro problemi pratici. Il tempo pieno contribuisce così ad accentuare la crisi delle scuole private che sulla discriminazione classista fondano le loro fortune.

Il tempo pieno però non è solo questo.

L’efficienza e la funzionalità sono solo gli aspetti espliciti. E va detto a onor del vero che non sempre sono all’altezza delle intenzioni. Il tempo pieno è stato ed è realizzato talvolta in forme incomplete e approssimative, anche per mancanza di adeguata formazione degli insegnati e per carenza di mezzi e sostegni. Ma dietro e dentro, come cause e insieme come conseguenze, ci sono gli aspetti simbolici. I quali, come dicevo all’inizio, non hanno meno importanza formativa. Sono quegli aspetti ad aver creato una classe di insegnanti che l’Europa ci invidia, ad aver prodotto una gran riserva di esperienze pedagogiche d’avanguardia che hanno segnato le principali riforme della scuola e ad aver formato generazioni di giovani che ritengo abbiano avuto rilevanza nel nascere degli attuali movimenti di socialità.

Prendiamo l’impatto simbolico creato dal passaggio dalla singolarità dell’insegnante alla coppia e alla équipe. Il tempo

pieno oltrepassa infatti la singolarità individualista della funzione didattica che si esprime alle elementari col maestro/a unico e alle medie, imitate poi dai moduli nelle stesse elementari, con una pluralità di insegnanti ognuno dei quali però gestisce autonomamente e spesso in modo separato un pezzo di didattica e un pezzo di ragazzo. Chi più ne fa le spese è l’ideologia del capo come figura centrale che genera la comunità e ne gestisce l’identità e l’unità; l’ideologia secondo la quale è il padre che fa la famiglia, il padrone che fa l’impresa, il leader che fa il partito, il premier che fa il governo, il prete che fa la chiesa e via di questo passo fino all’insegnante che fa la scuola.

E vediamo l’implicazione simbolica delle classi aperte sia in senso orizzontale, cioè fra classi di ragazzi della stessa età, sia in senso verticale fra classi di ragazzi di età diversa; il senso di liberazione dall’inscatolamento nella rigidezza delle classi. E il senso di rivoluzione culturale insito nella introduzione di nuove tecniche didattiche non come attività separate dai curricoli ma come valori educativi in sé capaci di dare senso nuovo e vitale a tutta la didattica e a tutta la scuola, capaci di rispondere ai bisogni dei più svantaggati (Bruno Ciari). E i nuovi orizzonti culturali aperti dai laboratori scelti dagli studenti in base ai loro interessi e propensioni. E la descolarizzazione dell’insegnamento resa possibile dalla apertura al territorio e alla società. E’ la vita che torna a fare scuola. E la valenza simbolica che ha il giro e l’intreccio di insegnanti i quali coordinano rigorosamente il loro lavoro, si confrontano e talvolta anche si scontrano, insegnano a porsi interrogativi e curiosità più che dare risposte, impostano metodologie di ricerca più che proporre/imporre i loro saperi, insegnanti che comunque si presentano agli studenti e ai genitori e al territorio come una comunità di operatori educativi tesi a socializzare il sapere, considerato non più bene di consumo preconfezionato e posto sul mercato ma oggetto di condivisione.

Ebbene, lo ripeto, questa trasformazione oltre l’efficienza didattica ha anche una valenza simbolica di enorme impatto educativo-culturale non solo per la scuola ma per la società nel suo insieme. E’ una crepa che si crea nel granitico impianto autoritario e classista della società. E’ un colpo all’onnipotenza del sapere codificato e al potere assoluto della casta dei detentori di tale sapere. E’ una fermentazione di socialità solidale che si genera dal basso. E’ un momento del processo storico di riscatto delle classi e categorie sociali discriminate.

La restaurazione

E’ per questo che il tempo pieno non solo non viene generalizzato, ma è piuttosto osteggiato e ghettizzato. E’ sintomatica la devitalizzazione che si compie di fatto con l’istituzione dei moduli i quali recepiscono alcuni aspetti dell’innovazione del tempo pieno ma ne attenuano fino ad annullarla l’efficacia pratica e simbolica. Ed ora è da manuale questo ritorno alla scuola dei percorsi diversificati per censo, mercificata al punto che non è più scuola per tutti e di tutti ma è privata (azienda) anche se statale ed è pubblica anche se privata. E’ disarmante questa restaurazione della scuola del mattino e del grembiule, questo ritorno all’insegnante unico o all’insegnante singolarizzato di lingua, di musica, e di quant’altro offrirà la generosità demagogica dello stato, la ingegnosità del preside manager e l’interesse dei privati. Ed è inquietante che un tale ritorno al passato venga per certi aspetti apprezzato da intellettuali illuminati come Massimo Cacciari. Il quale, in una recente intervista alla Repubblica (4 agosto 2002) alla domanda: "E cosa ne pensa del ritorno al maestro unico alle elementari che è uno dei pochi concetti sui quali la Moratti ha trovato vasto consenso?", risponde: "Ma sì, anche quella è un’idea giusta. Anche ai miei tempi era così..".

La rimozione dei soggetti della scuola

Qualche anno fa (estate 1998) ci fu una indignazione generale di fronte alla dimenticanza del padre che aveva lasciato il proprio figlio di 21 mesi, ad arrostire fino a morire in auto in un parcheggio sotto il sole cocente di Catania. Eppure il padre dimentico "adorava il suo bambino", ci assicura la madre. "Dietro questa tragedia c’è il modo contemporaneo di vivere i rapporti" disse lo psichiatra. Un tempo il valore assoluto dei padri era il dominio. I figli esistevano come sudditi. Oggi il valore assoluto è il successo. Nella competizione globale i figli sono strumenti: coccolati, adorati, rimpinzati, ma rimossi come persone.

Questa crudele gerarchia attuale dei valori non è solo dietro alle rimozioni dei bambini. Informa obbiettivamente tutti i rapporti. Una colossale rimozione profonda delle persone è il sacrificio richiesto dalla nuova religione delle cose. E i figli sono vittime sacrificali privilegiate.

Non mi interessa tanto il patteggiamento politico che si è fatto e si fa sulla scuola. Non mi sfugge il fatto che la politica è mediazione. Mi inquieta però l’arretratezza dei tanti "Cacciari" che parlano molto di scuola, di progetti di riforma organici e complessivi, ma non dei soggetti, studenti e insegnanti, della soggettività delle persone. E finiscono per risultare superficiali valutare i limiti delle mediazioni. gerarchia di valori che hanno in testa é deformata. Si calano le braghe pensando di levarsi il cappello. E’ anche per questo che trova tanto spazio la tragedia della restaurazione.

Insomma il rapporto con le persone vive e in particolare con i bambini ci obbliga a interrogarci su noi stessi e sul tipo di società che stiamo costruendo. In questo senso i bambini affollano e animano anche la sponda opposta rispetto alla globalizzazione mercantile liberista e cioè la progettualità della speranza che nessuna restaurazione o modernizzazione di fatto riuscirà a spegnere. Ci saranno sempre insegnanti e studenti e genitori che riusciranno a far germogliare i semi di una scuola diversa dentro le crepe della restaurazione.

Piero Sacchetto

Una scuola ben fatta per una testa ben fatta

1. La testa ben fatta.

E’ a questo titolo di un saggio di Edgar Morin che è corso il mio pensiero, quasi istintivamente, quando mi è stato chiesto di partecipare a questa giornata di lavoro.

Perché questo riferimento? Per almeno due ragioni che provo a sintetizzare.

La prima deriva dalla mia convinzione - credo largamente diffusa e condivisa – che nella "costruzione" di una testa ben fatta, la scuola, soprattutto per quel segmento formativo che nella Riforma Moratti viene indicato come primo ciclo, giochi un ruolo determinante, più o meno positivo o negativo, anche se non esclusivo.

La seconda ragione si lega ad un’altra convinzione: che il Tempo Pieno in Italia, abbia rappresentato e rappresenti "un modo di pensare e fare scuola" che è consapevole delle grandi responsabilità formative che la scuola si assume, che sa farvi fronte, che ha ben presente la portata "costruttiva" dell’intervento dell’insegnante. Insomma un modo di pensare e fare scuola che contribuisce significativamente alla costruzione di una testa ben fatta, perché si traduce, di fatto, in una "scuola ben fatta". Dunque, con un gioco concettuale oltre che linguistico strumentalmente un po’ ingenuo e approssimativo, eccoci al titolo: una scuola ben fatta per una testa ben fatta.

2. Non è mia intenzione e del resto non avrebbe senso in questa sede, ripercorrere per esteso la filosofia che ha ispirato ed ispira il tempo pieno, le metodologie e le pratiche didattiche che ne hanno costituito il risvolto pragmatico. Immagino, infatti che ci sarà modo di tornare più in dettaglio su questi aspetti negli interventi che si succederanno nel corso della giornata.

Vorrei invece, senza eccessive pretese di sistematicità, proporvi qualche riflessione-suggestione che riguarda una possibile circolarità tra scuola ben fatta e testa ben fatta, e che in qualche modo induce a ragionare sul "valore" educativo e sulla "legittimità pedagogica" attuale di un’esperienza di tempo pieno. Come già dicevo, non mi pongo problemi di sistematicità e procederò pertanto per flash.

3. Scuola ben fatta per una testa ben fatta.

Intanto sono possibili, di quest’espressione linguistica, lettura diverse. Se prendiamo come riferimento un potenziale utente-allievo della scuola saremo portati a leggere la testa ben fatta come effetto-risultato-prodotto di una scuola ben fatta

Ma se prendiamo come riferimento l’insegnante è possibile una seconda lettura, molto diversa: la scuola ben fatta deriva da una testa ben fatta che sa "intenderla, viverla, praticarla" e che proprio per questo la rende "ben fatta". Direi che questa è la lettura che rende ragione dell’esperienza del tempo pieno, dei suoi "profeti ed ispiratori" come dei suoi militanti, che consente di capirne i suoi "dettagli metodologici e didattici". Questa lettura contribuisce anche a spiegare perché oggi si è qui a riaffermare il diritto di "crescere nel tempo pieno" (e mai come in questo caso la parola crescere è ricca di soggetti e di significati) rileggendo questo modo di "pensare e fare scuola" in una prospettiva temporale, autobiografica, politica, pedagogica, didattica…

C’è almeno una terza lettura, che mette in primo piano una caratteristica, a mio avviso costituiva e fondante della scuola a tempo pieno: il contesto educativo. Quest’esperienza, i tanti anni di esperienza, le testimonianze, le pratiche didattiche ci dicono che è possibile che nella "costruzione" della propria testa ben fatta ciascuno trovi e dia aiuto nel rapporto con altri, anch’essi impegnati nella loro costruzione.

Tra questi, l’insegnante (ma riferendoci ad una classe di tempo pieno è più giusto dire insegnanti) che sa quanto una testa si può dire ben fatta quando non si sente completa, conclusa, inossidabile ed impermeabile, ma al contrario quando è così consapevole della propria fisionomia, dei propri meccanismi, dei propri limiti da temere e saper riconoscere le trappole dell’autoreferenzialità e dell’onnipotenza.

4. Ma come sarà mai fatta una testa ben fatta?

Il riferimento a Morin non è ovviamente solo dovuto ad una simpatia per il titolo.

Il saggio, che porta come sottotitolo "Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero" (Milano, Cortina 2000) è ricco di provocazioni utili anche ad interrogarci, in specifico, sull’esperienza del tempo pieno, sulla sua attualità, sulla sua "modernità" in rapporto alla pervasiva ed onnipresente post-modernità ecc.

Non è possibile né legittimo distillare dalle idee e dai ragionamenti di Morin un profilo della testa ben fatta, espressione che, al contrario, deve mantenere la sua forza euristica. Certo, con l’aiuto di Morin, è possibile individuare alcune delle "dimensioni " e delle caratteristiche di una testa ben fatta, che l’esperienza del tempo pieno ha contribuito e può contribuire a sviluppare e rafforzare.

- Una testa ben fatta non è una testa ben piena, un accumulo di informazioni

- Una testa ben fatta è una testa capace di organizzare quanto va "scoprendo" e "imparando"

- Una testa ben fatta è una testa capace di porsi, nei confronti della realtà, con un generale atteggiamento di problem solving, a partire dal quale- e non a dispetto del quale – può procedere ad esplorazioni in ambiti più ristretti e specifici.

- Una testa ben fatta….

5. Tempo pieno.

Proporrei di riflettere proprio sul tempo e sul pieno.

Oggi i bambini e i ragazzi, ma anche gli adulti sono vittime di una dimensione del tempo che non concede soste e distrazioni se non preventivate. Sono soste non di riposo, ma di conferma di una dipendenza da un tempo rubato o che ci siamo lasciati rubare o che siamo stati costretti a vendere.

C’è bisogno di riappropriarsi del tempo: in questo senso il "tempo i tempi del tempo pieno", nella loro ricca declinazione, continuano a costituire un’importante risorsa educativa.

Tempo pieno: l’attenzione possiamo rivolgerla adesso al "pieno". Pieno di che? E’ una domanda quasi ovvia, ma non per questo oggi meno importante e vale la pena di ragionarci con attenzione.

6. Ragionando di tempi e di pieni e vuoti, ragioniamo, di fatto, di relazioni.

Relazioni con i saperi, relazioni tra saperi, relazioni tra insegnanti e ragazzi, tra ragazzi, tra competenze, tra gradi di abilità, tra tempi evolutivi, tra strategie cognitive, tra domande utili e domande fuorvianti, tra stereotipi e originalità ecc.

Com’è possibile tutto questo senza un tempo passato a scuola che non sia solo un "tempo-scuola?"

7. "La finalità della nostra scuola è di insegnare a ripensare il pensiero, a de-sapere ciò che si sa e a dubitare del proprio stesso dubbio, il che è l’unico modo di cominciare a credere in qualcosa" (De Mairena).

In una contemporaneità, caratterizzata da flussi incessanti di informazioni incontrollate ed incontrollabili questo processo decostruttivo e ricostruttivo costituisce sicuramente una delle funzioni principali della scuola. Ma per farlo non occorre forse tempo, o meglio, un lavoro "a tempo pieno"?

Rosanna Facchini

Appunti… per una storia del tempo pieno… a Bologna e non solo

0. Premessa

Per mettere ordine alle mie riflessioni, ho fatto ricorso alla consolidata relazione "testa, occhio, mano" da impunita, e impenitente "guthenberghiana" e ho steso un primo canovaccio/indice in cui la mia cronologia autobiografica si intreccia con la cronologia culturale e istituzionale del Tempo Pieno:

1969: "Per la ricostruzione della scuola di base", pubblicazione del Comune di Bologna

Nomina in ruolo alla scuola Bombicci di Bologna, come maestra nella sezione sperimentale di Tempo Pieno

1970: Ingresso di mia figlia alla scuola sperimentale dell’infanzia Gobetti, adiacente alla scuola Bombicci.

Intreccio, da subito, di un’esperienza personale e professionale, nella stagione vivace di partecipazione e di innovazione, che vede in Bruno Ciari, direttore delle istituzioni scolastiche del Comune di Bologna, l’animatore delle sperimentazioni nelle scuole comunali dell’infanzia, nel tempo Pieno della scuola elementare e nella scuola media comunale "Irma Bandiera".

Chiudo qui per non indulgere nel patetismo autobiografico, non senza rilevare come le trasformazioni che si sono coagulate negli anni ‘80/’90 abbiano radici solide e robuste in una elaborazione culturale e istituzionale, corroborata da un’altrettanto solida e robusta pratica pedagogico- didattica che trova nel

1973: la formalizzazione dell’ipotesi nel 12° Febbraio Pedagogico Bolognese

Per la ricostruzione della Scuola di Base.

Le modificazioni strutturali, che la legislazione nazionale aveva legittimato, alla fine del …millennio scorso (…è proprio il caso di dirlo!) non nascono nell’ "empireo" pedagogico, come qualcuno si è compiaciuto di stigmatizzare, magari aggiungendoci l’aggettivo spregiativo "ministeriale", ma erano già operanti nella quotidianità scolastica, e non solo nelle scuole bolognesi ed emiliano -romagnole, da almeno trent’anni.

1.La scelta espositiva

1.1….ab imis

Continuo, in coerenza con la premessa, proponendo una rilettura di quelle tesi di lavoro, tramite citazioni testuali dal documento di lavoro del 1969, che ho ripescato nei "materiali grigi", che ho conservato. Questo da un lato mi esonera dal citare compitamente i nomi di tutti gli studiosi locali e nazionali che presero parte all’elaborazione collettiva di quella stagione, anche se non mi assolve dal peccato di anacronismo che, anzi, assumo intenzionalmente e consapevolmente. Mi limito ad introdurre, con carattere diverso di stampa, ogni singola citazione dal testo, come segnalibro che rimanda alle formulazioni linguistiche da contestualizzare eventualmente al testo legislativo attualmente in confezione al Parlamento, come indicatori di pertinenza e / o di congruenza.

Dall’obbligo al diritto

La scuola di base, per la fascia di età dai 3 ai 14 anni, e oltre, congiunge in sé e attualizza sia il principio soggettivo, personale, del diritto allo studio, sia quello oggettivo, comunitario, statuale dell’obbligo scolastico.

Nessun’altra scuola, pertanto, è, al pari di quella di base, scuola per tutti e di tutti. Come tale, essa, in un quadro di sviluppo democratico, non può essere selettiva, e non è sufficiente, neppure, o è delusorio, assumere che essa debba essere orientativa, giacché, nel caso specifico, l’orientare equivale a rispecchiare e a legittimare anche le negative situazioni di condizionamento socioculturale.

In un quadro di sviluppo democratico, l’infanzia situata fra la famiglia e la scuola, appare pertanto come il primo soggetto di attribuzione e la prima matrice di quella omogeneità linguistica e culturale di fondo, che è il compito di ogni convivenza democratica e senza la quale nessuna società può dirsi capace di intercomunicazione.

Ma a sei anni il bambino è già il risultato di un processo selettivo socialmente, culturalmente e linguisticamente strutturato.

In un certo modo, a tre anni, i bambini sono più uguali che a sei e a sei sono più uguali che a dieci… Le possibilità di recupero, di circolazione e integrazione delle varie esperienze e culture, le possibilità cioè di eliminare i dislivelli dovuti a differenze di stimolazioni e modelli culturali sono molto maggiori quanto minore è l’età del fanciullo, immesso in un ambiente ricco di possibilità di rapporti sociali e di succhi culturali adeguati.

La scuola di base, invece, così come è oggi, si limita a prendere atto e a consolidare le differenziazioni esistenti.

…Posto ciò, pretendere che una scuola fra gli 11 e i 14 anni possa operare contro i condizionamenti socio – culturali negativi, senza che questo intervento sia già anteposto a livello della seconda infanzia dai 3 ai 6 anni, è del tutto illusorio. E’ in questo senso che la battaglia per la buona riuscita della scuola media unica si combatte già a livello della scuola per l’infanzia…

Scuola per l’infanzia o dell’ infanzia

Alla luce delle anzidette constatazioni e valutazioni, si presenta necessario spostare prima di tutto i convergenti assi del diritto allo studio e dell’obbligo scolastico dal 6° al 5° anno di età, progettando e attuando, alla soglia della tradizionale scuola elementare, un nuovo ciclo scolastico, dal 5° al 7° anno di età, come ciclo mediatore fra scuola per l’infanzia e scuola elementare.

Questo nuovo anno di scolarizzazione come diritto e obbligo non va per nulla considerato quale fatto aggiuntivo alle strutture esistenti, bensì quale momento ricostituivo di tutta la scuola di base.

E ciò in due sensi: da una parte verso il basso con l’espansione e la ridefinizione della scuola per l’infanzia dal 3° al 5° anno di età, non esclusa una diversa attenzione per i primi anni di vita del bambino (asilo nido); dall’altra parte, verso l’alto per una ristrutturazione che eviti, fra l’altro, ad esempio, gli scogli tradizionali della prima elementare e della prima media e insieme il posto ambiguo riservato oggi come oggi al terzo anno della scuola elementare…

I cicli

Ogni ciclo scolastico affida in parte il suo successo al fatto di captare ed esprimere un ritmo bio – psicologico di sviluppo.

Il nuovo ciclo dal 5° al 7° anno non va inteso come aggiunta agli altri cicli scolastici. E’ una struttura nuova da proporre e attuare, che trova la sua giustificazione nella necessità di saldare in un processo continuo ed organico la crescita, la maturazione, la socializzazione, l’espressione personale, l’acquisto di conoscenze. In questo senso il nuovo ciclo è esso stesso un punto d’arrivo, giacché postula la preliminare espansione della scuola per l’infanzia dai 3 ai 5 anni e cioè nuove scuole, edifici, attrezzature, materiali e insegnanti che quantitativamente e qualitativamente rendano effettiva la facoltà di tutti i cittadini a fruire già del servizio della scuola per l’infanzia…

…Il programma di questo ciclo, sul piano dell’educazione intellettuale, che deve realizzarsi nel contesto organico delle attività ludiche del bambini e in un clima di intensa socialità, ha di mira soprattutto la promozione della capacità espressiva e comunicativa nella forma linguistica e anche nelle forme non linguistiche (pittoriche e plastiche, mimiche e drammatiche, ecc.) Assieme allo sviluppo della capacità linguistica, si ritiene indispensabile stimolare e promuovere lo sviluppo delle capacità percettive, logiche e matematiche del bambino, utilizzando a tale scopo le più aggiornate tecniche e procedure e facendo riferimento alle più avanzate conquiste della scienza contemporanea. Lo sviluppo logico della mente infantile può avvenire attraverso un "itinerario ludico", con materiali strutturati o meno, ma deve sempre raccogliere gli elementi della viva esperienza infantile, sui quali deve esercitarsi il potere di organizzazione conseguito dal bambino.

Un progetto (che) fa propria e approfondisce la migliore lezione della "Lettera ad una professoressa" e dell’opera pedagogica di Don Milani.

La famiglia e la società

Una proposta di ristrutturazione della scuola di base non può non tener conto delle trasformazioni irreversibili che riguardano la società nel suo complesso e l’istituto familiare in particolare. In generale, si è passati nel corso di pochi decenni da una famiglia di tipo patriarcale, numericamente cospicua, in cui il fanciullo aveva possibilità di intrecciare rapporti sociali svariati e molteplici e di soddisfare una serie di bisogni ludici (in un ambiente più ricco di spazio: verde di campagna, di periferia, di vicinato), ad una famiglia spesso atomizzata, risucchiata dall’attività produttiva, incastrata negli agglomerati urbani, in cui le motivazioni fondamentali dell’attività infantile (manipolative, motorie e costruttive, di avventura, di esplorazione e scoperta, di conoscenza del mondo…) sono di regola frustrate. Da’ altra parte, si sono oggi enormemente accresciuti e intensificati gli stimoli culturali che agiscono sul fanciullo tramite i mass media: questi è indiscriminatamente esposto ad ogni sorta di pressione e di influenza, senza che la famiglia possa obbiettivamente svolgere una funzione di diaframma e di mediazione critica tra il ragazzo e la massa delle influenze socio – culturali.

Il Tempo …una giornata scolastica" a pieno tempo", concepita come spazio più ampio e completo di vita e di esperienza (in cui ) si potrà passare da situazioni specificamente intellettuali a momenti ludici, e viceversa; si potranno vivere situazioni di esperienza a livello di classe, di gruppo, di lavoro individualizzato, di gruppo inter – classe, di rapporti extra – scolastici, in una trama pedagogica unitaria, che comporta un lavoro cooperativo di programmazione di tutti coloro che compongono la comunità degli educatori.

...occorre che la scuola sia strutturata come scuola – comunità, che superi progressivamente e necessariamente il modello organizzativo che si basa su classi rigidamente separate, con la promozione di gruppi mobili inter –classe, in riferimento ad attività specifiche di ricerca e sperimentazione, di espressione e costruzione, di fruizione di moderni mezzi comunicativi ed estetici…

L’autonomia…una scuola – comunità deve promuovere, via via che si rende possibile, la capacità di autonomia, di consapevole partecipazione e responsabilità, d’iniziativa dei ragazzi, che debbono essere indirizzati a libere forme di associazione, le quali debbono trovare il loro spazio nelle strutture della scuola.

Scuola come istituzione culturale e sociale La scuola, in connessione col suo compito istituzionale e come espansione di questo deve diventare un centro di educazione permanente del cittadino, che assolva più integralmente la sua funzione sociale divenendo sede di iniziative, di dibattiti, ricerche, sperimentazioni cui concorra tutta la comunità di cittadini che gravita intorno ad essa.

Lo spazio una scuola che pretenda giustamente di offrirsi come centro di vita comunitaria ad un’intera zona urbana (allievi, insegnanti, genitori, cittadini..) deve godere di una localizzazione urbanistica razionale (centralità del complesso scolastico o comunque possibilità, per il quartiere o rione servito dalla scuola di un permanente e facile collegamento; fruizione di aree verdi, di infrastrutture adeguate /.viabilità, servizi…) di una tipologia funzionale (strutture edilizie di tipo nuovo, adeguate al tempo pieno e alla vita di comunità, con spazi aperti e flessibili e abolizione dell’aula mono – scatola) non impostata autoritariamente, ma determinata nei requisiti minimi e aperta all’inventività degli enti gestori e delle diverse comunità scolastiche, di attrezzature ludiche, ginniche e sportive, di laboratorio e di comunicazione culturale (cinema, teatro, biblioteche…)

1.2 Bibliografia

Ho volutamente pescato dai materiali grigi, per la lunga citazione testuale, per ricostruire anche emotivamente il contesto politico- culturale in cui si è condotta l’elaborazione pedagogica e istituzionale della scuola di base.

E’ doveroso tuttavia produrre una bibliografia minima, nel senso che è quella in mio possesso, che non ha, e non può avere, pretesa di esaustività di documentazione del pensiero e delle elaborazioni di una persona come Bruno Ciari.

AA.VV., Bruno Ciari e la nascita di una pedagogia popolare in Italia, a cura del Centro Studi Bruno Ciari, Firenze, 1971.

O. Righi, Dall’asilo alla scuola dell’infanzia, Bologna, Cappelli, 1979.

C. Freinet, La scuola moderna (a cura di G.Tamagnini), Torino, Loescher, 1969.

B. Ciari, La grande disadattata, Roma, Editori Riuniti, 1972.

B. Ciari, Le nuove tecniche didattiche, Roma, Editori Riuniti, 1966.

G. Bonomi – O. Righi, (a cura di), Una stagione pedagogica con Bruno Ciari, Bologna, Il Mulino, 1979.

E. Catarsi – A. Spini (a cura di), L’esperienza educativa e politica di Bruno Ciari, Firenze, La Nuova Italia, 1982.

E. Catarsi (a cura di), Bruno Ciari tra politica e pedagogia, Firenze, La Nuova Italia, 1992

3. Qui e adesso

Credo doveroso riconoscere il coyright a Bruno Ciari della toponomastica istituzionale, avviata a diventare patrimonio nazionale, soprattutto oggi, nella complessa e problematica stagione politico- istituzionale – e finanziaria - che, per Bologna, è stata anticipata al 1999 con effetti paradossali, seguita a ruota dal resto del paese. Dopo aver svolto per più di trent’anni un ruolo riconosciuto di laboratorio pedagogico nazionale, nel momento in cui le innovazioni elaborate e provate sul campo in sede locale diventavano legittimazione nazionale, le politiche scolastiche della città sono state censurate – non se ne trova più traccia nemmeno nella declaratoria delle deleghe – e "appaltate" ad un integralismo familistico, anacronistico ancorché riverniciato da improbabili interpretazioni di sussidiarietà del pubblico rispetto al privato. Una miseria di pensiero arricchita da una concretezza di azioni finalizzate ad espropriare l’universalità del diritto di cittadinanza sociale costruita, in coerenza col dettato costituzionale, in questa città.

Il paradosso, oggi, è ribadito a livello nazionale con le promesse, mantenute, di azzeramento di un percorso riformatore che aveva saputo intercettare e riannodare i fili della migliore elaborazione pedagogica della vita repubblicana.

A fronte di questa situazione giova ricordare che quella elaborazione ha comunque prodotto un "pacchetto" di innovazioni legislative:

l’autonomia delle scuole, gli Istituti Comprensivi, il decentramento regionale del Ministero dell’Istruzione, la riforma del titolo V della Costituzione……

per citare solo le più significative, nei cui confronti non sarà forse sufficiente un solo intervento di delegificazione, ma funziona efficacemente una situazione di stallo continuo anche come effetto "trasversale" di un sistema scolastico "riformato" con lo strumento legislativo della delega, con tempi lunghissimi per la successiva legislazione (due anni) e in cui risultano chiare solo due disposizioni precettive: l’abrogazione della L.30 e l’abrogazione della L.9.

Ma soprattutto giova ricordare che le scuole, e le persone che ci lavorano, i cittadini che vi mandano i propri figli hanno dimostrato nel tempo che sono capaci di autonomia anche in assenza di legittimazione formale. Di questa domanda di partecipazione, che dagli anni ’60 del millennio scorso continua e si ripropone in forme nuove e inusuali, ma che contengono una grossa carica di reciproca legittimazione tra famiglie/studenti/docenti/scuole, si nutre oggi l’autonomia e...il processo continua…

Piero Castello

Crescere con il tempo pieno

Una contraddizione falsa.

C'è una contraddizione che ha attraversato e tuttora attraversa la trentennale esperienza del Tempo Pieno nel nostro Paese. Se il tempo pieno sia una esperienza encomiabile perché dà una risposta ad un bisogno sociale manifesto ed incomprimibile di cura ed attenzione ai bambini delle famiglie i cui genitori lavorano in una condizione in cui la famiglia, ormai ridotta al nucleo minimo, non avrebbe modo di far fronte, o se il Tempo Pieno sia una risposta ad esigenze pedagogiche che abbiano ragioni profonde nelle idee di società che nel fare scuola si vogliono attuare e promuovere e radici profonde nella epistemologia delle scienze che concorrono a formare la scienza della educazione. Dico subito che a mio avviso si tratta di una contraddizione falsa e che i due argomenti sono stati strumentalmente contrapposti da chi, per motivi diversi, era interessato al suo ridimensionamento o alla sua cancellazione.

C'è un episodio emblematico avvenuto a Torino nel 1969, tra i molti che hanno accompagnato e promosso la istituzione del Tempo pieno nel 1970 in Italia. Nel 1969 le famiglie operaie del quartiere delle Vallette hanno occupato le scuole elementari del quartiere perché volevano che funzionassero a Tempo Pieno. Torino era allora la città dell'emigrazione dal Sud ed il comune meritoriamente aveva istituiti e faceva funzionare ad un livello qualitativamente elevato oltre 700 classi di doposcuola.

Il bisogno quindi di custodia e cura era ampiamente affrontato e in gran parte risolto. Quello che gli operai affiancati da un radicato Movimento di maestre/i impegnati sul fronte della scuola democratica e popolare era un modello di scuola che fosse in grado di accettare ed integrare le diversità che fosse disponibile ad accogliere il protagonismo dei bambini e delle famiglie contro la pratica di separazione e ghettizzazione che accompagnava l'esperienza dei doposcuola. Esperienze analoghe erano diffusissime soprattutto al centro nord, Toscana, Piemonte, Emilia e Romagna, Lazio pullulavano di doposcuola istituzionali o nati da un impegno politico sul territorio che chiedevano la loro estinzione per fare posto ad una scuola che fosse in grado di dare una risposta in termini di diritti universali alle istanze di eguaglianza, democrazia, partecipazione di cui erano portatori.

Il Tempo Pieno era quindi ad un tempo la risposta ad un bisogno sociale emergente e un modello di scuola che aveva avuto una miriade di elaborazioni ed esperienze maturate nei contesti più diversi.

La scuola integrata e i fondamenti epistemologici

Alla creazione di una filosofia del Tempo Pieno avevano concorso scuole di pensiero di natura e provenienza assai diverse: la scuola attiva di Dewey , la scuola popolare di Freinet, la stessa Montessori in Italia, le ricerche di Piaget e quelle ancora poco note di Wigotsky costituivano il bordo di cultura in cui il Tempo Pieno veniva continuamente evocato o che, addirittura, ne costituiva il naturale approdo. Nel corso di tutti gli anni '60 il Tempo Pieno veniva definito con varie locuzioni allusive una tra esse ha avuto particolarmente successo ed è stata particolarmente efficace e produttiva di idee ed obiettivi che si sono poi sedimentati nel Tempo Pieno: "La scuola Integrata". L'uso di questo nome è stato assai diffuso sia in ambienti istituzionali (università, riviste, convegni, sindacati…) sia nelle esperienze informali di base e tra i doposcuola alternativi che erano nati numerosissimi soprattutto ad opera di un impegno politico nella scuola suscitato dalla grande diffusione e presa che aveva avuto la "Lettera ad una professoressa" di Don Milani. Con la locuzione "Scuola Integrata" si volevano integrare molti aspetti della vita scolastica:

  1. Integrare il doposcuola con la scuola/istruzione del mattino. Integrare quindi le attività di gioco, espressive, creative patrimonio delle esperienze dei doposcuola più avanzati con le attività di istruzione che caratterizzavano la scuola "scuola". Recuperare l'unitarietà delle attività corporee ed affettive con quelle della mente e cognitive, la complessità e l'armonia del bambino come persona.
  2. Integrare le diversità linguistiche e culturali che caratterizzavano soprattutto le scuole in quel periodo di forte immigrazione. Integrare il disagio sociale e i bambini portatori di handicap, integrazione che ebbe il suo acme con la legge 517 del 1977.
  3. Integrare l'attività degli insegnanti tra di loro, con la direzione didattica, con il personale non docente, bidelli in primo luogo. Integrare la scuola con il territorio le sue istituzioni, le componenti tra di loro, perdere il carattere di autoreferenzialità, costruire quella "comunità educante" laboratorio di democrazia di base che verrà sancita nel '74 con l'istituzione degli organi collegiali.
  4. Integrare i saperi scolastici con quelli familiari ed extrafamiliari riconoscendone il valore formativo e cognitivo, integrare la realtà familiare e ambientale con la ricerca come attività didattica prevalente nella classe, integrare il sapere e il modello scientifico con quello umanistico.

La legge 820 del '70 sanciva, all'articolo 1, definitivamente l'esistenza del Tempo Pieno anche se con alcuni limiti intrinseci: tra i quali quello di essere inserita in un contesto legislativo avente per oggetto "l'immissione in ruolo di insegnanti nella scuola elementare".

La scelta di opposizione dell'amministrazione

Anche per il Tempo Pieno come per molte altre iniziative legislative il Ministero ha attuato una strategia di svuotamento dei contenuti più avanzati che il movimento aveva imposto al Parlamento (vedi Decreti delegati: sperimentazione e Organi Collegiali).

Lo strumento adottato per contenere la diffusione del tempo pieno è stata per molti anni la politica di contenimento degli organici e quindi limitare la formazione delle classi a TP. Tipico di questa politica era il fatto che per attribuire gli organici alle scuole elementari non si tenesse conto dei Tempi Pieni. Il divisore 25 veniva applicato a tutta la popolazione scolastica iscritta per cui il risultati negativi furono diversi:

molti genitori venivano scoraggiati dallo scegliere il T.P. perché era aleatoria la possibilità di istituire le classi richieste, i Consigli di Circolo dovevano scegliere i criteri per l'accesso al tempo pieno quando il numero di classi era insufficiente ad accogliere tutte le domande, il numero degli alunni nelle classi a Tempo pieno era notevolmente più elevata degli alunni a tempo normale. Uno dei risultati fu che il TP venne caratterizzato come forma di scuola prevalentemente assistenziale ed in qualche misura ghettizzante. Nonostante tutto ciò il Tempo Pieno conosceva una crescita graduale e continua radicandosi per ragioni diverse e concomitanti soprattutto nelle città del Nord. L'impressione è che il TP si autoalimentasse per forza propria, dove nasceva si espandeva e si radicava, dove aveva poche possibilità di essere conosciuto scarsa era la richiesta. Il tutto si intrecciava con l'impossibilità degli Enti Locali , soprattutto nel Sud, di mettere a disposizione edifici scolastici e servizi di refezione idonei.

Un altro ostacolo era legato ai finanziamenti del ministero che già irrisori per le classi normali diventavano ridicoli per le classi a TP.

Lo stesso discorso vale per la formazione in servizio: le risorse indecenti e le occasioni per l'aggiornamento degli insegnanti sono state nel corso degli anni '70/'80 assai vicino allo 0, ma questo pesava particolarmente sugli insegnanti del TP che avrebbero avuto un bisogno più cogente di pratiche di cooperazione educativa e circolazione delle esperienze. Il vuoto di dati, ricerche, occasioni di riflessione in cui veniva tenuta la scuola ed in particolare la possibilità di valutare l'efficacia del TP è stata anch'essa uno strumento per relegare il TP ad un ruolo prevalentemente assistenziale.

La cancellazione ad opera della L148/90

L'attacco al Tempo Pieno raggiunge il suo acme nel 1988 con la presentazione del primo testo di quella che poi diventò la legge 148 del 1990. Il testo era lucidissimo: del Tempo Pieno non si faceva più alcuna menzione. In quella circostanza furono solo i Cobas e il Coordinamento Genitori - Insegnanti ad opporsi a quel tentativo di cancellazione. I Cobas impegnati più che altro a far sedimentare organizzativamente il grande movimento che si era espresso contro il contratto del 1988 non avevano molte energie da mettere in campo. Il Coordinamento Genitori - Insegnanti era una aggregazione nata ad hoc diffusa molto parzialmente a livello nazionale che ebbe il coraggio di battersi da sola ed esprimere contenuti diffusi e radicati ben oltre i suoi gruppi locali. Iniziative e manifestazioni di piazza furono svolte a Milano, Firenze e Roma e culminarono in uno sciopero della fame di alcuni maestre/e sotto il MPI durato 12 giorni al momento del più caldo della discussione parlamentare. L'esito fu quella modifica dell'art. 8 della legge con l'aggiunta di due commi che recitavano:

"2. Le attività di tempo pieno, di cui all'articolo 1 della legge 24 settembre 1971, n. 820, potranno proseguire, entro il limite dei posti funzionanti nell'anno scolastico 1988-1989, alle seguenti condizioni a) che esistano le strutture necessarie e che siano effettivamente funzionanti;

b) che l'orario settimanale, ivi compreso il tempo-mensa, sia stabilito in quaranta ore;

c) che la programmazione didattica e l'articolazione delle discipline siano uniformate ai programmi vigenti e che l'organizzazione didattica preveda la suddivisione dei docenti per ambiti disciplinari come previsto dall'art. 128.

3. I posti derivanti da eventuali soppressioni delle predette attività di tempo pieno saranno utilizzati esclusivamente per l'attuazione dei moduli organizzativi di cui all'articolo 121."

Il testo della legge disegnava certamente un ingessamento del TP e una sua definizione residuale e ad esaurimento, ma fu una vittoria indiscutibile anche per gli esiti successivi. Infatti le classi a tempo piano, utilizzando questa falla della legge, continuarono a crescere e la successiva iniziativa del Coordinamento (35.000 firme raccolte sotto il documento RIFORMIAMO LA RIFORMA) portò al suo sblocco definitivo con la legge 223 del 1996 che all'art. 5 sancì :

"3. Nelle scuole elementari, ferme restando il disposto dei commi precedenti, il personale delle dotazioni organiche provinciali può essere utilizzato per lo svolgimento delle attività di tempo pieno, autorizzate in deroga a quanto previsto dall'articolo 130, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione approvato con decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, in relazione ad accertate esigenze connesse alle specifiche situazioni locali."

L'esperienza del coordinamento fu emblematica: isolata completamente da tutte le forze politiche presenti in Parlamento dovette battersi soprattutto con le forze della sinistra che spudoratamente sostenevano che "la filosofia e le esperienze del Tempo Pieno venivano raccolte tutte nella nuova proposta dei moduli e che i tempo Pieno dal punto di vista organizzativo e pedagogico era indubbiamente una esperienza obsoleta e naturalmente residuale."

Le forze sindacali, in particolare la CGIL ostacolarono per quanto possibile le iniziative del Coordinamento Genitori - Insegnati, le associazioni professionali AIMC, CIDI, MCE diedero prova della nessuna autonomia e ormai totale sudditanza alle formazioni sindacali ed allo stesso Ministero che le foraggiava ampiamente attraverso il sistema dei distacchi.

E' assai rilevante che il comma sul TP che fu inserito nell'art. 8 della legge concludeva un lungo articolo dedicato a disegnare il modello dei progetti di "tempo prolungato", che non hanno mai avuto realizzazioni significative se non da parte di qualche dirigente incarognito contro il tempo pieno o intento a tamponare qualche falla dei moduli. Il coordinamento bollò senza mezzi termini i progetti di tempo prolungato come una versione aggiornata e peggiorativa dei doposcuola assistenziali del dopoguerra. Un esito fortemente negativo sul tempo Pieno la legge 148 l’ha avuto ed è stato la sua quasi totale cancellazione al sud a fronte di una espansione esponenziale nel centro Nord e nelle grandi città; a Milano le classi di TP superano il 70% a Roma il 50%

Le attuali proposte di legge.

La situazione del T. P. nelle proposte di legge di riforma dei cicli sia del ministro Berlinguer che della Moratti è del tutto analoga all'inizio del percorso parlamentare della legge 148: il TP viene lucidamente cancellato nel senso che proprio questa locuzione non esiste nei testi.

Nelle "Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria" ultimo documento in materia; in soldoni il testo che diventerà il Decreto Delegato non appena venisse varata la Legge Delega dal parlamento, ancora una volta non si nomina il T.P. alla stregua di come facevano i precedenti documenti "Bertagna 1, 2 e 3". Sebbene nel nuovo testo vi sia un aumento a 891 ore per la classe prima ed a 900 ore annue per le 4 classi successive, forse come parziale accoglimento delle proteste per il tagli iniziale ad 850 ore annue, non si parla neppure in questo contesto di T.P..

Non vengano più nominati i LARS, ma al docente Prevalente, Coordinatore e Tutor viene anche affidato il compito di consigliare alle famiglie: "soprattutto in ordine alla scelta delle attività opzionali e dell'eventuale orario aggiuntivo previsto". Previsto dove e da chi? Una svista forse nella redazione del nuovo testo, in ogni caso sempre di un pessimo doposcuola si tratterebbe.

Nelle "Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Secondaria di 1 grado" anche qui non si parla di Tempo Prolungato. Va ricordato che nella scuola media il Tempo Prolungato nasce insieme alla legge istitutiva con un aumento di 10 ore settimanali rispetto al tempo normale ( almeno 330 ore annuali). Le "Indicazioni" anche in questo caso fissano a 900 ore l'orario annuale delle classi ma con l'ambiguità di un obbligo per i ragazzi a "frequentare le lezioni per non meno di 825 ore annue". L'ambiguità cresce perché nel testo si prevede la possibilità di "un'offerta formativa aggiuntiva fino a 200 ore annue …..che si possono impiegare sia nella prospettiva del recupero sia in quella dello sviluppo e dell'eccellenza". Anche qui viene chiaramente evocato un possibile doposcuola con una funzione integrativa tutt'altro che universale.

Ma l'attacco della Moratti al T.P. è già cominciato in modo esplicito prima dell'approvazione della riforma, nel decreto sugli organici del 2002 era previsto esplicitamente che il taglio degli 8.500 posti doveva essere realizzato anche sulle classi a Tempo Pieno.

L'approvazione della controriforma Moratti

Mercoledì 12 marzo ’03 il Senato ha approvato in seconda lettura con 146 voti a favore e 101 contrari il testo della Legge Delega della controriforma Moratti. Anche in questa circostanza alla maggioranza è mancato un gruzzolo di voti nonostante il severo appello di Berlusconi; alla Camera dei Deputati erano mancati più di 100 voti, i deputati e senatori presenti hanno presentato quasi 60 Ordini del Giorno che corredano il testo: tutti sintomi di un malessere e scarso gradimento da parte dei parlamentari della stessa maggioranza per il testo di legge. All'opposizione le cose non sono andate molto diversamente, almeno in due occasioni (voto sulle pregiudiziali di costituzionalità e voto finale alla camera) se i deputati del Centro-sinistra fossero stati meno assenti la legge sarebbe stata bocciata. Particolarmente deprimente è stata la dichiarazione di voto finale da parte di un unico senatore dell'ulivo per tutto il centro Sinistra (se fossero state 6 dichiarazioni si sarebbe potuto contare almeno su un altro slittamento), senza una sola parola dedicata al merito ed ai contenuti della legge. Tutto l'intervento è ruotato sulla mancanza di fondi per l'attuazione, sulle procedure farraginose con le quali si potrà dare il via ai Decreti Delegati di attuazione. Sembrava quasi che il centro sinistra fosse dispiaciuto di queste difficoltà che avrebbero ostacolato l'attuazione della migliore delle leggi possibile.

Lo stesso spirito aleggia nell'intera pagina dedicata alla controriforma dal "IL MANIFESTO" il giorno dopo. Il problema principale sembra essere, ancora una volta, la mancanza dei fondi per l'attuazione, un accenno della Acciarini all'incostituzionalità della soppressione dell'obbligo scolastico, al rilancio della formazione professionale e – manco a dirlo – neanche una parola sul Tempo Pieno e Tempo Prolungato. Indubbiamente il Centrosinistra è obnubilato e arroccato nella difesa estrema della legge Berlinguer e questo nonostante moltissimi Deputati e Senatori diessini pensino malissimo di tutta la faccenda Berlinguer, ma non riescono a farsi ascoltare nemmeno nel loro partito. A queste posizioni fa riscontro un rischiosissimo attendismo nell'iniziativa politica: l'idea è che ci penserà Tremonti chiudendo la borsa ad ostacolare la Riforma.

Che fare da adesso in poi?

Ma non ci potrebbe essere posizione più acefala perché:

  1. Il ministro Moratti non avrà alcuna difficoltà a dimostrare a Tremonti che ogni segmento della riforma non è vero che sarà a costo zero ma comporterà migliaia di miliardi di risparmio. Si pensi solo ai 50.000 posti da insegnanti risparmiati con la graduale eliminazione di tempo pieno e Tempo prolungato ed altri 25.000 circa per la riduzione del tempo scuola normale a 900 ore rispetto alle attuali 990 annuali. Oppure delle migliaia di miliardi risparmio per lo Stato che comporterà la devoluzione di tutta l’Istruzione Professionale e Tecnica alle Regioni. Non c'è dubbio che chi conta solo sulle contraddizioni interne della maggioranza per bloccare la riforma è un povero demente.
  2. A caldo, ma avendoci pensato bene prima, la Ministra ha dichiarato: "Faremo al più presto la circolare per riaprire le iscrizioni e dare la possibilità alle famiglie di operare la scelta dell'anticipo" e ancora: "Siamo tenuti ad emanare i decreti attuativi prevedendo la copertura finanziari solo per quelli che determinano maggiori e nuovi oneri; gli altri potranno avere invece applicazione immediata". I signori sono serviti.

E’ indubbio che servirà una vigilanza costante sulle stanze del ministero ed una costante mobilitazione per bloccare, uno per uno tutti i Decreti Delegati del Ministro. Non sarà una impresa facile ma potrà riuscire soprattutto se riusciamo da subito ad informare e mobilitare i genitori. La difesa del Tempo Pieno può essere l'obbiettivo che svela l'intera manovra , l'obbiettivo che tiene uniti l'esigenza fondamentale del Tempo scuola e della sua qualità.

La scuola del signor Tempo

Mauro Bernini (scrittore e genitore di un bambino del Tempo Pieno)

Si racconta di quando nella Valle-del-Sole-che-non-Scotta arrivò un forestiero altissimo, alto più del doppio del più alto dei valligiani. Si chiamava PINO TEMPO.

Nei primi tempi i valligiani, sempre diffidenti nei confronti dei nuovi arrivati, figuriamoci di quelli alti più di due metri e mezzo, ne ebbero paura e cercarono di evitarlo.

Ma PINO non se ne preoccupò più di tanto e si costruì una capanna di legno in mezzo ai boschi. Il suo vero problema era quello di essere sempre affamato: doveva mangiare in continuazione, bere e ingurgitare ogni cosa gli capitasse a tiro.

Alcuni bambini si avvicinarono alla capanna nel bosco per vedere coi loro occhi "Il Gigante" come avevano cominciato a chiamarlo. I più coraggiosi arrivarono addirittura a spiarlo dalle finestre. Videro che teneva attorno al collo un lenzuolo, come fosse un tovagliolo. Teneva la bocca sempre aperta e vi riversava una quantità di cibo e oggetti non meglio identificati.

"CHE FAME, CHE FAMONA, CHE APPETITO, CHE APPETITACCIO!" Diceva tra sé PINO e via che inghiottiva uno sgabello, un albero del pane, la chioma di un salice piangente e ogni altra prelibatezza disponibile.

I bambini del villaggio erano stupiti e divertiti da quello che vedevano. PINO, si capiva, non era pericoloso; era solo triste perché "Sentiva sempre un languorino" o "Aveva una voragine nello stomaco" come diceva lui.

"BAMBINI..." Tuonò il gigantesco mangiatore quando li vide bighellonare vicino alla sua casa.

"PORTATEMI DA MANGIARE ! LE COSE PIU’ BUONE CHE TROVATE, E VI RICOMPENSERO’ CON I TESORI PIU’ PREZIOSI. MA RICORDATEVI, NON MANGIO LA CARNE, ODIO LA CARNE!"

I bambini non se lo fecero ripetere; si sparpagliarono per il bosco e sulle pendici dei monti alla ricerca di prelibatezze. Portarono succulenti quadernoni in salsa di temperino, righelli cotti al dente con ragù di carboncino, un cestino di vimini pieno di gambe di sedia, un paté di pietre focaie, una collezione di scarabei reali e coleotteri del sottobosco. "Non contengono carne." Gli dissero i tre bambini che avevano cacciato gli insetti.

Il gigante ringraziava e inghiottiva quanto più cibo poteva ma non riusciva a sentirsi del tutto sazio.

"GRAZIE, MA NON MI SENTO PIENO. NON MI SENTO PER NIENTE PIENO. HO FAME. MANGIARE, MANGIARE, MANGIARE!"

I bambini cercarono da tutte le parti e si inventarono cibi sempre più sfiziosi e originali:

cortecce di pioppo in agrodolce, gomme pane, sulla gomma pane facevano molto affidamento, niente riempie lo stomaco come la gomma pane, ma più roba portavano più PINO sembrava affamato.

Un giorno un bambino che non aveva più nulla da dare, si affacciò al portone della capanna, portò le mani ai lati della bocca e prima con voce timida e stentata, poi con maggiore sicurezza, cominciò ad articolare una bella, lunga risata:

"Ah ah ah ah..."

Il gigante guardò quel bambino come se fosse matto, pensò per un attimo di dirgli di fermarsi... .ma poi si rese conto che la risata gli piaceva, e molto anche. E ne bevve una lunga e buona sorsata.

"AHHHHHHHHHH! SQUISITA." Disse asciugandosi la bocca con una manica della giubba. Nessuno aveva visto PINO più contento di così. Infatti, dal profondo delle sue viscere arrivarono simpatici e incoraggianti ruttini di soddisfazione.

Un secondo bambino, una piccolina di nome Evelina, anch’essa senza più niente da dare che non la propria voce, provò a ridacchiare poco convinta. Ancora una volta, tutti si resero conto che PINO TEMPO se ne dissetava ed era più che contento perché si sentiva finalmente PIENO.

Il signor TEMPO fu così felice che cominciò a raccontare delle storie. Erano le storie più belle che i bambini avessero mai sentito. Parlò loro dei vecchi tempi andati, di quando i boschi erano monti e di quando i mari erano da un’altra parte. Ci furono storie grandi per i più piccoli e storie piccine per i più grandi. Raccontò con la sua vociona leggende di dei e saghe d’eroi, avventure antiche e novelle nuove finché venne la sera e tutti fecero ritorno a casa, stanchi ma colmi di cose da ricordare.

Il gigante costruì una campanella d’argento che prese a suonare sempre più allegro e gioviale. "VENITE DOMANI. VI ASPETTO, BAMBINI, CHIAMATENE ALTRI E DITE LORO SEGUANO IL SUONO DELLA CAMPANELLA." Li invitò.

I bambini, nel tentativo di sfamare il loro nuovo amico, erano rimasti impegnati quasi tutti i giorni per l’intera stagione delle piogge. Furono felici di aver infine svelato un segreto che sembrava irrisolvibile. Continuarono a frequentare il signor TEMPO diventato finalmente PIENO, impararono un sacco di cose divertenti, seppero ingegnarsi al meglio delle loro possibilità, e si abituarono a rimanere sempre insieme fino a sera.

Senza rendersene troppo conto, lasciarono che i giorni nuovi si sostituissero ai giorni passati; crebbero in statura e in curiosità, avvicinandosi sempre più alla cima degli alberi del bosco e imparando le cose del mondo.

Ma perché si vuol eliminare il Tempo pieno?

Cristiana Collevecchio (insegnante)

Nella scuola elementare, ho avuto modo di fare esperienza sia nell’organizzazione modulare che nella scuola a tempo pieno.

Proprio avendo lavorato in ambienti molto diversi tra loro, sento di poter affermare che la presenza continuata in uno spazio da condividere comporti per tutti i partecipanti una ricchezza formativa non facilmente descrivibile. Forse i primi a parlare, qui, oggi, dovrebbero essere soprattutto i bambini o, se proprio non riusciamo ad ascoltar le loro voci, magari dovremmo ascoltare quelle dei loro genitori.

Proviamo a riflettere per un attimo sull’intensità del termine: pieno. Parliamo di un tempo, durante il quale si può imparare a conoscersi, a condividere più cose e ad andare oltre il mero spazio nozionistico che la grande madre scuola è disposta ad offrire ai propri figli. Il tempo pieno chiama in campo un tempo di vita diverso. Quel che è straordinario è che anche gli insegnanti che, volenti o nolenti, si ritrovano a lavorare in una scuola a tempo pieno, sono chiamati a sviluppare una professionalità diversa e particolarmente bella, a mio parere (butto lì una qualificazione estetica, che troppo spesso negli spazi burocratici, viene rigorosamente evitata!). E io, invece, intendo parlare proprio di bellezza: condividere con dei bambini una giornata, distribuendosi la fatica con altri adulti con cui bisogna imparare a conoscersi e rispettarsi per lavorare nel migliore dei modi, è davvero una gran bella scuola di vita. Evidentemente, questo succede anche nel tempo "normale", però, secondo me, con una differenza: in quest’ultimo caso, infatti, il tempo è soprattutto tempo "scolastico". Ed è un tempo quantomeno suddiviso tra diversi scambi che non riescono a giungere al "pieno", appunto! Come dire? Rispetto all’organizzazione a tempo pieno, nei moduli sembra di vivere in una realtà "spezzettata", parziale, nella quale i tempi di umana conoscenza sono gestibili in altra misura: la scuola diventa scuola in senso più stretto, secondo me. Per capirlo, però, bisogna aver vissuto entrambe le esperienze. Molti anni fa, una mia insegnante delle medie, ci diede un gran bei tema da svolgere, utilizzando una frase di Seneca: "Non scholae, sed vitae discimus". Forse andrebbe meditata di più, e sempre meglio, una frase così, da chi opera nella scuola e per la scuola, e soprattutto da chi, nel governarci, dimentica che gli apprendimenti sono fonte di ricchezza, solo là dove si sia capaci di non perdere, mai di vista i concetti di persona, motivazione ed esperienza qualitativamente valida. Nella scuola a tempo pieno, le persone sono chiamate a mettersi maggiormente in gioco e questo richiede entusiasmo e disponibilità continui. E questo genera la possibilità di un arricchimento formativo di ben altra sostanza da quelli "normalmente" e burocraticamente proposti.

Capisco che tutto ciò non possa proprio rappresentare un argomento degno di discussione, per chi ha troppa urgenza di far tornare i conti, senza considerare minimamente quali siano gli effettivi bisogni di crescita dei bambini (che, in questa fase, hanno più che mai necessità di confrontarsi con una nutrita schiera di coetanei), quali le nostre reali esigenze e le effettive esigenze delle famiglie, che, a quel punto, sarebbero costrette a rivolgersi, a strutture private. Viene il legittimo, irriverente dubbio che l’intento finale del gioco sia proprio (anche?) questo. Allora, però, almeno, non facciamo finta di preoccuparci per "l’utenza". Diciamolo chiaro: quel che deve tornare sono determinati conti. Punto. Come per questa maledettissima guerra! Però allora diciamo chiaramente tutto: la scuola a tempo pieno funziona già, e funziona ad un livello qualitativo notevolissimo. Almeno questo, lo si sappia e lo si dica a gran voce. Si sappia, da prima, quel che si rischia di perdere!! E che c’è già. Ma perché si vuol eliminare ciò che funziona?

Scuola impacchettata…scuola liberata

I maestri della scuola "Dino Romagnoli – partigiano", Bologna

Era un bel giorno di primavera… una primavera di lavoro e di lotta.

Verso la fine di maggio arrivava alla felice conclusione un progetto nato da una collaborazione tra l’11^ Istituto Comprensivo e la Galleria d’Arte Moderna. Il titolo del progetto era "La natura della natura morta".

Lo stesso titolo della mostra realizzata alla GAM in quei mesi.

L’idea era quella di portare i ragazzi, attraverso un percorso di didattica dell’arte, a produrre opere che riflettessero il processo creativo degli artisti analizzati.

Il 23 di maggio si teneva la festa di fine anno scolastico, realizzata con la partecipazione attiva dei genitori. Nell’ambito della festa venne allestita la mostra delle opere create dagli alunni.

In questo vitale contesto di fervore educativo e creativo, gli insegnanti e i lavoratori della scuola si trovavano impegnati anche sul fronte aperto dalla annunciata "controriforma" Moratti. Ci risultava particolarmente evidente come, nelle ipotesi di tagli e ristrutturazioni, il modello di scuola che aveva permesso di concretizzare l’esperienza di quel progetto sarebbe stato cancellato. Di più: risultava evidente come, in particolare il tempo pieno, venisse archiviato con tutto il suo patrimonio didattico-educativo e le sue ancora inesplorate potenzialità.

Gli insegnanti, che già durante l’anno scolastico precedente si erano battuti contro il progetto Berlinguer, si vedevano ripresentare, con l’ipotesi dell’insegnante "prevalente", un modello gerarchico e burocratico di scuola.

La contraddizione tra il lavoro che svolgevamo – e svolgiamo – e tale modello ci risultava insopportabile.

Da queste considerazioni nacque l’idea di organizzare tre giornate di mobilitazione.

La giornata della festa si trasformò in un atelier collettivo: nelle classi viene proposta un’attività di studio dell’opera di Javacheff Christo, l’artista bulgaro che impacchettava monumenti, opere architettoniche e siti naturali.

La traduzione pratica dello studio fu l’impacchettamento della "scuola elementare Dino Romagnoli – partigiano".

Nei giorni precedenti questa azione educativa tutti fummo coinvolti nel reperimento e nell’organizzazione dei materiali, trovati a basso costo e autofinanziati: dimostrazione che, prima dei finanziamenti e degli investimenti pur necessari e imprescindibili, la scuola pubblica di qualità ha bisogno di idee forti e coinvolgenti.

Alle 16,30 la popolazione del Pilastro, raccoltasi per l’occasione, trovò la scuola nascosta da enormi teloni bianchi, stretti da funi colorate. Cartelloni e striscioni illustravano le motivazioni della protesta.

Sì, l’azione educativa si coniugava con la necessità di difendere un diritto di tutti.

La scuola rimase impacchettata, ma ben più visibile e trasparente di prima. Una scuola aperta, frequentata in quei giorni d’occupazione da cittadini e intellettuali. Per la prima volta la stampa si interessava della scuola, sottolineando la continuità tra i contenuti educativi – il sapere – e le aspirazioni e i bisogni della società.

L’assemblea pubblica che sanciva l’occupazione discusse e approfondì questi temi.

Insegnanti di tutte le scuole cittadine, genitori, lavoratori della scuola, sindacalisti, dirigenti scolastici: ci lasciammo non più solo con la speranza, piuttosto con l’idea di una nuova primavera.

La difenderemo anche contro il lungo inverno della ragione in cui vorrebbero farci cadere.

Cronaca dell’occupazione di una scuola elementare

Rita De Luca e Marzia Mascagni, insegnanti scuola Longhena, Bologna

Martedì 23 aprile 2002

Stanchi, esasperati, stufi di assistere al lungo processo di provvedimenti a danno della scuola pubblica, noi lavoratori della scuola elementare Longhena di Bologna, maggiormente penalizzata essendo scuola a Tempo pieno, abbiamo deciso di dare corpo alla nostra protesta con un gesto inusuale. Una ventennale escalation fatta di tagli in nome di una politica del risparmio, riduzione d’organico, accorpamenti di classi, depauperamento a vantaggio delle scuole private, che dal 1999 usufruivano della Legge di Parità, i nostri stipendi, l’unica cosa non entrata in Europa (il potere d’acquisto era sceso del 30% negli ultimi dieci anni) e, "ciliegina sulla torta", la controriforma Moratti...

...E ALLORA BASTA!!!

Per un giorno abbiamo deciso di fare come gli studenti delle superiori, occupare la scuola, riappropriarcene simbolicamente per ribadirne i problemi e, cogliendo un invito dei cobas, "dare vita ad una staffetta di mobilitazioni autogestita anche in altre scuole, per una resistenza attiva". L’intenzione era anche quella di raggiungere i genitori, che abbiamo incontrato nel pomeriggio dello stesso giorno in assemblea per far loro conoscere cosa stava davvero succedendo nel mondo della scuola, visto che le TV erano tutte filogovernative e falsavano la realtà. Abbiamo così finalmente potuto comunicare che da molto tempo eravamo arrabbiati. Fin da quando l’ex ministro Berlinguer aveva aperto la strada alla scuola dell’Autonomia e ai finanziamenti alle scuole private.., e quest’ultimo governo non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Noi ci sentivamo particolarmente a rischio in quanto la Moratti aveva dichiarato che proprio dai tempi pieni sarebbero iniziati i tagli più importanti.

All’inizio del mese di aprile 2002 noi insegnanti e i sette collaboratori scolastici della scuola Longhena durante la riunione di Interclasse abbiamo votato all’unanimità la giornata di occupazione e ne abbiamo informato i genitori.

I 350 bambini della scuola hanno passato la giornata del 23 aprile impegnati nei laboratori di cucina, di pittura, di musica e nell’orto. Avevamo deciso di svolgere tutte quelle attività tipiche del tempo pieno che non si sarebbero più potute fare a causa dei tagli economici e della riduzione del tempo scuola.

Nel pomeriggio è arrivata la banda Roncati che ha trascinato in giro per il parco grandi e piccoli fra canti e balli. La giornata con i bambini è terminata con un concerti rap di ex-alunni della scuola, è proseguita solo per insegnanti, collaboratori e genitori riuniti in assemblea. Alla nostra iniziativa hanno risposto immediatamente altre scuole che si sono mobilitate. I giornali ne hanno dato grande spazio e, come effetto collaterale, il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale ha condannato pubblicamente l’iniziativa come "ai limiti della legittimità". Avevamo raggiunto il nostro obiettivo: che i problemi della scuola pubblica tornassero sulla bocca di tutti.

15marzo2003

E’ passato un anno, la riforma Moratti è stata approvata, i tagli d’organico continuano con una silente emorragia che sta dissanguando la scuola pubblica.

Il tempo stringe, siamo tutti chiamati a reagire.

Qualificare il Tempo Pieno

Lori Zanetti, insegnante SE Monterumici 1° DD Bo

Sono entrata in ruolo con il concorso del 1976 e ai corsi quadrimestrali presentai una tesi sul tempo pieno (De Bartolmeis era stato il mio "maestro" ).scelsi il tempo pieno più sperimentale della provincia di Venezia ci insegnai per 9 anni, con molti colleghi/e del MCE della cgil/scuola.

Nel 1985 decisi di vivere a Bologna convinta che in una realtà di forte espansione del tempo pieno mi sarei trovata bene.

Soffro ancora dei postumi da disadattamento.

Presto ho scoperto che la quantità non sempre è sinonimo di qualità ,che aveva ragione De Bartolomeis quando, nei primi anni settanta, affermava che "una scuola a tempo normale estesa per 8 ore e’ doppiamente funzionale al sistema".

Molti/e mi hanno detto per consolarmi, che prima non era così, che quando c’erano gli insegnanti comunali (allontanati dalla scuola pubblica di stato dall’allora ministra della P.I. Falcucci) anche il tempo pieno bolognese era sperimentale.

Ma dove erano finite le classi aperte, i laboratori, l’alternativa ai libri di testo, i percorsi di ricerca sperimentali?

Unico respiro: le aule didattiche in città e nel territorio (dove sono finiti una parte degli insegnanti comunali estromessi dalla scuola pubblica di stato).

Poi c’è stata l’introduzione dell’organizzazione modulare, vista come il superamento del maestro unico, e molto tempo ed energie sono state spese per rendere questo modello accettabile.

Il tempo pieno rimaneva funzionale come "area di parcheggio", su richiesta di genitori entrambi lavoratori. Ora e’ diventato un modello di scuola residuale. La contrapposizione tra scuola a tempo pieno e a tempo modularizzato si avverte ancora oggi soprattutto nel momento dell’iscrizione: sempre più in questi anni sono diminuite le richieste al modulo e aumentate le richieste al tempo pieno.

Il pericolo rimane che, in caso di graduatorie , il tempo pieno diventi sempre più la scuola dell’handicap, degli stranieri, dei casi sociali che vanno più tutelati e garantiti a livello di maggiore frequenza .

Quindi un ghetto all’interno del ghetto della scuola pubblica che già si assume totalmente, rispetto alla scuola privata, queste problematiche sociali .

È giusto difendere il tempo pieno, ma contemporaneamente credo sia fondamentale qualificarlo, riempiendolo di contenuti che ne giustifichi l’esistenza come modello di scuola: non si può pensare che sia sufficiente la richiesta sociale di estensione del tempo scuola.

Da addetta ai lavori mi sento di lottare solo per un tempo pieno che tuteli lavoratori e utenti.

o almeno un aspetto deve essere assolutamente legato all’altro.

Il tempo pieno deve essere contenitore di maggiori opportunità educative e "strumento di limitazione delle diseguaglianze sociali" (E..Mazzi) .

Come appartenente al movimento di cooperazione educativa ribadisco di non condividere:

  1. l’accezione riduttiva dell’acquisizione di "competenze fondamentali" ridotta a pura trasmissione di tecniche (leggere, scrivere,contare): la separazione che si profila tra istruzione e formazione assegna all’istituzione scuola solo il compito dell’istruzione delegando ad altri soggetti sociali e/o privati il compiti della formazione in una logica di frammentazione e divisione dell’intero sistema.
  2. la riduzione drastica del tempo scuola: l’offerta alle famiglie di un orario "più flessibile" rispetto agli attuali rischia di produrre una riduzione dei repertori disciplinari in termini di impoverimento e non di essenzialità. Ambiti legati all’intelligenza creativa, punto di forza dei programmi della scuola di base degli ultimi vent’anni, rischiano di essere intesi non come opportunità di sviluppo per tutti, ma come riconoscimento del talento di pochi.
  3. il laboratorio inteso come un’aula speciale in cui si esplicano progetti straordinari ed aggiuntivi, in cui i gruppi operano a livello di competenza: al contrario il laboratorio dovrebbe essere il luogo vivo dell’ordinarietà del fare scuola, ambiente in cui si mettono alla prova ipotesi, si costruiscono percorsi, in cui siano congruenti progetto e gestione del gruppo che apprende .
  4. il profilarsi di nuove gerarchizzazioni di docenti, che trovano il loro fondamento nella riduzione del monte orario delle discipline e nel ritorno all’immagine tutta ideale e completamente a- storica del "maestro unico" (e colpisce anche questa declinazione sempre al maschile di una categoria ampiamente femminile): chi saranno questi docenti di categoria A? come saranno reclutati e pagati rispetto a quelli di categoria B?

Un’esperienza di Tempo Pieno

Silvia Fedozzi e Carla Carpigiani (insegnanti)

Parliamo spesso, e con un pizzico di nostalgia, del nostro trascorso scolastico: una come maestra comunale che ha passato un po’ tutte le tappe storiche di questo modello di scuola, l’altra giovane maestra alla prima esperienza scolastica.

In comune avevamo, ed abbiamo ancora, una grande voglia di lavorare, di provare, di confrontarci, noi due così diverse!

Allora - ci riferiamo ai primi anni’80 - non c’era la divisione delle materie, ma la rotazione, per noi quindicinale; perciò ognuna di noi si occupava di tutte le discipline. Oggi questo potrebbe fare inorridire quegli insegnanti abituati alla specificità della loro materia, è vero ognuno dì noi si sente portato per alcune discipline e già per quelle a volte si sente inadeguato di fronte al programma, ai tempi, all’aggiornamento; tuttavia non è sbagliata a nostro parere, una breve riflessione sui lati positivi che per noi questa modalità ha comportato, tenendo presente che l’insegnante della scuola elementare, almeno per ora, è una figura ben diversa dai suoi colleghi della scuola media e media superiore.

Per noi condividere una materia ha comportato un atteggiamento di maggior dialogo ed ascolto: entrambe conoscevamo i nostri alunni ed il nostro fine non si riduceva esclusivamente alla materia da insegnare, ma al modo, alla ricerca di strategie migliori affinché i nostri alunni potessero capire, imparare, potessero avere delle motivazioni. Diciamo che era anche confortante sapere che c’era condivisione di responsabilità:

soprattutto alla scuola elementare i processi di apprendimento avvengono attraverso delicati meccanismi che non sempre si riescono ad individuare, ed il poter discutere ed osservare insieme ci ha permesso una maggiore chiarezza ed interventi più mirati. Per noi la programmazione era diventata un momento molto importante di scambio, di arricchimento, di aiuto e di confronto su un lavoro che era comune.

Beh, quando oggi ci guardiamo indietro pensiamo proprio a questo, all’aiuto che ci siamo date, all’entusiasmo che ci siamo trasmesse, alla carica che ognuna di noi metteva in campo.

Non abbiamo voluto dire che questo modello sia stato migliore di quello adottato oggi, abbiamo solo voluto ricordare una bella esperienza, l’importanza dell’intesa e della voglia di imparare e l’esigenza del confronto sugli alunni e sul lavoro, cosa che oggi ci sfugge sempre di più, vincolate ed ostacolate come siamo da "scartoffie" ed adempimenti formali.

Ricordi della nonna di Teresa

(I ricordi sono di Paola Montuschi, Teresa Mazzanti frequenta la 3a alla scuola Fortuzzi)

Cosa ti ricordi nonna Paola del tempo pieno?

Nei primi anni ‘70 ero rappresentante di classe presso le scuole elementari Pascoli (Bo) frequentate da tua zia Teresa. Facevo parte del comitato dei genitori e degli insegnanti. In quest’occasione si incominciò a parlare del Tempo pieno. Esisteva già una possibilità, per i bambini e le bambine i cui genitori lavoravano entrambi, di usufruire del "dopo scuola". Non si trattava però di un servizio educativo ma di un badantato per gli alunni più poveri. I sostenitori del tempo pieno lo volevano invece come servizio educativo per tutti i bambini e le bambine. Tutti desideravamo che i nostri figli non avessero più i compiti da svolgere a casa durante la settimana e la possibilità di stare con loro anche il sabato. Inoltre ritenevano che la socializzazione tra i bambini offerta dalla scuola organizzata col tempo pieno sarebbe stata migliore, i momenti ricreativi più lunghi. Ci spingevano nel sostenere ciò non solo motivazioni educative ma anche politiche perché la scuola a tempo pieno sarebbe stata un sostegno importante per le madri che lavoravano ma non potevano retribuire una baby-sitter. Un sostegno quindi educativo e interclassista. Tuo zio Francesco iniziò a frequentare la scuola elementare a tempo pieno nel 1975. E’ stata un’esperienza molto ricca e bella. Fino ad allora c’era stata una netta distanza tra i genitori e gli insegnanti, Il tempo pieno contribuì a creare una collaborazione nuova e un’occasione di relazione nuova. Si decise inoltre che le due insegnanti non si sarebbero divise in "maestra del mattino" e "maestra del pomeriggio" per non creare nessuna discriminazione tra le due.

Salviamo il tempo pieno!

Leandro López-Nussa (ex allievo, studente 3a media)

Ricordo i miei cinque di scuole elementari con piacere. Innanzi tutto è importante dire che facendo il tempo pieno mi sentivo veramente bene e, sicuramente quasi tutti i bambini delle elementari e quasi tutti i miei coetanei delle medie che hanno lasciato la scuola a tempo pieno, sono d’accordo con me.

Credo che la cosa migliore da fare sia provare ad immaginare come sarebbe stato per me il modulo.

In primis non tutti i bambini hanno o il nonno, o la nonna, o lo zio, o la zia e parenti vari per occuparsi di loro nel pomeriggio mentre i genitori lavorano.

Nel caso che i genitori potessero anche solo portare a casa il bambino, cosa farebbe quest’ultimo?

Certo, si può guardare la TV per un’oretta, giocare con la play station o con il computer un altro po’, ma l’inattività non fa bene alla salute.

Oltretutto la gioventù è il periodo in cui si ha più bisogno di amici e quindi i tanti bambini delle elementari che non possono essere accompagnati a casa di compagni per giocare, che fanno per divertirsi?

Con il tempo pieno invece, oltre a stare insieme agli amici a lezione, i ragazzini hanno due o tre ore di ricreazione in cui possono giocare e fare attività fisica.

Vorrei poi aggiungere (questo ha meno importanza) che i compiti che deve fare l’alunno del modulo ogni pomeriggio, sono davvero una pizza!

Questi sono i motivi ampiamente validi per sottolineare la convenienza del tempo pieno.

Come ultima cosa vorrei fare una domanda alla nostra stimata ministra della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti:

Cara ministra, come mai sta togliendo soldi alla scuola pubblica per darne a quella privata, mettendo a rischio il tempo pieno? Immagino che Lei sappia cosa stia causando tutto ciò e mi fa pensare che Lei stia facendo in modo di fare andare tutti alla scuola privata. La prego di chiarire le mie perplessità.

Con ossequi, da un ex alunno di una scuola a tempo pieno.

Cosa rischiamo di perdere con la riforma

Una mamma della classe 2B ("Bottego")

Sono la mamma di due bambine di 7 e 14 anni. Lavoro. Tutte e due le mie figlie hanno frequentato e frequentano la scuola elementare a tempo pieno. Se con la prima figlia qualche dubbio c’era stato, fra tempo pieno e modulo, lavorando allora su turni rotativi la scelta del tempo pieno era necessaria.

Dopo l’esperienza vissuta con la figlia maggiore per la minore non ho avuto alcun dubbio; la valutazione sul tempo pieno era totalmente positiva sotto ogni punto di vista.

La caratteristica di tutto il corso di studi era stata la possibilità di avere il tempo per fare con la dovuta e necessaria tranquillità qualunque attività la programmazione prevedesse. Mia figlia quando usciva da scuola era completamente libera di fare ciò che più le poteva piacere senza compiti di mezzo o altre cose obbligatorie da condividere con i genitori. Aveva tempo per stare in famiglia, fare sport, giocare con gli amici, leggere, guardare un film, nulla comunque di troppo impegnativo. Un buon rendimento scolastico era comunque garantito dal fatto che le insegnanti potevano ritornare più volte sulle cose più complesse. Anche dal punto di vista dell’autonomia nell’organizzazione dello studio il fatto di fare i compiti o studiare assieme ai genitori una volta alla settimana dava comunque la possibilità di valutare eventuali lacune lasciando libera la bambina di organizzarsi coi suoi tempi e modi a scuola.

Con la seconda figlia la scelta non era più necessaria, avendo io ora un lavoro part-time, ma non ho avuto dubbi.

Ci tenevo che anche lei vivesse in questo modo la scuola elementare; e anche in questo caso la valutazione è a tutt’oggi completamente positiva. Mia figlia minore va in piscina una volta alla settimana con la classe, fa tantissime uscite di vario tipo, ha ottime relazioni con i compagni avendo anche il tempo di giocare con loro. Una maestra sola al mattino e il "doposcuola" al pomeriggio sono un’involuzione inaccettabile per chiunque abbia figli in età scolare. Nel frattempo le scuole private offrono tutte il tempo pieno, prolungato spesso anche per le medie. Credo sia evidente che dietro la nuova riforma si muovano grossi interessi economici e altrettanto grossi interessi civili e morali. Se questo progetto passasse tutti noi perderemmo qualcosa di importante, compreso purtroppo l’entusiasmo di mia figlia piccola che a scuola adesso ci va proprio volentieri.

Protagonisti del processo di crescita

I docenti della Scuola Elementare Statale "L. da Vinci" di S. Antonio di Pavullo (MO)

Numerosi insegnanti del plesso hanno avuto modo, nel corso della loro carriera, di sperimentare diversi tipi di organizzazione del tempo-scuola, da queste esperienze deriva una comune riflessione che conduce ad alcune osservazioni di seguito elencate. Il tempo pieno non rappresenta unicamente una risposta ai bisogni di custodia dei bambini per quelle famiglie che, per esigenze lavorative, non saprebbero altrimenti a chi affidarli. Già questo risulterebbe comunque un compito non trascurabile, se veramente si è convinti del ruolo educativo e sociale dell’istituzione scolastica. Il T.P. non è importante poiché si ritiene che l’alunno necessiti unicamente di una frequenza scolastica più estesa dal punto di vista temporale, rispetto all’organizzazione dei moduli, ma è fondamentale in quanto consente di rendere accessibile al bambino uno "spazio educativo" più ampio, all’interno del quale egli possa sentirsi protagonista del proprio processo di crescita a livello globale e della propria esperienza formativa. I tempi ed i ritmi dell’organizzazione modulare risultano talmente compressi e frenetici da far apparire frammentario, agli stessi docenti che vi operano, il quadro complessivo del processo di formazione-istruzione e sono talmente incalzanti da risultare accettabili solo per alunni dotati di ottime potenzialità. La percezione di quanti hanno avuto esperienza di entrambe le strutture organizzative è che il T.P. permetta di recuperare anche i bambini che possiedono ritmi di apprendimento più lenti e situazioni di partenza svantaggiate, ciò grazie ad un tipo di struttura più flessibile, alla maggior fattibilità di interventi a classi aperte ed al maggior numero di ore di contemporaneità dei docenti. Queste ultime rappresentano una preziosa risorsa per l’attivazione di progetti non solo di recupero ma anche di qualificazione dell’offerta formativa. Da quando è iniziato il cammino dell’autonomia, si è accentuata la necessità di dare maggiore spazio, nei curricoli, all’ambiente extrascolastico, utilizzando il metodo della ricerca, compiendo esplorazioni sul campo. Questo approccio di tipo investigativo, che conduce ad una problematizzazione della realtà, risulta di difficile attuazione nei moduli perché le stesse uscite didattiche vengono complicate dal dover operare su 2 classi e quindi dall’elevato numero di alunni. Per lo stesso motivo si fatica parecchio ad utilizzare una didattica di tipo laboratoriale e diminuiscono le possibilità di lavorare a piccoli gruppi.

In conclusione ci pare che il T.P. sia in grado di meglio rispondere alla complessità e problematicità dell’odierna esperienza educativa ed alle sue molteplici sfaccettature, oltre ad interloquire in modo più aperto ed attento con il territorio, nella prospettiva della reciprocità e dell’integrazione delle esperienze formative.

La scuola del largo respiro

Maria Guerrini e Luciana Potena, insegnanti, Bologna

Cosa può evocare oggi la parola "orto" nella mente di un bambino di città? Poco o niente che abbia attinenza con la realtà. Dall’anno scorso, però, per gli alunni delle scuole Fortuzzi l’orto è un’entità ben precisa che ha a che fare con la pacciamatura, il compost, la semina a spaglio perché tutto questo è stato sperimentato.

Un orto a scuola è stato possibile proprio perché stiamo parlando di una scuola a tempo pieno, dove si può rubare spazio alle lezioni frontali, uscire in giardino, sporcarsi le mani con la terra, bagnarsi se si innaffia e mangiare a pranzo la rucola e i ravanelli coltivati .

Di questi esempi se ne potrebbero fare tanti: i murales sulle pareti della scuola, i paracaduti su modello di quello di Leonardo, il libro sul sistema solare lungo 250 metri,…., tutte attività, comunque, che evidenziano una modalità di intervento particolare, caratterizzata da tempi di lavoro non concitati, distesi, che permettono di fare entrare all’interno dei muri scolastici esperienze che difficilmente i bambini vivrebbero altrove.

Il tempo pieno, nato come risposta ad un’esigenza sociale, ha assunto connotati propri rispetto al tempo normale prima e al tempo modulare poi: è un modo di insegnare diverso, quasi privilegiato perché ha a disposizione tempi di largo respiro, che permettono di rispettare, con tranquillità, i differenti ritmi di apprendimento e di maturazione degli alunni, di integrare, con migliore speranza di successo, bambini con handicap, di proporre attività empiriche in cui gli alunni costruiscono il loro sapere.

Tempo pieno per tutti!

Daniela Turci, dir. Scolastico 8° DD Bologna

Innanzitutto credo si debba parlare della scuola in generale con un po’ di rispetto, un po’ di più di quello che ho sentito, o meglio percepito dal Ministro che ieri sera parlava della "sua" riforma, in una trasmissione televisiva, riguardante la scuola tutta. Intendo attribuire alla scuola elementare ciò che credo meriti, per ciò che ho vissuto personalmente, per ciò che valuto ora, per ciò che vedo, partendo anche da quello che tante famiglie desiderano per i loro figli.

Partirò dalla considerazione che proprio il Ministro Moratti ha formulato sul generale fallimento della scuola modulare, ella ha sostenuto che c’è stato un netto calo di prestigio della scuola elementare, dal "modulo" in poi. Credo che proprio nel campo della scuola non sia possibile, anzi sia un grave errore generalizzare su ciò che è buono, e ciò che non è più valido. Nel tempo modulare si sono sperimentate tante possibilità, tante articolazioni di orario, un diverso team docente e non è vero che sia tutto un fallimento. Sicuramente la collegialità è difficile e faticosa da realizzare ma assolutamente necessaria a qualunque team docente voglia collaborare insieme. Subito ho pensato: ma allora perché non valutare come il modulo si è ,in alcune zone territoriali, sviluppato, arricchito? Cosa chiedono i nostri genitori? Chiedono più tempo scuola, chiedono che i loro figli stiano insieme a docenti di valore che formino e costruiscano insieme una vera comunità che cresce giorno per giorno. Perché quindi il mondo politico non ha pensato a riformulare il valido tempo pieno come tempo scolastico ricco di esperienze educative? Perché non tornare a questo tempo scuola, anche con più insegnanti, con più laboratori? Manca evidentemente la volontà politica da cui dipende l’elaborazione di una legge di riforma della scuola. E pare che la riforma futura non indichi un tempo scuola né di modulo né di tempo pieno! Quali le ragioni sociali che portano a queste decisioni?!

Un tempo più disteso, un tempo gradito a tutti gli alunni che hanno genitori lavoratori e genitori anche non lavoratori. E se ciò avviene significa che la scelta è nella qualità di ciò che i docenti realizzano in questo tempo scuola, negli spazi in cui la scuola vive, nella qualità del personale collaboratore. Il tempo pieno permette articolazioni ancora più ampie, può modularizzarsi, non c’è fretta per tutto, per i programmi, per i piani di lavoro annuali, per attività che integrano ed arricchiscono le aree disciplinari. Ma il mondo politico studia, vede, comprende le richieste della società, che è formata da persone? Dove è il valore della persona!!! "Buttar via" modelli di vita nella scuola come si fa con il tempo pieno significa per me non avere rispetto della scuola, ancora una volta merce di scambio tra forze politiche anche contrastanti tra loro che governano il nostro paese. E’ giusto quindi parlarne in tutte le possibili occasioni, comunicare fortemente ai decisori politici le considerazioni positive che portano al sostegno del tempo pieno affinché il buon senso prevalga anche in chi ha il potere decisionale forte e con le sue azioni salvi ciò che di buono, molto buono c’è nella scuola statale a tempo pieno.

Il censimento dei lombrichi

Ilaria Pacetti (ex allieva, studentessa 3a media)

Fra sei mesi andrò al liceo e non mi sembra vero che solo pochi anni fa, tutti i giorni, attraversavo la strada di corsa (ero sempre in ritardo , nonostante abitassi davanti alla scuola) per entrare alle Fortuzzi, dove mi aspettava una giornata allegra, certo anche impegnativa, piena di compiti, studio e ore di lezione, ma ricca soprattutto di giochi sereni e festosi, tutto in un clima amichevole e rassicurante.

Ogni volta che rievoco i ricordi delle elementari - rivedo le case fatte con le foglie dell’ampio giardino , la siepe che ci serviva da nascondiglio, i bimbi eccitati che giocano e si rincorrono fra un coro di risate, strilli e incitazioni gioiose e acute -sono pervasa da un profondo senso di nostalgia per quegli anni in cui il tempo si dilatava a misura di bambino, così che tutte le esperienze di studio e di svago sembravano non finire mai.

Per me, la scuola, rappresentava un perfetto equilibrio fra divertimento e studio. La realtà scolastica era piena di belle iniziative scientifiche e creative come per esempio i censimenti dei lombrichi o i concorsi sul tema degli insetti. L’imparare era divertente, senza stress e vissuto in un ambiente sereno che ricordo con gioia.

I crinali del Tempo Pieno

Gianluca Gabrielli, maestro

Di cosa non può fare a meno la scuola a Tempo pieno? Che cosa è indispensabile per poter avviare quel circolo virtuoso di partecipazione, creatività didattica e relazione che la caratterizza come scuola di comunità dai tempi distesi? Su quali crinali costruiamo giorno per giorno la riuscita della nostra scuola?

Spesso me lo chiedo insieme ai colleghi che da tempo vivono questa esperienza. Ad oggi le risposte, provvisorie, che mi sembra di poter formulare coinvolgono tre ordini di fattori.

Il primo elemento indispensabile è l’accettazione dei tempo distesi. Nel tempo pieno il bambino rimane a scuola per otto ore, più di un operaio in fabbrica. E’ evidente che queste ore devono essere organizzate in equilibrio tra didattica e socializzazione. Lo stesso ambito didattico deve lasciare ampi tempi organizzati in situazioni a-didattiche, in cui l’allestimento di un ambiente educativo possa offrire occasioni di crescita senza creare gabbie e percorsi forzati. Tutti noi insegnanti sappiamo bene queste cose, eppure il rischio di farci prendere dall’ansia curricolare è sempre più forte. Spesso proviene dall’onda lunga delle cattive mode pedagogiche recenti, come l’ossessione valutativa e la frammentazione della didattica in unità minime modulari. Eppure il cuore del tempo pieno sta proprio nei tempi distesi, invalutabili… Solo chi mantiene intatto questo cuore può inventarsi pratiche come quella del "mattino parlante", in cui i bambini, a coppie o a gruppi, hanno il tempo di parlarsi, senza vincoli di argomento, nello spazio che preferiscono (magari sotto il banco-grotta). Ascoltarsi e parlarsi è cosa difficile, può dare piacere, va sperimentata e imparata. Il tempo pieno "danza sul crinale", quando si riempie di queste cose.

Il secondo fattore di rischio è la mancata crescita del senso di comunità. Questa scuola non vive solo dentro le mura scolastiche ma si fa forte della condivisione, da parte di tutti i protagonisti, di un’idea di scuola (pubblica), di una comunicazione frequente e trasparente, di un collegamento vivo alle ricchezze (non economiche!) e ai problemi del territorio. Bidelle, bambini, genitori e insegnanti costruiscono, con le loro mani e le loro menti, le relazioni che possono decretare il successo o il fallimento (la sterilità) di questa esperienza. Quando queste relazioni decollano la scuola a tempo pieno "prende vita" ed è capace di divenire protagonista sia verso l’esterno (problemi del quartiere, questioni generali come la guerra) sia verso l’interno (capacità di ascoltare ed essere attivi verso l’integrazione, il recupero, far crescere lo spirito solidale tra i bambini…). Insomma: il tempo pieno non può vivere come un semplice "servizio", pena il rischio di scivolare nel baratro della "professionalizzazione" dell’insegnamento.

Il terzo elemento critico è la "volontà politica di rispondere alle richieste di tempo pieno". Ormai sono dieci anni che la classe politica, senza distinzioni di parte, ha interrotto il processo di crescita del tempo pieno rimanendo sorda alle richieste di genitori e insegnanti di creare e vivere questo tipo di scuola. Recentemente l’attacco è divenuto ancora più forte attraverso la leva della riduzione degli organici che mina dall’interno la stessa funzionalità del modello. E’ un crinale difficile da superare, perché sta a metà tra la scuola e l’extrascuola; si rischia sempre di credere di non poter fare nulla. Ma la strada da percorrere è chiara: è quella che in questi anni ci hanno indicato i numerosi "comitati genitori-insegnanti in difesa del tempo pieno" che sono sorti periodicamente per sventare affrettate liquidazioni in nome del risparmio (ricordo le oltre 2000 firme raccolte qui a Bologna nel mese di aprile 2001). Ed è una strada che saremo costretti a continuare a percorrere, oggi più di ieri, se non vorremo che – da un giorno all’altro – i nostri "tempi distesi" vengano venduti al mercato dell’istruzione.

Due righe sul tempo pieno

Maddalena Micco, maestra

Mi è stato chiesto di scrivere due righe sul tempo pieno. Sembra facile. Inoltre io sono una maestra, e per di più d’italiano. Che ci vuole?

Forse, per cominciare una grande capacità di essere sintetica e focalizzare un punto solo. Io, invece, sono una gran chiacchierona, una "scatter-brain". Questo potrebbe essere sicuramente il primo dei motivi per cui lavoro, da 23 anni, nel Tempo Pieno: mettere i bambini nella condizione di parlare, esprimersi, sforzarsi a dire qualcosa senza avere, già dai primi giorni (hanno solo 6 anni!), la grande preoccupazione della "pertinenza stretta al tema". Inoltre, li si lascia dire quello che pensano senza interromperli per correggere tutti i "poi", i "che", i tempi dei verbi che corrono qua e là, i passati remoti dei verbi irregolari decisamente "imperfetti", insomma la morfosintassi è tutta un po’ particolare. Ma se li interrompi con le correzioni li frustri e li blocchi perché si accorgono che è tutto un errore e, ciò che è ancora più frustrante, pensano che loro sono un errore e cadono nel mutismo più totale!

E’ buffo ritrovarsi in alcuni momenti ad esprimersi come i bambini! Che razza di integrazione!

Ma che grande soddisfazione quando quegli stessi "topini" dopo cinque anni hanno eliminato tantissimi errori, alcuni anche tutti gli errori e sono in grado persino di "argomentare" e "confutare" ciò che dice la maestra. Credetemi non sto scherzando.

Non dimenticherò mai Rioda, un bambino di 7 anni che alla domanda di un esercizio "Dici sempre quello che pensi?" è stato l’unico a rispondere "NO" ed ha spiegato "Io non posso dire che Maddalena (la maestra) è stronza, però lo penso!" La prima reazione è stata una mia risata fragorosa e lo sconcerto dei bimbi che si aspettavano un: "Non si dicono le parolacce e tu l’hai detta alla maestra! Ti metto una nota!" Ma ché nota, cari miei! Lui si è espresso semplicemente col linguaggio che sentiva in casa e dalla televisione. Stava per suonare la campana, la discussione era già durata mezz’ora, ma non tutti avevano capito il mio messaggio. "Riprendiamo domattina! Mi interessa capire cosa vuoi dire e quando lo pensi".

E così è stato. La mia unica preoccupazione era mettere Rioda (e i bimbi scandalizzati) nella condizione di capire dove fosse l’errore e che esprimesse, senza timore alcuno, tutto ciò che aveva dentro.

Il mattino dopo abbiamo ripreso il discorso. Ho drammatizzato una situazione di dialogo familiare fortemente violento sia verbale che fisico (lancio di un piatto pieno di minestra non accettata, per il cattivo sapore, dal papà) ed ho invitato i bimbi a trovare gli errori in quel mio unico gesto e quale fosse, secondo loro, il modo migliore per comunicare il proprio disappunto in maniera corretta e, avendo anche ragione!

Quanto sono buffi quando raccontano le loro esperienze di vita legate alla problematica in discussione: scuola-casa-calcio-tivù. E quanta sofferenza quando ti raccontano "il mio papà lo fa, urla, sbatte la porta, picchia la mamma per avere ragione, se ne va per qualche giorno quando litiga con la mamma".

Tu li devi tranquillizzare dicendo che l’amore c’è sempre, purtroppo sono scatti d’ira che fanno soffrire e, quindi, è meglio sforzarsi ad imparare fin da piccoli a controllare il proprio istinto.

Che soddisfazione vedere mettere in pratica quanto discusso nel momento più cruciale: l’intervallo, momento in cui giocano liberamente, senza il controllo dell’insegnante (poveri illusi, non sanno che la coda dell’occhio è sempre sopra di loro!).

Tranquillizzare i bimbi, dare la certezza che possono esprimersi liberamente, crescere nella consapevolezza di capire quello che fanno, vedono, sentono. E per questo, non bisogna conoscere la parola "fretta", devono avere la certezza che HANNO PIENO TEMPO!

Questo, credetemi, non esiste in un’organizzazione modulare, dove ogni insegnante sta al massimo due ore consecutive e deve realizzare il programma del giorno, perché poi deve uscire e non sa quando recuperare il tempo "perso" a parlare, giugno fa presto ad arrivare ed il programma bisogna finirlo…………

Sono sempre stata terrorizzata all’idea di finire in un’organizzazione modulare. Innanzitutto almeno 50 schede di valutazione da firmare e compilare, ma ciò che più mi terrorizzava era perdere il rapporto con i bimbi!

Mio figlio ha frequentato, causa forza maggiore, il "modulo", oltretutto con insegnanti che lo sperimentavano per primi. Signori miei, quanto lavoravano di corsa quei maestri e quei bambini, quanto veniva delegato alle famiglie che dovevano rispiegare ai propri figli la lezione, perché dovevano portare i compiti eseguiti, pena la nota! Che errore madornale ho fatto. Ricordo che mio figlio quando gli ho presentato una mia collega maestra, mi ha semplicemente chiesto "Discute?". Poveretto era stato educato già dalle maestre del nido a "Non si picchia si discute!" Che domanda avrebbe mai potuto fare? I suoi insegnanti delle elementari avevano apertamente dichiarato "Manca il rapporto affettivo con i bimbi, d’altro canto il tempo è quello che è, dobbiamo finire il programma! Dovete darci una mano a casa".

Ai genitori dei bimbi che frequentano il tempo pieno, per quanto ne sappia io, questo non viene detto. Viene dato ai bimbi tempo per ascoltare, esercitarsi a scuola, riflettere con i compiti a casa il fine-settimana e ritornare su un argomento che non è stato ben interiorizzato, conoscere e studiare "una scuola grande come il Mondo" (come dice Rodari) e non solo le lezioni "ex-cathedra".

Io penso che ai bimbi del tempo pieno - per lo meno questo avviene nella mia scuola - venga data la possibilità di riflettere sulle proprie azioni, di mettersi in discussione, analizzare le varie espressioni del viso e della voce, di essere solidali con chi ha più difficoltà, ritrovare la propria vita (gioie e dolori, sentimenti) nei protagonisti di libri letti dall’insegnante che per questo riserva un pomeriggio intero.

Santi numi quanti giovani e adulti oggi non sanno discutere, mettersi in discussione, comunicare, non sanno stare in mezzo agli altri, non amano leggere.

Quante volte ho sentito dire "Tempo Pieno, pieno di che?"

La scuola ha come finalità primaria di formare la persona. Bene, riempiamo il tempo con la socializzazione, piena fiducia ai bimbi affinché tirino fuori il meglio di loro stessi, per potersi costruire delle certezze e costruire un mondo di solidarietà, vera integrazione e vera pace.

Vi sembra poco? Nella mia esperienza ho toccato con mano che puntando su questi obiettivi, già dai primi giorni di scuola, puoi essere in grado tu docente e metti i discenti in grado di lavorare, con la sola interruzione per l’intervallo, anche per una mattinata intera! Perché? Semplice, hanno la certezza che qualsiasi problema può essere discusso e risolto insieme. UTOPIA? Forse, ma io preferisco questo modo di lavorare e quindi, pretendo che la scuola, ed in particolare il Tempo Pieno, non venga fatta agonizzare e…morire.

 

Il T.P. all'Aurelio Saffi di Forlì: dalla risposta ad un bisogno alla ricerca della qualità dell'offerta formativa.

Documento redatto congiuntamente dai docenti delle classi di tempo pieno del Plesso "Aurelio Saffi", I° Circolo di Forlì.

Il I° Circolo Didattico di Forlì conduce, da diversi lustri, un'esperienza di classi a T.P. che, nata sull'onda delle richieste, numerosissime, sia del quartiere, sia di ambiti circoscrizionali più prossimi, ha visto, nel tempo, crescere il livello d'approfondimento metodologico, le proposte d'arricchimento formativo, le innovazioni didattiche, le sperimentazioni.

La storia nasce affiancandosi alla chiusura dell'esperienza delle allora cosiddette Attività Integrative, queste sì rispondenti alla richiesta delle famiglie dell'assistenza pomeridiana, tuttavia già, nei primi anni ottanta, integrate con la dinamica progettuale delle classi con tempo normale.

Fu nell'ambito delle attività integrative che si svilupparono i primi laboratori informatici, quelli teatrali, di scienze, di educazione psicomotoria.

Con la scelta di passare pienamente a sezioni di T.P., il quadro cominciò a prendere una forma più definita e le esperienze precedenti si fusero più saldamente con le linee progettuali delle classi di T.P.

Da ormai più di dieci anni sono stati avviati, non a caso particolarmente nelle sezioni di T.P., oppure da queste mossi e poi diffusi nelle classi parallele dove erano condivisi, alcuni progetti di sperimentazione e d'innovazione didattica che paiono, ai docenti del I° Circolo, elementi significativi di qualificazione della scuola nel suo complesso.

Nelle classi di T.P. si è cercato di mantenere proprio la tipicità di rapporto che qui s'instaura fra docenti ed allievi, una sorta di dimensione scolastica dove ancora vige il senso del tempo disteso e dove si sono maggiormente evitati rischi di secondarizzazione, generalmente avvertiti, negli ultimi anni, un po' in tutta la scuola elementare italiana.

Ciò ha provocato, generalmente, la costruzione di rapporti onesti e corretti con la componente genitori, ne ha sviluppato la volontà di partecipazione e, rispetto a quella dei docenti, ne ha rafforzato il livello di consapevolezza collegiale.

Proprio da questi beni preziosi, così strettamente coordinati fra loro, è cresciuta la determinazione di sperimentare strade nuove che, pur se non hanno coinvolto tutto il Circolo, ne sono state da questo seguite e supportate con attenzione.

Le scelte di avviare ampie e profonde sperimentazioni intorno ai temi della valutazione con ben due differenti e non coincidenti opzioni: una più volta a criteri docimologici "vertecchiani", l'altra più attenta alla valutazione-formativa non calata con criteri "oggettivabili", sono nate, non a caso all'interno di sezioni di Tempo Pieno e poi, successivamente sono state allargate anche ad altre classi a modulo.

Egualmente è avvenuto con l'innovazione didattica della storia detta "a ritroso", dove, sulla scorta delle ricerche del prof Mattozzi e del prof. Pinotti fu avviata una didattica della storia volta fornire i criteri per la formazione delle categorie di ricerca, escludendo l'offerta di "mattoncini" di sapere posti in fila, uno dietro l'altro, ma partendo dal presente, storico e contestuale, del bambino e procedendo, come un archeologo che scava negli strati di un sito, senza pretendere di fornire chiavi di lettura universali, né di allargare lo sguardo su tutta la consueta programmazione ministeriale.

Anche qui la possibilità di gestire tali percorsi in modo perfettamente multidisciplinare è stato ampiamente favorito dai tempi (calendarizzazioni, tempo scuola, ecc.) tipici della dimensione del T.P.

Da questa consapevolezza di valore didattico che meglio si concretizza nelle classi di T.P. e che così è percepito anche dall'utenza è scaturita, sovente, la volontà di genitori che, pur non avendo necessità di custodia pomeridiana dei figli, raccontavano di voler scegliere il T.P. proprio "per la migliore e completa proposta educativa…".

E' evidente che quando sono apparse le prime avvisaglie di attacco al T.P., (purtroppo proprio dai governi di centro sinistra) la prima risposta fu quella di cercare di concretizzare un'opera di informazione volta alle famiglie, cercando di far cogliere il senso della pericolosità delle nuove linee politiche in atto.

Qui la nostra opera, pur continua, ha sortito minori successi, certamente vi sono state adesioni, anche formali a documenti, proposte, campagne e riunioni informative, ma nel complesso in trincea ci rimanevano gli insegnanti.

In questa fase ci sembra che le famiglie siano prese da altri problemi, non che lottare per la scuola sia un di più, ma c'è una generale stanchezza ed una profonda sfiducia.

Certamente occorrerà pensare a momenti di controinformazione più fantasiosi e che "buchino" l'apatia generale.

Siamo preoccupati, in particolare, per le famiglie delle nuove classi prime, dato che via via, negli anni, presso la componente "genitori" ci è sembrato prevalere uno spirito più individualista e meno propenso a giocarsi in prima persona su battaglie da condurre collettivamente.

Per una conoscenza delle riflessioni pedagogiche emerse nel nostro Circolo vedi anche:

"Metodo e Valutazione" A.A.V.V. in Postprogrammando n. 3 - www.cadnet.marche.it/postprogrammando/3

"Il carbone nero della valutazione" Claudia Fanti www.edscuola.com/archivio/ped/befana/htm

"Sulla Valutazione" www.eduscuola.it/archivio/ped/sulla_valutazione.htm (vedi anche "Interventi Sulla Riforma" e "In Bacheca", sempre di Educazione & Scuola, sulle riforme Berlinguer e Moratti)

"Programmazione di Storia - Carta d'intenti" A.A. V.V. in www.edscuola.it/archivio/ped/forli.html

"Oggettivare la soggettività" di Gabriele Attilio Turci in Postprogrammando n. 3 www.cadnet.marche.it/postprogrammando/

Dal sogno all’incubo

Vittorio Delmoro (insegnante sc. elem. Mondavio – PS)

Sono entrato nel Tempo Pieno nell’81 (in un paese dove funzionava già dal 76) e sono ancora qui. La mia fu una scelta, dopo oltre dieci anni di pluriclassi di campagna e di montagna. Fino ai 90 fu tutto un ribollire di innovazioni, di sperimentazioni, di corsi di formazione a ripetizione; una profusione di energie che portava a volte al raddoppio dell’orario settimanale, senza alcun compenso aggiuntivo.

Si era giovani, forse (benché io non proprio…); si veniva da un decennio di trasformazioni sociali, di costume e politiche esaltanti; si voleva piantare alcune radici nel profondo delle nuove generazioni…

Seguirono alcuni anni di stasi (dopo la riforma dei moduli), quasi paghi del riconoscimento del nostro impegno, tradotto in norme di legge e in circolari applicative.

In effetti guardavamo ai moduli un po’ dall’alto, noi del tempo pieno; avevamo sperimentato per anni sia la multidisciplinarità, che l’approfondimento dei saperi; avevamo maturato rapporti di team e tecniche di sociopsicologia e ci sembrava che i neomodulisti si arrabattassero come matricole, dopo anni di porte chiuse e di insegnamento unico.

Ci sembrava insomma di non avere più nulla da inventare, se non la didattica quotidiana (quella cambia ogni giorno…).

Poi però vennero le prime proposte di autonomia, giunse la Commissione dei Saggi e prese il via la Riforma dei Cicli : si annunciava una nuova stagione di sfide, soprattutto per noi cresciuti su di esse.

Giovane non era ormai più nessuno, tutti sopra gli anta, ma l’entusiasmo sembrava intatto; il movimento riprendeva vigore : qualcuno era stato rapito dalla famiglia o dai genitori anziani, ma i più si rimisero in marcia.

Si riprese a girare l’Italia per i convegni, ci si immerse nelle nuove tecnologie informatiche, si lavorò prima alla Carta dei Servizi e poi al PEI e al POF : le idee ripresero a circolare e il confronto si fece serrato.

Risale a quegli ultimi anni novanta il sogno che feci una mattina insonne.

 

Sono le otto e trenta, arrivo a scuola come sempre un po' trafelato e trovo gli alunni distribuiti in diversi locali, chi a leggere, chi a guardare la TV, chi a disegnare, chi a giocare, chi a costruire qualcosa, chi a ballare…

Assieme a me entrano altri insegnanti (alcuni sono già lì, con gli alunni) e ognuno si reca in un posto diverso, si inserisce nell'attività del gruppo, oppure propone al gruppo di fare qualcos'altro, magari giocare al mago dei numeri.

Intanto un altro collega gioca con le parole a costruire filastrocche o scherzi linguistici o a risolvere parole incrociate a gruppo; un altro è in collegamento Internet con una scuola di Milano e si scambiano lavori e informazioni; l'insegnante di inglese si sente cantare con i suoi alunni una canzoncina in lingua, mentre in palestra giocano a come mangiano gli animali…

Sulla porta dei locali non sta scritto aula di, ma stanza delle parole, stanza dei pensieri, stanza dei ragionamenti, stanza della lettura, stanza dei numeri, angolo delle forme, angolo del se e del forse, stanza della musica, stanza della TV, laboratorio delle idee, laboratorio dei movimenti, laboratorio dei suoni, laboratorio dei gusti e dei sapori, stanza delle comunicazioni, stanza del teatro, angolo dei travestimenti, angolo delle costruzioni, stanza dei giochi…

Gli alunni non hanno quaderni, i libri stanno in giro e nella biblioteca, se scrivono scrivono al computer e poi stampano, oppure scrivono su blocchetti o su fogli posticci.

Non ci sono astucci, il materiale è distribuito nelle stanze e negli angoli, a disposizione di chi vi si trova; nell'archivio si trovano ordinate cartelle col nome di tutti gli alunni, dentro le quali stanno raccolti fogli, documenti, produzioni di vario tipo.

Dopo un intervallo di libertà per rifocillarsi e ingurgitare qualche caloria, si riorganizzano altri gruppi di livello per certi apprendimenti difficili da acquisire (quell'acca maledetta…), ma in un modo che può essere divertente, magari con delle scenette dialogate.

A pranzo insegnanti e alunni (gli insegnanti sono in un tavolo tutto per loro) vengono serviti da alcuni alunni, mentre gli altri conversano più o meno sottovoce.

Dopo un periodo di gioco libero in giardino, durante il quale qualcuno va al parco, qualcun altro va al campo sportivo, qualcun altro ancora si fa una passeggiatina (alunni e insegnante), si rientra a scuola e ci si distribuisce in diversi laboratori (manualità, creatività, comunicazione, drammatizzazione, narrazione…).

Quando suona il campanello (dieci minuti prima del termine), ci si prepara per uscire (niente zaino, tutto sta a scuola, solo il giubbotto) e ci si abbraccia tutti, dandosi appuntamento al giorno dopo.

Uscendo dall'edificio, mi volto a leggere l'insegna : SCUOLA GIOCOSA.

La mia non era (non è) una scuola così, ma l’idea che potesse diventarlo mi intrigava e la nuova Autonomia, più il POF, più l’entusiasmo dei miei colleghi ne costituivano dei buoni presupposti.

Ci si mise al lavoro, come sempre, partendo dal confronto fra noi, con l’intento di provare ad imprimere ancora una volta un carattere alla nostra scuola, dopo qualche anno di omologazione.

I tagli ci sorpresero proprio all’inizio del nuovo percorso; furono tagli cattivi, perché colpivano proprio il tempo pieno e furono tagli dolorosi, perché inferti da un governo ritenuto amico.

L’impegno prese quindi una strada del tutto diversa, quella della lotta per la sopravvivenza, altro che scuola giocosa!

Per mesi e mesi ne soffrì pure la didattica, finora sempre preservata dai condizionamenti esterni; le nostre programmazioni si ridussero a bollettini di guerra e al calcolo delle vittime. E’ stata lunga ed è stata dura. Ci siamo ripresi solo all’inizio del corrente anno scolastico, riottenendo la restituzione del maltolto.

Ma nel frattempo il mondo attorno a noi era profondamente cambiato; cambiato il governo, cambiato il ministro, bloccata la riforma, avviata la controriforma…

Siamo stati spinti a passare da una trincea all’altra, a rimetterci l’elmetto di cui ci eravamo appena sbarazzati, a riprendere in mano bandiere e cartelli appena riposti e dimenticati, seppure circondati da una moltitudine che consola, ma rattrista : tutti costretti a tralasciare la didattica per fare spazio alla difesa delle condizioni di sopravvivenza.

All’inizio sembrava invero più una passeggiata che una marcia militare, un incontro festoso reso forte dagli ideali, come a Barbiana : ci sembrava che le nostre ragioni fossero così profonde e così giuste da sbaragliare qualsiasi oppositore, foss’anche il ministro e il governo. Non c’erano da quella parte argomenti che reggessero al confronto, si trattava di un’accozzaglia di propositi facilmente confutabile; solo il pedagogista di corte (Bertagna) tentava di fornire un qualche velo pedagogico alle mire sconclusionate del nuovo potere.

Ci sembrava che nel giro di pochi mesi tutto il soufflé sarebbe precipitato, tradendo la sua natura impalpabile. E invece la controriforma è diventata legge e i tagli sono assurti a strumento di governo della scuola.

Vogliono rubarci il tempo come si toglie l’acqua ai pesci, asfissiandoci senza sporcarsi le mani.

Vogliono comprarci come mercenari, nominando tutor qualcuno di noi come si faceva coi capetti nei reparti di Mirafiori.

Vogliono dividerci con un pugno di Euro, basandosi sul bisogno economico cui ci hanno ridotti.

Vogliono metterci contro le famiglie, dando loro l’illusione di contare di più nella scuola.

Vogliono frastagliarci, scompaginarci, isolarci con tutta quella serie di individualizzazioni che passa pure per i contratti separati.

Vogliono toglierci il gusto della scuola, riducendola ad ufficio di smistamento alunni.

Vogliono far prevalere la cultura del fare (e dell’apparire) su quella dell’essere.

E allora il sogno s’è trasformato in incubo.

Sulla porta si leggeva Scuola del Mattino, che sembrava più una indicazione che una minaccia. L’edificio era silenzioso, anche se l’ora lo faceva presumere abitato. Le porte delle aule tutte rigorosamente chiuse; all’interno sedevano composti sui banchi ben allineati fino a trenta alunni; il loro atteggiamento ordinato ed intento a leggere (a scrivere) contrastava con la grande varietà degli indumenti e degli zaini firmati. Il tutor in cattedra provvedeva a raccogliere schede su schede e ad inserirle in voluminosi raccoglitori. Nel laboratorio informatico ciascun alunno stava davanti al suo computer e l’uso delle cuffie rendeva l’ambiente più silenzioso di una biblioteca. Dall’aula in fondo al corridoio giungeva l’eco ritmato di un coro vocale : sei per sette quarantadue, sette per sette quarantanove, … Nell’aula di prima si faceva catechismo. Niente odore di mensa nell’aria; i laboratori chiusi a chiave : aperti solo di pomeriggio…

L’incubo non è ancora realtà, ma io credo che in queste condizioni a noi del tempo pieno (ma credo a molti altri) resti una sola strada : la resistenza.

Per questo ritengo che il titolo di questo convegno debba assumere un significato diverso : il tempo pieno non crescerà (almeno fino a quando non tornerà un governo amico), ma quello che già c’è deve vivere e al suo interno prosperare, fruttificare, creare le basi per il prossimo futuro.

Come un’enclave circondata dal nemico : un certo numero di soldati vengono assegnati alla difesa contro le incursioni esterne, ma tutti gli altri si dedicano a sperimentare la scuola nuova da proporre alla collettività esterna, non appena le condizioni lo consentiranno.

I tempi pieni di oggi devono diventare le zone liberate del territorio nemico, dei fari di attrazione per tutti i partigiani della libertà, i nuovi asili reggiani famosi in tutto il mondo, dove l’intera comunità prova a vivere secondo regole nuove. [23/2/2003]

Che fare nel fortino?

Vittorio Delmoro (insegnante sc. elem. Mondavio – PS)

Raffaele Josa ci ha invitati tutti quanti a tornare alla didattica.

Noi ci abbiamo provato, per un anno: non ci siamo riusciti.

I fatti: il Provveditore (quando comandava) ci ha tolto un insegnante, riducendo il nostro organico da dieci a nove; in effetti l’ha tolto all’organico dell’Istituto, ma il nostro capo ha pensato bene di infliggere anche a noi l’onere. Pertanto per un intero anno abbiamo avuto mezzo insegnante in meno. Abbiamo tentato di fronteggiare l’emergenza con tutte le possibilità offerte dall’autonomia e dai rapporti extrascolastici : qualche ora recuperata da un paio di professori di scuola media (orario a disposizione), qualche ora da un insegnante esterno pagato dal comune, qualche ora dalle nostre contemporaneità, … Alla fine ci pareva di avere riottenuto tutto l’orario (40 ore settimanali). Pia illusione!

I professori di scuola media, oltre ad essere molto cagionevoli di salute, si stancarono presto; l’insegnante comunale si sdoppiò, le supplenze dovettero essere coperte dalle residue contemporaneità. Risultato: in certi momenti contammo anche 21 insegnanti complessivi (dei nove di partenza).

I nostri alunni, abituati fino ad allora alle facce di 4 insegnanti (uno prevalente, due di completamento e la specialista di inglese), si trovarono di fronte ad un vorticoso ricambio: sostegno, insegnante part-time, professore di scuola media, insegnante del comune, supplente temporaneo, …

Sembravano diventati tutti cavalli pazzi, senza regole, senza una strada, senza un riferimento.

I nostri incontri settimanali di programmazione erano ridotti ad ingegneria organizzativa, per collocare ogni persona al posto giusto, a coprire i buchi, a turare le falle.

Per fortuna le cose più interessanti e piacevoli per i nostri alunni erano garantite dall’intervento di due specialisti esterni (altre facce, altri metodi) che li conducevano attraverso i territori del teatro; noi interni eravamo presi da faccende più concrete.

Le nostre ore di contemporaneità sono state quasi interamente destinate a tappare i buchi; io per esempio non ho potuto realizzare (per la prima volta in vent’anni) neppure un audiovisivo, neppure un cartone animato.

È stato un anno da dimenticare e solo per un taglio di mezzo insegnante!

Quel che è peggio è però la decisione con cui siamo usciti da quell’incubo : mai più così!

Vale a dire che il prossimo taglio (se ci sarà, ma combatteremo) verrà pagato con meno orario, cioè diminuirà il tempo scuola, sarà tagliato un pezzo (una classe, …) di tempo pieno.

Alla didattica, dunque, non si riesce proprio a tornare, quando ti tagliano le risorse indispensabili.

Per questo ogni riduzione d’organico non giustificata da riduzione delle classi va combattuta con ogni mezzo, persino i blocchi stradali, gli scioperi bianchi, l’assalto ai palazzi.

Con tutto il resto invece si può convivere, anzi si possono costruire le zone liberate e i fortini di resistenza.

Prendiamo il taglio dei fondi (per l’autonomia, per il funzionamento, per l’aggiornamento, …); da anni ormai coinvolgiamo l’ente locale e i genitori a collaborare per fornire alla scuola i soldi che le permettano di confermare (aumentare) l’offerta formativa; non ci spaventa questo ricorso ad un privato che vive la scuola come propria e noi insegnanti come una risorsa.

Prendiamo le brutture della controriforma morattiana; credete forse che non riusciremo ad adattare le velleità del Portfolio in un documento di vero spessore documentale, scevro dalla burocratizzazione delle scartoffie? Pensate che non saremo capaci di adottare Piani Personalizzati di Studio in una maniera molto più simile alla attuale individualizzazione, che ai desiderata del pedagogista di corte? Ci spaventeranno forse i pargoli cinquenni inopinatamente forzati ai banchi elementari? Non avremo la forza di rispondere compatti al dirigente in cerca di tutor, NO GRAZIE? Non sapremo rispondere ai famosi ispettori INVALSI che da noi non alberga la cultura della selezione?

Ma certo che fra noi esistono le competenze e la determinazione a fare tutto questo! Basta farlo!

La controriforma è impregnata di efficientismo e di risparmio dei tempi (e dei costi)? Noi ci lasciamo andare alla distensione, senza ansie programmatorie, senza valutazioni pressanti; abbiamo cinque anni di tempo, meglio prendersela calma.

La controriforma indirizza alla personalizzazione dei percorsi? Noi diamo invece spazio alla comunità, alla contaminazione, all’intreccio di percorsi differenziati, ma con un fine generale; percorsi in cui diversi siamo tutti, ma anche uguali nei diritti e nelle opportunità.

La controriforma vuole dividerci nei ruoli e nelle mansioni? Noi ci unifichiamo nei ruoli educativi e nelle mansioni apprenditive; il team è il nucleo minimo (tre, quattro, cinque insegnanti), il collegio di plesso è l’assemblea decisionale della scuola, l’interclasse ne è la gestione; nessuno occupa un ruolo preminente, né separato.

La controriforma mira a disgregare il tessuto scolastico, offrendo alle famiglie la possibilità di esternalizzare alcuni apprendimenti? Noi cercheremo di convincere le famiglie (coi fatti, visto che non temiamo la concorrenza) che il miglior apprendimento sta all’interno della comunità scolastica; se poi qualcuno vorrà uscirne, libero di farlo.

Noi nel nostro piccolo siamo determinati, speriamo di non essere i soli. [2/3/2003]

Il tempo pieno: un’esperienza che non è facile abbandonare

Maestra Sandra, "Romagnoli", Bologna

Chi ha bisogno di tempo non aspetti tempo: se lo prenda e lo metta nella scuola. Così ho fatto durante i miei primi anni di impacciato tempo "normale", con anomali rientri destinati a qualche bambino in difficoltà o a operazioni di manovalanza paradidattica particolarmente laboriose: semplicemente, il tempo non ci bastava.

"Povero me, povero me! Farò tardi!", continuava intanto a gemere il Coniglio Bianco, che passava nei pressi o più lontano. Aveva le sembianze di commesso, medico, impiegato postale o dell’anagrafe, sconosciuto passante, conosciuto convivente, avventore, genitore, insegnante, direttore...

Da una trentina d’anni ho trovato rifugio nella scuola elementare a tempo pieno e sono stata in qualche caso travolta dai bisogni, anche esorbitanti, dei bambini: di attenzione e di parole, da parte dell’adulto, soprattutto. Questa richiesta si esprime spesso in forme sempre più oblique come se le successive "covate", alcune più di altre e in alcune aree più che in altre, avessero imparato a fare a meno di quel risicato nutrimento, decretandone, implicitamente, la svalutazione.

Quando esco da scuola, anch’io indosso la mia livrea di coniglio: ho debordato dal tempo, che a volte ti può divorare.

E’ necessario incanalare il suo flusso ed è stato un bene consolidare una ripartizione di ambiti, approfittando della pluralità delle figure: oltre ad evitare i confusi accavallamenti di alcune delle prime esperienze, garantire ad ogni insegnante uno spazio di azione significa offrire, a chiunque lo abiti, l’opportunità di ricongiungere i fili di un dialogo spezzato e di non venire risucchiati dalla spirale di uno specialismo esasperato che costruisce artificiosamente discipline e progetti. La relazione, la ricchezza dell’interazione verbale, la contaminazione fra cult…, no, preferisco "stili di vita" sono in gran parte dentro i nostri spazi di lavoro.

"Si ricordi che il tempo lavora a nostro favore, non sia impaziente", mi diceva un pazientissimo direttore per sedare le mie ansie di giovane insegnante: la combattiva "Lettera a una professoressa" dei ragazzi di Barbiana e le "Esperienze pastorali" del loro parroco e maestro, don Milani, mi facevano sentire in colpa per quasi tutto.

La scuola a tempo pieno è una vera scuola… per gli insegnanti, questo è certo. Ho ancora tanto da fare e da imparare e, forse, ormai è tardi. Mi consola il pensiero che la presenza maestro mediocre possa essere compensata da altre più valide: questa, se si passa sopra la sua meschinità, e dove non bastassero le altre, potrebbe essere un’altra ragione per non rimpiangere l’unicità del docente, nella scuola elementare.

Tuttavia, non desidero certo un tempo pieno affollato di adulti, farcito di discipline come una cassata, prigioniero di tempi contingentati. Vorrei un tempo pieno modellato sulle diverse esigenze: all’occorrenza andante o moderato o allegro e, mi piace pensare, "con brio". E poi ancora: melodico, sincopato, perché la natura, almeno quella di bambini e ragazzi, i salti li fa, eccome. Rap? Perché no? Swing, qualche volta: indolente e sornione.

Sfido l’accusa di decadente e sogno la silhouette del grande Fred (Astaire) che esita sull’appoggio di un piede, srotola sublimi piroette e si porta in cielo oggetti danzanti e l’aria intorno.

I tempi della relazione

Andrea Canevaro (pedagogista)

Cari organizzatori, in questo periodo non riesco proprio a fare di più se non mandarvi questi documenti. Il tempo pieno ha un riferimento all'educazione attiva, e quindi il collegamento è forte. Inoltre, occupandomi più di extrascuola che di scuola, credo di poter intervenire sulla "cornice" più che sul "quadro". Spero che vi accontenterete. Scusate se non posso proprio fare di più. Un augurio di buon lavoro

Andrea

Da "Aiutarsi ad imparare"

"L’insegnante può formalizzare alcune forme spontanee o implicite di rapporti fra pari. Tale è la proposta di aiuto-reciproco. Il rapporto di aiuto reciproco è, con tutta probabilità, presente nelle dinamiche che si sviluppano spontaneamente in un gruppo di pari e che potrebbero essere soffocate sul nascere da condizioni avverse. Non è raro che un docente interrompa e riprenda le forme spontanee di aiuto reciproco, oppure non intervenire e "tollerare". Ma può non accontentarsi di essere spettatore di tali possibili e non scontati rapporti di mutuo aiuto e diventare invece un elemento organizzatore. E’ utile strutturare il tempo e lo spazio dell’aiuto reciproco, dando consegne tali da permettere l’instaurarsi di un rapporto di aiuto non sottoposto all’arbitrio. Nello svolgimento dell’aiuto è bene avere del materiale che organizzi il rapporto secondo una certa mediazione, e non pensare che il risultato debba essere necessariamente legato al raggiungimento di una performance ma sia regolato dallo scorrere del tempo. Ad esempio: mezz’ora è un tempo di una certa consistenza, e si deve trascorrere mezz’ora in una attività prevista. Non deve esserci un tempo calcolato sul raggiungimento di una performance. Non è questo il motivo principale dell’aiuto reciproco. L’aiuto è più legato alla possibilità di trascorrere una unità di tempo rilevante, ma non esagerata, facendo una certa attività che impegna due ruoli diversi.

E’ anche utile non pensare ad un lungo calendario di incontri di aiuto reciproco. Una breve sequenza, composta ad esempio da quattro incontri, forse ripetibili, una volta alla settimana, consente una prova adeguata. Bisogna tenere conto del rischio di una coppia di alunni male assortita o di una sopraffazione da parte di chi è nel ruolo di aiuto all’altro. Questa situazione è sostenibile per qualche tempo, ma non se durasse tutto l’anno. Vi è poi la necessità di capire che non si tratta di gerarchizzare i ragazzi e le ragazze in chi aiuta e chi è aiutato, ma di entrare in ruoli diversi.

Questa è una proposta che nasce da una possibilità presente nelle dinamiche informali e spontanee tra coetanei e che viene ripresa e formalizzata dall’insegnante. Ci si potrebbe allora domandare se la proposta di aiuto reciproco debba nascere unicamente avendo rilevato attività di mutuo aiuto spontanee. Riteniamo che si possa presumere che in qualsiasi gruppo di pari, in qualsiasi condizioni di vita, nascano delle dinamiche di mutuo aiuto, ed è quindi da questi presupposti che nasce la proposta. Il punto di partenza è analogo a quello dell’esperienza storica dei gruppi di auto-aiuto: i protagonisti sono gli stessi che vivono la situazione di bisogno.

Il gruppo di auto-aiuto può essere ripensato in funzione della vita sociale del gruppo classe. E l’altro "strumento" interessante che è il Consiglio. Si tratta di un tempo preciso, in calendario, concordato, durante il quale il gruppo classe ha la possibilità di affrontare le problematiche, i temi, gli argomenti che riguardano la vita di relazione e di organizzazione del gruppo classe stesso. Non vorremmo enfatizzare gli aspetti relazionali, e dare a questi un primato assoluto su tutta l’attività didattica. Per questo, è opportuno dare loro lo spazio giusto. Come per la proposta di aiuto in generale, gli aspetti relazionali non possono essere imposti unicamente a seguito di incidenti di percorso o di situazioni difficili. Non è tanto sensato, e non è neanche giusto, accorgersi dell’importanza delle relazioni unicamente quando emergono problemi relazionali. Non è neanche sensato e neppure giusto che tutto il tempo del gruppo classe sia una continua esplorazione delle relazioni. Si può immaginare che l’attività didattica sia come il lavoro: occorre lavorare, occorre applicarsi e realizzare determinati impegni propri dell’apprendimento, ma si deve sentire anche le possibilità di una crescita sociale e affettiva nel gruppo.

Formidabili quegli anni!

Gli insegnanti della scuola a tempo pieno si raccontano.

Patrizia Selleri, Barbara Santarcangelo

Facoltà di Psicologia - Università di Bologna

Ogni scuola ha una propria cultura, costruita durante il lavoro quotidiani di insegnanti, alunni e genitori (Carugati, Selleri, 2001). Nel decennio che va dalla seconda metà degli anni '70 fino alla seconda metà degli anni '80 la scuola bolognese è stata caratterizzata da un forte dibattito sull'introduzione e la realizzazione dell'esperienza del tempo pieno (Febbraio pedagogico bolognese, 1974; Bellomo, Vegetti Finzi, 1978). In tutte le scuole, in alcune più di altre, l'offerta di questo modello di scuola creò un profondo conflitto fra i docenti; motivi di ordine ideologico si contrapponevano al timore di veder sgretolare i piccoli privilegi che la classe insegnante aveva fortemente difeso, come l'orario esclusivamente antimeridiano, la responsabilità individuale della classe, una didattica tradizionalmente costruita con lezioni al mattino e compito, o doposcuola, al pomeriggio. Gli insegnanti che in qui primi anni vissero l'esperienza del tempo pieno lo fecero soprattutto per scelta e si trovarono a doverla sostenere nelle idee e nei fatti.

Questa ricerca ha ricostruito quel periodo attraverso i discorsi di un gruppo di insegnanti che si erano trovati tutti nella medesima scuola ed impegnati nelle classi a tempo pieno appunto in quegli anni. Le interviste hanno avuto lo scopo di ricostruire, nel ricordo, le ragioni di quella scelta, i sentimenti provati, il rapporto con i colleghi, le diatribe, il lavoro con gli alunni, il ruolo dei genitori. Due di questi insegnanti lavorano ancora nella stessa scuola, altri si sono trasferiti, uno ha cambiato lavoro e tre sono pensionati; tutti hanno raccontato come ricordano oggi quel particolare periodo, che ha profondamente e positivamente segnato la loro esperienza lavorativa. Va ricordato che, al momento dell’intervista gli otto insegnanti non si vedevano da circa dieci anni e quindi non avevano mai avuto occasione di ricordare insieme quel periodo della loro esperienza professionale.

Dalle loro parole emerge il senso di appartenenza che questi insegnanti, alcuni giovani ed altri con esperienza maturata nel modello scolastico tradizionale, avevano nei confronti della loro scuola, luogo in cui la soddisfazione ricavata del lavoro è stata, a detta di tutti, la più importante della loro carriera:

" ..Ho sempre insegnato con entusiasmo, mi sono sempre data molto da fare, però quei cinque anni di T.P. sono stati importanti, proprio molto importanti.. e poi così come era strutturato abbiamo sempre insegnato insieme.." (Int. 1, pensionata)

"..il T.P. mi piaceva, anche perché non era un tempo scuola molto strutturato, siccome non era istituzionalizzato ed è rimasto per molto tempo sperimentale, all’interno del T.P. avendo la possibilità di andare d’accordo con il partner, c’erano moltissime opportunità che nella scuola normale assolutamente non c’erano.." (Int.8, in servizio)

"…io non avevo esperienza di T.P. e la mia esperienza l’ho costruita attraverso il rapporto con le colleghe che erano più esperte ..allora oltre a programmare discutevamo dell’organizzazione del plesso, quindi chi era più esperto portava le sue conoscenze che venivano allargate anche agli inesperti,," (Int. 2, in servizio)

"…chi aveva scelto il T.P. lavorava volentieri, con grande affiatamento sul lavoro scolastico ma vie era anche affiatamento umano, cioè ci confrontavamo, avevamo stabilito anche dei rapporti affettivi.." (Int. 7, pensionata)

"…nell'esperienza del T.P.c’era un buon gruppo che era a stretto contatto di gomito,, quindi lo scambio di esperienze e il rapporto interpersonale all’epoca era ottimale, parlo della fine degli anni’70.. (Int.4, in servizio)

 

"All’epoca c’era condivisione, si discuteva dei problemi e si prendevano decisioni, tutti operavano in quella direzione..se poi era sbagliata si cambiava! Adesso l’individualismo è generalizzato; anche se da un organo collegiale esce un indirizzo comportamentale viene disatteso, una volta questo era l’eccezione,non la regola…." (Int. 4, in servizio)

Anche il tema del conflitto fra docenti assume un ruolo importante, soprattutto perché nonostante fossero molto frequenti i momenti di scontro (istituzionalmente nelle riunioni collegiali ed informalmente "per i corridoi" della scuola) gli insegnanti del T.P. trovavano il modo di far rispettare la propria visione della scuola, sostenendo un'innovazione che negli anni si è estesa ed è diventata uno dei due modelli di funzionamento della scuola elementare:

"..io mi ricordo i collegi docenti, si parlava moltissimo soprattutto parlavano le più giovani perché erano abituate ad esporre ….io mi ricordo i giovani che erano sempre , mi viene da dire battaglieri, polemici..si discuteva e si cercava di risolvere i problemi…" (Int. 1, pensionata)

"..avevamo pensieri anche contrapposti, parliamo di quelli a livello ideologico, ci si poteva attaccare anche verbalmente, ma finito questo era finito tutto, nel senso che si andava a prendere il caffè insieme " (Int. 4, in servizio)

Tutti i lavori che, soprattutto in ambito anglosassone, hanno affrontato il tema dell' "efficacia delle scuole", concordano su alcuni punti: un clima scolastico positivo, un ethos indirizzato al "prendersi cura", la condivisione fra i docenti degli scopi del proprio lavoro, una partecipazione attiva ai processi decisionali (Carugati, Selleri 2001). Partendo da questi macro-indicatori, attraverso le parole degli intervistati è possibile ricostruire a posteriori il percorso di costruzione di una comunità educante molto attiva e partecipe:

"…i primi anni programmavamo tutti i sabati per quattro ore e secondo me era il modo migliore perché c’era veramente la possibilità di preparare insieme tutti i percorsi...programmavamo veramente tutto, comprese le attività spicciole, gli esercizi…"(Int. 3, in servizio)

"..in linea di massima sono sempre stato favorevole all’innovazione, al tentare l’innovazione al non sedersi, a provare cose nuove al non aver paura davanti al nuovo, invece spesso nella scuola c’era questa resistenza che poi la giustificazione che si portava era quella che non si può fare la sperimentazione sulla testa dei bambini, non tenendo poi conto che sulla testa dei bambini, non facendo la sperimentazione, ti ci siedi.. sulla testa dei bambini, voglio dire, non insegni loro ciò che veramente gli può servire, visto che non fai innovazione… in buona sostanza gli insegni quello che è servito a te, che non è la stessa cosa che può servire loro " (Int. 6. in servizio)

"..il nostro lavoro era senza l’orologio, tante volte si è continuato anche dopo l’orario… perché se tu guardi l’orologio mentre stai facendo un lavoro e smetti perché devi andare via, la cosa cambia.." (Int. 3, in servizio)

" ..il sabato mattina andavamo a programmare e a volte sembrava tempo perso, ma invece vi erano delle discussioni su problemi concreti, su tutta la problematica che c’è a scuola, discussioni anche di ore e poi dicevamo – Abbiamo perso tempo-… però io ho capito che non era tempo perso..era tempo per capire meglio la scuola e per capire meglio i bambini.." (Int. 7, pensionata)

"..se poi i problemi ci sono ..ci sono; li vogliamo affrontare salta fuori che bisogna lavorare in un certo modo e per fare ciò si fa fatica... perché implica ragionamento, andarsi a documentare, tentare, provare.. se non va quella strategia cambiarla.. tutto ciò implica fatica, la fatica non è ben vista….." (Int. 5, in servizio)

Ma in quegli anni anche i genitori avevano un ruolo importante, mentre oggi qual è il loro ruolo? Nei documenti ufficiali delle scuole (POF, Carta dei Servizi, siti Web) viene sempre riservato uno spazio all'importanza assegnata dalla scuola al rapporto con le famiglie; a ben guardare, però, si tratta di una relazione "a senso unico", spesso affermata come un principi di fondo, realizzata più come un dovere al quale non ci si può sottrarre piuttosto che come un obiettivo da conseguire al pari di quelli riferiti all'apprendimento degli alunni.

Dalle interviste emerge come i genitori fossero all'epoca costantemente coinvolti nelle attività educative proprio dagli insegnanti; si tratta di una collaborazione che avveniva a scuola, in classe e fuori dalla scuola, nel corso di momenti più informali. I genitori facevano parte della comunità educante a pieno titolo, condividevano scelte e problemi (nel corso di assemblee di classe mensili), sostenevano gli insegnanti nel loro lavoro, senza limitarsi ad un ruolo di "controllori": non "clienti" ma "soci" di una cooperativa etica:

" i genitori, siccome avevano fiducia in noi insegnanti, ci aiutavano con tutte le forze.. .io ricordo di alcuni genitori che mettevano a disposizione le loro capacità, le loro professionalità, mettevano a disposizione il materiale, libri… tutto ciò che poteva servire a migliorare la scuola.. certo controllavano anche ..erano critici, però si trattava sempre di critiche costruttive" (Int. 7, pensionata)

Condividere un'idea, impegnarsi per la sua realizzazione diventano quindi caratteristiche fondamentali di una comunità scolastica pluralistica, nella quale le discussioni sono lo strumento per negoziare significati, definire gli scopi comuni e sentirsi responsabili della proprie decisioni. Fatica? Forse, ma come ricordano questi insegnanti:

"erano anni magici di fatica estrema, la magia stava nel fatto che era un’invenzione dopo l’altra…ma quando penso a quegli anni mi viene in mente la parola divertente, erano anni divertenti." (Int.2, pensionata)

Un dato di cronaca: oggi, dopo vent'anni, quella scuola funziona tutta a tempo pieno.

Riferimenti Bibliografici

F. Carugati, P.Selleri, Psicologia dell'educazione, Bologna, Il Mulino, 2001.

L. Bellomo, S. Vegetti Finzi, Bambini a tempo pieno. Bologna, Il Mulino, 1978.

Febbraio pedagogico bolognese, Tempo pieno: pieno di che? 13° febbraio pedagogico bolognese, 1975.

Siamo cresciuti con il tempo pieno

Loredana Cecchetti (Gaggini), genitore.

Siamo cresciuti con il tempo pieno: nido, scuola materna ed ora la scuola elementare e dopo?

L’offerta è veramente limitata, nel momento della vita, l’adolescenza, più difficile e problematica per i ragazzi.

L’esperienza del tempo pieno è determinante per la crescita e la formazione di persone che vivono nel mondo, in questo mondo, pieno di contraddizioni e di diversità.

Vivere la scuola per otto ore ha consentito alla nostra maestra di avere tempo per affrontare e cercare di capire ed elaborare insieme atti di razzismo e bullismo, oggi purtroppo inevitabili, che hanno contribuito a costruire un senso di solidarietà e consapevolezza del gruppo palpabile. Parlo di gruppo e non di branco, perché questo è, con la consapevolezza delle singole diversità e l’accettazione del ruolo diverso all’interno delle dinamiche di gioco, che si creano nei momenti di svago in cortile. I giochi, in quel cortile sempre secco d’estate e argilloso in inverno, sono sempre fonte di ricchissime esperienze con niente: foglie, bastoncini, infiorescenze, sassi e fantasia.

Alle medie il cortile non esisterà più, non ci saranno più quei momenti di vita in gruppo, in un luogo non organizzato dove si possono inventare giochi con niente, ma solo attività mercificate ma indispensabili, per potere rivedere gli amici.

Purtroppo gli istituti scolastici delle medie inferiori non hanno dimostrato, neppure negli anni passati, un grande interesse su progetti che vedevano coinvolti genitori, polisportive parrocchie nell’utilizzare gli spazi scolastici che proponevano di organizzare "servizi pomeridiani per i ragazzi, non di tipo scolastico (anche se in parte a supporto dei compiti), interfaccia fra la scuola e le realtà del territorio, volte ad assecondare il crescente desiderio di autonomia proprio di quella età".

Alcuni genitori, consapevoli del vuoto che i ragazzi si trovano attorno alle scuole medie, hanno cercato negli anni passati di sensibilizzare le direzioni didattiche, anche se con pochissimi risultati, alla creazione di nuovi programmi scolastici.

Anche quest’anno, con la tenacia che ci accompagna sempre, quando crediamo in giusti obiettivi da raggiungere, con un gruppo di babbi e mamme, stiamo lavorando per presentare alla direzione didattica del nostro circolo un progetto che speriamo non faccia perdere il piacere e l’interesse che oggi hanno i nostri figli nell’andare a scuola e che non faccia perdere a me la speranza di essere ancora una mamma attempata di figlio unico felice!!!!!

L’educazione Ambientale può prescindere da tempi lunghi?

Nicola Zanini (responsabile della didattica del Parco dei Gessi e Calanchi dell‘Abbadessa)

La discussione sull’Educazione Ambientale prende forma alla fine degli anni ’60 e si sviluppa negli anni ’70 con la presa di coscienza a livello planetario dell’emergenza ambientale.

Alla conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano del 1972 si dichiara tra l’altro che "L’Educazione Ambientale deve essere considerata come uno dei fattori tra i più importanti per poter affrontare in profondità la crisi mondiale dell’ambiente".

Da allora le conferenze, gli incontri, le discussioni sull’Educazione Ambientale si susseguono (Belgrado 1975; Tbilisi 1977; Mosca 1987; Rio de Janeiro 1992, per citarne solo alcune importanti), ed anche attraverso la pratica, la sperimentazione, l’impegno degli Insegnanti e dei volontari, sono stati affinati i principi, gli obiettivi, le metodologie e gli strumenti propri dell’Educazione Ambientale.

Recentemente in Italia il Ministero dell’Ambiente ha varato il programma INFEA (Informazione, Formazione ed Educazione Ambientale), finalizzato a diffondere sul territorio strutture specializzate.

Le Carte dei Principi redatte più di recente (Fiuggi e Salonicco, nel ‘97), parlano di un’Educazione Ambientale che dev’essere "orientata allo sviluppo sostenibile e consapevole": le attività INFEA devono essere permanenti e globali (dimensione scientifica, etica, estetica, e civica), coinvolgere tanto la scuola quanto i cittadini, la ricerca e la formazione professionale.

L’Educazione Ambientale viene definita in maniera prettamente operativa: essa è quella pratica che sviluppa conoscenze, valori, azioni, e che forma alla cittadinanza attiva e alla responsabilità personale nei confronti della crisi ambientale e delle conseguenze che ne derivano.

Questa lunga premessa (me ne scuso) era necessaria per ribadire l’importanza, la complessità e le difficoltà che sottendono la pratica dell’Educazione Ambientale anche a scuola; d’altro canto l’Educazione Ambientale è irrinunciabile: serve a tutti e non può essere fatta oggetto di polemica politica.

Vorrei ora approfondire brevemente i "requisiti" necessari a realizzare efficaci progetti di Educazione Ambientale: si vedrà come l’impegno, in termini di tempo, di risorse umane e di risorse economiche sia veramente notevole.

L’Educazione Ambientale affronta problemi reali in un’ottica pluridisciplinare e "sistemica": è una cosa diversa dall’Educazione Scientifica, anche se la comprende.

I progetti di Educazione Ambientale prevedono percorsi "trasversali" ed attività di "ricerca – insieme su tre saperi: l’ambiente, i ragazzi stessi e le discipline scolastiche.

I progetti di Educazione Ambientale devono coinvolgere l’intero consiglio di classe, ed il ruolo degli Insegnanti è quello di "ricercatori", che insieme ai propri alunni costruiscono percorsi educativi ed azioni concrete vere e proprie, in risposta ai problemi ambientali locali: si devono valorizzare i saperi dei ragazzi; non solo le conoscenze, ma anche le emozioni, le intuizioni, la creatività.

E’ importante cominciare dallo studio degli spazi vissuti dai bambini (il qui, il vicino), da confrontare poi con altri luoghi ed altre epoche: lo studio del "vicino", i vissuto quotidiano, è particolarmente importante perché favorisce la costruzione di un solido rapporto tra scuola e territorio, coinvolge la dimensione affettiva e partendo dai loro bisogni e punti di vista fa sentire i ragazzi protagonisti, in grado di pensare soluzioni ed intraprendere azioni concrete.

Tempi lunghi, dunque, per lasciare spazio alla rielaborazione e riflessione personale dei ragazzi, ma anche per progettare e realizzare i percorsi: spesso ci vogliono mesi solo per mettere a fuoco i problemi, per mettersi d’accordo sulla direzione da prendere (ottima palestra di democrazia, peraltro).

Alle scuole Fortuzzi si è scelto di creare una piccola aula didattica, con un terracquario, ma anche di lavorare molto sul giardino scolastico, realizzando orti biologici ed uno stagno didattico.

Oggi i bambini di città hanno scarse possibilità di esplorare ambienti davvero naturali: si è creduto necessario perciò, partendo dall’esperienza concreta, recuperare il rapporto con quella natura che, seppur ridotta ai minimi termini e bistrattata, esiste anche in città e viene vissuta spesso "in negativo" (è sporca, porta le malattie, costringe a lavori inutili …).

Gli orti, e soprattutto lo stagno, si rivelano strumenti didattici particolarmente efficaci, perché in uno spazio relativamente limitato e facilmente accessibile consentono l’osservazione di ecosistemi in tutte le loro componenti; sviluppandosi e modificandosi con grande rapidità permettono al bambino di percepire concretamente l’evoluzione degli ambienti naturali: le occupazioni quotidiane, i tempi, le stagioni, saper aspettare, sedersi ad osservare … tempi lunghi!

Il tempo pieno ha segnato la mia strada

Bruno Cappagli, attore e regista de La Baracca produzioni teatrali

Crescere, crescere nel tempo pieno, a me è successo. Io sono del 1964, ed ho fatto il tempo pieno alle scuole "Jacopo della Quercia" in via Scandellara, nei primi anni ’70. Premetto che sia alle elementari che alle medie sono sempre stato un pessimo alunno, svogliato, con un unico interesse che era il calcio, con una capacità di attenzione che non poteva superare i dieci minuti, un alunno che penso sia il peggior incubo per un professore di buona volontà, perché io non ero un ragazzo terribile, al contrario, in classe ero silenzioso, mi pare di ricordare che portavo rispetto nei confronti dei miei compagni di classe, non provocavo risse e sicuramente non ho mai fatto a botte (cosa di cui vado fiero), ma il problema è che non riuscivo a trovare interesse nelle cose che i miei professori provavano a insegnarmi, perché i miei pensieri erano sempre orientati verso altri mondi. Ma arriviamo al dunque, il tempo pieno.

Il tempo pieno forse mi ha salvato, io ho un fratello gemello, Fabrizio; il nostro legame è stato fortissimo, un compagno di giochi e di scoperte fondamentale nella mia crescita, e questo è un bene, ma senza il tempo pieno sono sicuro che lo studio sarebbe scomparso completamente nelle mie ore libere. Erano tempi in cui i bambini andavano nei giardini e giocavano fino a quando calava il sole, si vivevano avventure pericolose e sciocche ma anche divertenti, era troppo facile distrarsi.

Il tempo pieno mi ha tenuto lì e ho usato il mio tempo in maniera più costruttiva, ma soprattutto c’è stata una materia che ha cambiato la mia vita: "il teatro". La prof. ssa Laura Falqui ci ha mostrato film e ci ha fatto fare alcune rappresentazioni teatrali scritte da noi, è stata l’illuminazione, tanto è vero che alla fine sul diploma delle medie c’era scritto: "…il ragazzo è particolarmente portato per il teatro". Questa frase mi è rimasta addosso ed ha segnato la mia strada: sono 18 anni che mi occupo di teatro per l’infanzia presso il teatro Testoni, socio della coop. La Baracca.

Cosa penso del tempo pieno? Credo che per molti ragazzi può solo far bene, visto che oggi giorno i ragazzi si chiudono in casa davanti alla televisione o al computer, restringendo così la loro visione della vita ed annientando la capacità di rapportarsi agli altri; naturalmente io vedo il tempo pieno un imput in più e quindi riesco ad accettare un pomeriggio fatto di esperienze diverse dalle materie classiche, vedrei meglio ore passate all’ascolto di musica, alla visione attenta e ragionata di film e, perché no, di televisione, incontri con personaggi particolari, come extra-comunitari, rappresentanti di organizzazioni umanitarie, politici, artisti ecc…. insomma un pomeriggio dove la cultura e l’attualità la fanno da padrone.

Approfitto per comunicare a tutti gli insegnanti che io sono disponibile ad incontrare i ragazzi delle scuole per parlare di teatro, per raccontare come lavoriamo, come si pensa e si realizza uno spettacolo e perché.

Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Una scuola dove crescere è possibile.

Lanzoni Angela, Castagnari Nadia, Tosarelli Tiziano, Martelli Adele

Scuola Elementare Statale "A. Albertazzi"Castel San Pietro Terme

Il tempo pieno rappresenta nella realtà scolastica italiana un altro modo possibile di fare scuola. Un altro modo di apprendere dove il "fare" diventa una priorità irrinunciabile.

Questa pratica si realizza attraverso la creazione dei laboratori a classi aperte, che rappresentano nella quotidiani là del tempo pieno un’occasione per migliorare lo sviluppo delle diverse potenzialità di ciascun bambino.

In questi ultimi anni c’è stata, purtroppo, la tendenza a sostituire il fare laboratoriale con le più tradizionali lezioni frontali, con un maggior uso del libro di testo, con l’uso, a volte massiccio, di materiale precostituito e non sempre coerente con il contesto didattico-educativo della classe.

Il tempo pieno offre una pluralità di esperienze che non si esauriscono certo nei laboratori ma attraversano tutto l’intero mondo didattico.

La metodologia dell’imparare attraverso la ricerca-scoperta pone il bambino non solo al centro del processo di apprendimento ma ne fa il protagonista. Un protagonismo che permette all’allievo di costruire in progressione una capacità dì porsi in modo curioso, critico dubbioso nei confronti della realtà; di riconoscere le proprie potenzialità, di realizzare in primis il proprio processo conoscitivo, senza ricorrere a verità date o calate dall’alto.

Una scuola quindi che si propone di essere un trampolino di lancio per la scoperta del mondo, dell’ambiente. Un ambiente che diventa, in nome di un’interdisciplinarietà intesa non come forma ma come sostanza. un macrocontenitore delle esperienze che il bambino deve compiere per poter comprendere e utilizzare al meglio quella classificazione fatta dall’uomo della realtà e tradotta nella scuola nelle discipline.

Si può schematicamente affermare che in questi ultimi 2 decenni siano aumentati nella nostra società la competitività, l’individualismo, la sempre maggiore attenzione alla produttività; la scuola è inserita nel più vasto tessuto sociale e ha subito questa pressione, ciò si può constatare cm vari elementi:

- Sono tante le famiglie, in ansia per il successo scolastico futuro dei propri figli, che chiedono alla scuola di procedere speditamente nel raggiungimento di sempre più obiettivi nelle aree disciplinuri "forti"; tali genitori ritengono secondario l’insegnamento di tutte quelle aree più espressive, insegnamento che può comunque essere ricercato sul territorio a pagamento. Sono aumentate, infatti, le agenzie educative esterne alla scuola che propongono un’infinità di corsi; se si unisce questo dato a quello di una maggior disponibilità economica della gran parte delle famiglie rispetto a 20-30 anni fa si può capire il diverso atteggiamento di molte di queste nei confronti dello stesso Tempo Pieno.

- E’ sempre minore l’attenzione ai percorsi metodologici che permettono agli scolari di raggiungere una conoscenza o padroneggiare un’abilità, privilegiando la quantità sulla qualità. I bambini sono sempre di più considerati come "vasi" da riempire.

- E’ aumentato, anche se in misura ridotta, all’interno del1a categoria degli insegnanti, un certo desiderio di differenziazione gerarchica e di "carriera" a scapito della collaborazione tra pari.

Conseguenze ditale realtà ci sembrano:

-Un certo "accomodamento" di vari insegnanti, che per stanchezza o progressivo isolamento hanno diminuito pratiche un tempo comuni: solo ad esempio, il calo dell’utilizzo dell’adozione alternativa, (con quello che significa in termini di una didattica fondata sulla ricerca e non sul passaggio di conoscenze), la diminuzione dei laboratori dentro al T. Pieno ( organizzare un laboratorio à sicuramente più impegnativo che proporre ore di recupero)

-Il modello di classe intesa come comunità, o come cooperativa, impegnata in uno sforzo collettivo di costruzione del sapere in un clima di motivazione, rispetto dei tempi degli alunni, serenità, non competizione ma collaborazione. entra in crisi e ciascuno deve compiere la propria corsa misurata da "voti" clic un tempo cacciati dalla porta, ora tendono a rientrare dalla finestra.

-Un clima di competizione non favorisce la crescita umana e la maturazione di nessuno, ma certamente colpisce maggiormente gli alunni portatori di handicap, o con difficoltà relazionali, o che devono affrontare problemi familiari o sociali di varia natura, così come gli alunni stranieri alla ricerca di una difficile integrazione.

Tempo pieno e modulo per una tirocinante

Nisi Vittoria

Le riflessioni che seguono sono di una tirocinante universitaria che spera di diventare, un giorno insegnante di sostegno ma ancor prima una brava maestra. Il convegno si è rivelato un’occasione per riflettere su quelli che per me in questo momento, sono gli aspetti più importanti della scuola.

Mi verrebbe voglia di descrivere le mie esperienze di tirocinio in scuole completamente diverse e opposte per riflettere sul valore del tempo pieno, ma rischierei di dilungarmi in descrizioni noiose, ma è anche vero che le mie opinioni sono fortemente influenzate da queste esperienze particolari.

Ho trovato molto stimolante la lettura de "L’altra faccia del diavolo" di Nicola Cuomo; qui non si parla di tempo pieno e di modulo, ma di bambino individuo e di rispetto della diversità, quella diversità che destabilizza, che mette in discussione le competenze dell’insegnante nell’attuare una progettazione che dia spazio ad ogni alunno. Ho cercato di costruirmi una mappa concettuale che mettesse a confronto i due modelli di scuola tempo pieno e modulo e che evidenziasse il trattamento ditemi che per me sono alla base della scuola intesa essenzialmente, come luogo di formazione e socializzazione. Temi quali DIVERSITA’- JNDIVIDUALITA’ - SOCIALITA’; OBIETTIVI- CONTENUTI; PROCESSI-VALUTAZIONE; CREATIVITA’-ADATTAMENTO; INNOVAZIONE-FORMAZIONE; TEMPI-

SPAZI: in quali termini vengono valutati? Quali di essi, i due modelli scolastici ritengono più rivelanti?

Forse il punto di partenza per una riflessione proficua sta nell’individuazione degli obiettivi e delle finalità della scuola, non mi riferisco a quelli descritti nei programmi ministeriali ma a ciò in cui crede un insegnante e, dato che la scuola non è solo maestri e alunni, anche ciò in cui crede un genitore; cosa si aspettano dalla scuola? Qualità o quantità? E l’una esclude necessariamente l’altra?

Se non si escludono vicendevolmente certo è che si dà priorità a l’una o l’altra a seconda del contesto a cui ci riferiamo.

E allora mi è sembrato di capire dalle mie rilevazioni sul campo, che i due modelli propongono ritmi diversi di insegnamento che richiedono diverse modalità di apprendimento. Nel TEMPO PIENO i tempi sono dilatati a favore della costruzione delle strutture per la conoscenza cioè fornire gli strumenti cognitivi per una conoscenza sempre più consapevole e motivata. L’organizzazione sociale in cui ognuno con la sua diversità sinonimo di ricchezza, ha un proprio ruolo importante e integrante, trova finalmente spazio nel tempo pieno e mi riferisco alla possibilità di integrazione del portatore di handicap come del recupero del soggetto "lento". Il tempo pieno dunque è il contenitore in cui è possibile la conoscenza attiva e cooperativa da parte dei bambini, gli insegnanti possono lavorare insieme per predisporre un ambiente stimolante al percorso formativo e per conoscenza si intende un sapere di tipo interdisciplinare non fine a se stesso ma alla maturazione armoniosa di un gruppo eterogeneo.

D’altro canto le caratteristiche del modulo rivelano la tendenza ad un modello individualista, competitivo, un modello che somministra il sapere in porzioni isolate, di tipo frammentato, parcellizzato a cui si alternano verifiche fiscali da cui emergono le capacità o le incapacità dell’alunno ma non mettono in discussione i metodi di insegnamento o meglio non contemplano un cambiamento di rotta per il recupero dei "lenti". Parlo di tendenza perché è quello che risalta maggiormente dall’unica esperienza da me svolta nella scuola a modulo. Sono infatti convinta che ci siano realtà di scuola a modulo più positive e che dipende dalle singole persone, dalle capacità di ognuno di mettersi in gioco e confrontarsi se esistono contesti che si potranno ricordare come positivi.

Il tempo pieno forse, è una risorsa in più da sfruttare.

Ho vissuto l’esperienza del tempo pieno

Luigi Vezzalini, genitore e amministratore del Comune di Castello di Serravalle

Ho vissuto l’esperienza del tempo pieno a Castello di Serravalle, sia come genitore che come amministratore.

Come genitore, valuto positivamente l’esperienza, pur tenendo conto che alcune potenzialità sono andate perdute, a causa del forte ricambio di insegnanti nell’arco dei 5 anni.

Al di là di una scelta "di necessità", quella di avere i bambini a scuola durante l’orario di lavoro dei genitori, ho apprezzato l’impostazione del tempo pieno, basato su un apprendimento interdisciplinare, sulla proposta di attività cosiddette "integrative", che sono state molto utili alla formazione, come teatro, piscina, educazione ambientale.

Attività che negli anni ho visto inserire anche nella scuola a "tempo normale".

Da non sottovalutare anche il momento educativa del pranzo ( stare insieme a tavola, variare il menù, non sprecare il cibo, ecc. ) e del gioco prima di riprendere l’attività scolastica pomeridiana.

Nelle classi dove si riesce a creare un buon affiatamento, il gruppo continua ad avere contatti anche extrascolastici e si creano amicizie.

Qualche debolezza, dovuta forse alla rotazione e alla preparazione specifica degli insegnanti, l’ ho notata nelle materie " più classiche": matematica e grammatica.

Come amministratore ho invece partecipato a momenti significativi di sviluppo del tempo pieno ( alle elementari ) e del tempo prolungato ( alle medie ) a livello comunale e di Istituto Comprensivo.

A Castello di Serravalle, il tempo pieno nacque parecchi anni fa, nel plesso di Zappolino e per diversi anni fu un’esperienza stimolante, che conquistò la fiducia di molti genitori, inizialmente orientati verso il tempo normale.

A metà degli anni 80, con la riduzione delle classi, si rischiò di perdere il tempo pieno, per mancanza di un numero sufficiente di bambini per formare due sezioni: una a tempo normale e una a tempo pieno.

Successivamente, prima con l’unificazione dei due plessi a Castelletto, poi con la creazione dell’Istituto Comprensivo, il ragionamento si poteva fare a livello sovracomunale, su tre classi ed i genitori hanno dato grande preferenza al tempo pieno.

L’Amministrazione Comunale ha sempre creduto in questo tipo di scuola, e l’ha sostenuto anche attraverso la proposta di attività integrative.

Teatro, Parco didattico, Lezioni concerto, ecc. sono stati offerti a tutta la scuola, ma chi maggiormente ha aderito alle proposte, anche con programmazioni biennali, è stato il tempo pieno, che, grazie ad un orario scolastico più ampio e ad un buon lavoro collegiale svolto dagli insegnanti, riesce ad essere anche SCUOLA DI VITA E DI SOCIETA’.

Riflessioni sull’agire quotidiano nella nuova scuola

Tonia Girasoli,maestra del I Circolo Didattico di Melfi

Come eravamo

Il mio compito e’ ingrato: devo comunicarvi la mia esperienza cercando di essere obiettiva; di non farne un’avvilente esibizione personale e quindi dovro’ contestualizzarla. Anche in questo momento, come sempre ne ho avvertito l’esigenza, dovro’ fare una premessa: " Colleghi, dobbiamo dirci la verità".

Perche’?

Forse che il nostro agire quotidiano e’ falso, ambiguo, sottomesso a condizionamenti, a volte surreale? Nel delineare un breve excursus storico faro’ a meno di sciorinare teorie. Ma quante teorie abbiamo ascoltato, approfondito, messo in pratica; tuttavia a volte, nella prassi didattica, irridendole tutte, ne veniva fuori un’altra, tutta nuova, piu’ calzante, ridente e liberatoria. Come poteva accadere? Si era nel periodo felice della sperimentazione del tempo pieno. L’innovazione, che doveva poi sfociare nell’attuazione dei programmi didattici dell’85 e con la successiva legge 148 del ’90, era vissuta con entusiasmo partecipativo. Quanti corsi di aggiornamento! Molti sul versante didattico. E l’approfondimento teorico? Certo, eravamo anche seguiti da un’équipe psico-pedagogica dell’Universita’ di Bari, coordinata dal Prof. Baldassarre.

E la fatica fisica per il tempo dedicato anche all’orario extra e senza retribuzione? Avevamo timore dei collegi infuocati per le recriminazioni di docenti restii alle novita’ e quindi al surplus del lavoro? E l’opinione pubblica divisa : tempo pieno si, tempo pieno no? Niente di tutto cio’ ci sfiorava . Perche’ spavaldi e incuranti abbiamo annientato nella nostra percezione, prima, e successivamente nell’azione educativo-didattica di un modello di scuola , le eventuali negativita’che comunque si verificavano? Forse che il momento dell’innovazione porta con se’, per sua intrinseca natura,lo sprigionamento di tutte le energie potenziali e creative che,insonni, vivono dentro di noi? E’ cosi’ che stiamo vivendo l’attuale processo di riforma scolastica? Da un sondaggio effettuato di recente, nella nostra scuola, realtivo ad un progetto di Scuola qualita’, e’ emerso che soltanto quattro su un campione di circa settanta insegnanti, si dichiaravano soddisfatti riguardo alla condizione globale di operatore scolastico. Quali sono le ragioni di un disagio motivazionale cosi’ diffuso, cosi’ avvertito e condizionante?

Siamo nella scuola dell’autonomia. Ci viene richiesta un’organizzazione con criteri di agibilita’, flessibilita’, velocita’,efficienza, efficacia. Sono, queste, qualita’ confindustraili, presenti nella prassi aziendalistica.

La velocita’ ci trasmette l’ansia che influenza negativamente l’andamento didattico.Siamo frastornati quotidianamente dall’interferenza di molteplici iniziative, da troppi stimoli contemporanei di provenienza diversa. Il filo conduttore logico della programmazione curricolare viene interrotto e frammentato, incasellato in quadri orari all’insegna del rebus dalla impossibile soluzione. E si’ che l’insegnamento non puo’ risolversi in un blitz veloce, con frettolosi interventi organizzativi rigidi e schematici. L’instaurarsi di un apprendimento ha bisogno di seguire fasi sedimentate, strutturate dalla metodologia della ricerca poiche’ il processo di alfabetizzazione culturale non puo’ essere curricolo di ricezione passiva ma dovra’ coinvolgere l’allievo in una ricerca-scoperta dei fondamentali codici epistemologici. La scuola e’ e deve rimanere il luogo delle azioni ricorsive e ripetute se vuole favorire le peculiarita’ apprenditive che sono la creativita’ e l’esplicazione del pensiero critico. Una volta scoperto il senso dei saperi, gli allievi devono avere il tempo per ricostruirli non per consumarli in fretta.

La flessibilita’ dell’autonomia organizzativa e didattica ci propone la rottura degli schemi consolidati a favore di una combinazione creativa e flessibile di tutte le componenti che configurano un ambiente di apprendimento. Ma quali sono le opportuita’ logistiche che ci consentono di sconvolgere elementi quali: l’aula, la classe, le ore disciplinari, il metodo? Tutto rimane rigido poiché l’ambiente di apprendimento non e’ rispondente ad un’organizzazione di spazi, tempi, servizi, attrezzature, dotazioni strumentali, libri, etc… E poi… la classe rappresenta un punto di riferimento psicologico essenziale per il processo di socializzazione. Il suo frazionamento risulterebbe deleterio. In definitiva la flessibilita’ si traduce in piccole variazioni di dettaglio, come l’adattamento del calendario scolastico o su aspetti marginali dell’organizzazione scolastica.

Per obbedire al criterio dell’efficienza ci viene propagandato che urge una connessione tra il mondo della scuola e il mondo delle opportunita’ extrascolastiche. Si chiede il collegamento al mondo del lavoro con una scuola meno erudita, piu’ produttiva. S’innesca il processo della scuola progettificio: ci si assoggetta ai poteri ed ai finanziamenti locali. Si destruttura il sistema scolastico per affidarlo alle dinamiche del mercato, alle pressioni dei localismi.

Dopo reiterate insistenze, senza aver operato scelte per alcun progetto, ci si trova comunque coivolti perche’ si fa parte del team. Quanta perdita di tempo per l’acquisizione svaporata di obiettivi disciplinari minimi!!

Un team d’insegnanti, per aver scelto un progetto che riguardava la conoscenza della pianta dell’ulivo, ha dovuto subire giorni, mesi di attivita’ didattica per concludere il tutto con una visita all’oleificio. In quell’occasione i bambini hanno ricevuto un decilitro di olio contenuto in una bottiglietta con relativa reclame. Ecco i bambini merce che diventano strumenti per la pubblicita’ delle aziende. A cosa e a chi servono dunque questi progetti spesso calati dall’alto e che si riversano su di una scuola passiva, non motivata? Servono senz’altro ad innescare processi di competizione e differenziazione tra le scuole. Cosa cambia oggi nella formulazione del piano didattico? Viene adeguata la terminologia: certo, si parla di obiettivi formativi, si opera la distinzione tra conoscenze e abilita’. Sul piano formale non c’e’ cambiamento. Nella prassi didattica non viene piu’ privilegiata l’esperienza diretta come punto di partenza di ogni percorso di studio. Come puo’ un alunno di terza elementare "conoscere i caratteri distintivi dei paesaggi naturali (montano, marino, collinare, pianeggiante )" e quindi "riconoscere gli elementi costitutivi di un paesaggio geografico" se non gli si offre la possibilita’ di osservazione diretta?

In altri tempi, effettuare una ricerca disciplinare era un’operazione agile e veloce, significativa e produttiva, economicamente indolore. Il Dirigente, informato degli obiettivi e del luogo dell’escursione didattica si occupava in toto della relativa organizzazione. Oggi e’ diventata una missione impossibile perche’ emergono formalismi burocratici e la copertura finanziaria risulta latitante.

Un cenno ora alla valutazione. Si parla di compilazione di testi, di griglie. Bisognera’ tener conto dei crediti, dei debiti e di modelli di valutazione standard che esigono prove strutturate. Si ritorna al nozionismo e la liberta’ d’insegnamento viene vanficata. Ma come si puo’ assolutizzare il momento della valutazione senza pensare al percorso educativo, al rapporto affettivo-relazionale, alle condizioni di partenza? L’apprendimento nei bambini e’ in continua evoluzione. Difficilmente, l’acquisizione di obbiettivi risulta stabile e definita: e’ discontinua perche’ risente di stati d’animo. Oggettivare gli esiti risponde ad esigenze di deleterio tecnicismo.

La mia preoccupazione non e’ tanto il risultato del processo insegnamento-apprendimento. Insegno da tanti anni la stessa disciplina, conosco ormai tutte le strategie didattiche. Temo soltanto che in un contesto scolastico cosi’ movimentato non ci possano essere le condizioni per instaurare un rapporto d’impresa anche se del tutto particolare, quello dell’ "industria estrattiva". Cosi’ veniva qualificata dal Dirigente la mia attivita’ imprenditoriale quando i bambini tristi, rannicchiati sul mio petto, cercavano sollievo ai problemi della loro eta’.

Ma come viene vissuta la relazioni tra noi docenti? Dovremmo insegnare a pensare in modo libero e critico, a vivere, ad amare il mondo, a renderlo piu’ umano; tuttavia nei collegi permane un clima di contrasti, litigiosita’, di fazioni. E, per accrescere i contrasti, si prospetta la figura dell’insegnante Tutor che azzera la pari dignita’ tra i docenti del team; sconvolge i tempi per la condivisione di modelli didattici; svuota la specializzazione professionale-disciplinare: aspetti che hanno costituito il patrimonio e la dote della scuola elementare.

Queste argomentazioni potrebbero sembrare non in linea con esigenze conoscitive avanzate e coerenti con il mutato scenario produttivo sociale: non sono tuttavia da interpretare come un nostalgico ritorno al passato! D’altra parte il progresso della comunicazione multimediale e’ un processo positivo ed ormai inevitabile. L’uso di Internet favorendo la trasmissione degli alfabeti culturali può sopperire a tutte le carenze di una scuola ormai invalidata.

Ma la comunicazione, il dialogo, la relazione, le emozioni, la socializzazione saranno latitanti? O il compito della scuola e’ unicamente quello di sfornare soggetti con avanzate caratteristiche tecnologiche?

In un’epoca di consumo onnivoro, quello tecnologico può contribuire a renderci felici? La "vicinanza universale" realizzata dalle nuove tecnologie può annullare anche la distanza emotiva che rischia di caratterizzare l’agire umano nell’era attuale?

Il nostro destino e’ e deve essere l’interiorità,perche’ solo coltivando questa possiamo risvegliarci dal torpore emotivo di cui siamo vittime, anestetizzati ed assuefatti come siamo alla dimensione di soggetti/oggetti di consumo.

Incalzati dalla frenesia del quotidiano,costretti ad inseguire gli ideali di efficienza e produttivita’ ad ogni costo, riusciremo a trovare l’energia e la motivazione necessarie per rincorrere, prima che ci appaia troppo lontano, l’unico vero sogno, quello di una umanita’ perduta?

Melfi, 30 novembre 2002

Un volantino del 1998 [Storie di quotidiana resistenza]

Coordinamento Genitori-Insegnanti, Firenze

Gennaio ‘98 - Ancora problemi per il Tempo Pieno.

Si tengono in questi giorni le iscrizioni alla prima elementare. Il primo dato è la continua crescita del tempo pieno. Le richieste del TP aumentano ogni anno dimostrando con sempre maggior evidenza che il tentativo dell’Amministrazione scolastica di abolire prima e incatenare poi in un massimo rigido il TP per contrapporvi i moduli come "scuola del futuro" fu una scelta miope e perdente.

Ma, nonostante che a livello normativo ci sia oggi la possibilità di superare il tetto massimo provinciale di TP i genitori trovano ancora molte difficoltà a far valere i loro diritti, quelli cioè di scegliere il modello di scuola che desiderano, anche se la scuola era stata indirizzata diversamente.

In molte scuole a moduli esiste da anni l’esigenza del TP sempre negata, e che ora emerge alla luce. Storie esemplari sono quelle delle scuole Acciaiuoli e della Nencioni, dove risulta indispensabile - e non certo da quest’armo - la creazione di una sezione a TP; quelle della scuola Locchi-Calvino, della Rossini, della S Maria a Coverciano, della Carducci, dove si creano da anni "a forza" minuscole classi a moduli e una enorme a TP, mentre le esigenze della cittadinanza chiedono proprio il contrario.

Addirittura paradossale è la situazione della scuola Battisti, a TP, dove il direttore ha convinto i genitori delle 2 prime attuali, con informazioni inesatte e indirizzate, a fare i moduli con un po’ di "doposcuola".

Quest’anno a Firenze e provincia i genitori sono decisi a non farsi fermare e ad ottenere dal Provveditorato tutte le classi richieste di TP.

Un altro gravissimo attacco si è verificato in questo periodo in alcuni circoli - il 13 e il 19 - dove i direttori didattici hanno prospettato - in base, dicono, alla sperimentazione dell’Autonomia - la riduzione di orario del TP da 40 ore a 36 ore (!?!?!?) cioè un pomeriggio intero in meno ogni settimana. Alla Montagnola (circolo 19 Isolotto) ai genitori è stata prospettata - adesso - la riduzione d’orario per tutte le classi, dalle prime alle quinte. Riteniamo inaccettabile e inconcepibile mutilare il TP - sempre centro di ogni attacco - per recuperare ore per le supplenze come prevede l’accordo firmato proprio adesso da 0055 e Ministero e, forse, per coprire in qualche modo la funzione degli insegnanti dei laboratori (informatica, extracomunitari, biblioteca, ecc.) che così Ministero e provveditorato potranno finalmente fare a meno di nominare.

I genitori preannuciano fin d’ora iniziative e mobilitazioni per riaffermare il loro diritto alla scelta, così come prevede la legge 148/90.

Normativa

Parte II - ordinamento scolastico – titolo III - la scuola elementare – capo i - finalità e ordinamento della scuola elementare

Art. 128 - Programmazione ed organizzazione didattica

1. La programmazione dell'attività didattica, nella salvaguardia della libertà di insegnamento, è di competenza dei docenti che vi provvedono sulla base della programmazione dell'azione educativa approvata dal collegio dei docenti in attuazione dell'articolo 7.[…]

3. Il direttore didattico, sulla base di quanto stabilito alla programmazione dell'azione educativa, dispone l'assegnazione dei docenti alle classi di ciascuno dei moduli organizzativi di cui all'articolo 121 e l'assegnazione degli ambiti disciplinari ai docenti, avendo cura di garantire le condizioni per la continuità didattica, nonché la migliore utilizzazione delle competenze e delle esperienze professionali, assicurando, ove possibile, un'opportuna rotazione nel tempo.
4. Nell'ambito dello stesso modulo organizzativo, i docenti operano collegialmente e sono contitolari della classe o delle classi a cui il modulo si riferisce. […]

Art. 130 - Progetti formativi di tempo lungo

1. Possono realizzarsi, su richiesta delle famiglie, anche per gruppi di alunni di classi diverse, attività di arricchimento e di integrazione degli insegnamenti curriculari alle seguenti condizioni:

a) che l'orario complessivo settimanale di attività non superi le trentasette ore, ivi compreso il tempo-mensa;

b) che vi siano le strutture necessarie e che siano effettivamente funzionanti;

c) che il numero degli alunni interessati non sia inferiore, di norma, a venti;

d) che la copertura dell'orario sia assicurata per l'intero anno con lo svolgimento, da parte dei docenti contitolari delle classi cui il progetto si riferisce, di tre ore di servizio in aggiunta a quelle stabilite per l'orario settimanale di insegnamento, nei limiti e secondo le modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva o, nel caso di mancata disponibilità degli stessi, con l'utilizzazione, limitata alle ore necessarie, di altro docente titolare del plesso o del circolo, tenuto al completamento dell'orario di insegnamento; ovvero, qualora non si verifichino dette condizioni, con l'utilizzazione di altro docente di ruolo disponibile nell'organico provinciale.

2. Le attività di tempo pieno, di cui all'articolo 1 della legge 24 settembre 1971, n. 820, potranno proseguire, entro il limite dei posti funzionanti nell'anno scolastico 1988-1989, alle seguenti condizioni (N.d.R.):

a) che esistano le strutture necessarie e che siano effettivamente funzionanti;

b) che l'orario settimanale, ivi compreso il tempo-mensa, sia stabilito in quaranta ore;

c) che la programmazione didattica e l'articolazione delle discipline siano uniformate ai programmi vigenti e che l'organizzazione didattica preveda la suddivisione dei docenti per ambiti disciplinari come previsto dall'art. 128.

3. I posti derivanti da eventuali soppressioni delle predette attività di tempo pieno saranno utilizzati esclusivamente per l'attuazione dei moduli organizzativi di cui all'articolo 121. PARTE II - ORDINAMENTO SCOLASTICO

D.L. 20 giugno 1996 n. 323, conv. con modif. da legge 8 agosto 1996 n. 425: Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica

Art. 5 — Parziale copertura posti scuola

1. Per il personale del comparto scuola continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di organici e di assunzione di personale di ruolo. Per l'anno scolastico 1996-1997 i criteri di programmazione delle nuove nomine per l'assunzione del personale docente, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono stabiliti con il decreto interministeriale previsto dal comma 15 del suddetto articolo 4, in modo tale da contenere le assunzioni sui posti delle dotazioni organiche provinciali, preordinate alle finalità di cui all'articolo 3 del decreto interministeriale 8 maggio 1996, n. 174, entro il limite del 35 per cento delle predette dotazioni. È fatto divieto di procedere alla copertura dei posti delle citate dotazioni organiche mediante assunzione di personale con rapporto di lavoro a tempo determinato.

2. In relazione alle esigenze di attuazione e sviluppo dei programmi di prevenzione e recupero della dispersione scolastina nelle scuole di ogni ordine e grado e dei programmi di diffusione dell'insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare, ivi compresa la formazione linguistica dei docenti, il personale delle dotazioni organiche provinciali è prioritariamente utilizzato per la sostituzione dei docenti impegnati nei predetti programmi.

3. Nelle scuole elementari, ferme restando il disposto dei commi precedenti, il personale delle dotazioni organiche provinciali può essere utilizzato per lo svolgimento delle attività di tempo pieno, autorizzate in deroga a quanto previsto dall'articolo 130, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione approvato con decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, in relazione ad accertate esigenze connesse alle specifiche situazioni locali.

Circolare n. 335 del 12 luglio 1996: Decreto Legge 20 giugno 1996 n. 323 - Art. 5 - Indicazioni applicative.

A seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 323/96 in oggetto, si ritiene necessario fornire alcune indicazioni operative, al fine di definire modalità e criteri di applicazione generali ed uniformi delle disposizioni contenute nell’art. 5 del D.L. stesso.

Va preliminarmente osservato che le disposizioni in questione, essendo inserite in un contesto di norme finanziarie, volte ad assicurare risparmi di spesa, devono essere interpretate nel senso di misure restrittive della spesa pubblica, come del resto si evince dalla lettura della norma stessa, le cui finalità specifiche devono essere collegate alla intera manovra economica prefigurata dal D.L. n. 323 in parola.

Nel ribadire la vigenza delle disposizioni contenute nell’art. 4 della legge 24-12-1993 n. 537, il D.L. n. 323/96 stabilisce che, per l’anno scolastico 1996/97, le assunzioni sui posti vacanti delle dotazioni organiche provinciali, preordinate alle finalità di cui all’art. 3 del D.I. 8-5-1996 n. 174, devono essere contenute entro il 25% di tali dotazioni. A tal fine saranno successivamente dettate con l’apposito decreto interministeriale previsto dal sopracitato art. 4, comma 15, legge n. 537/93, le opportune direttive in materia.

Il D.L. n. 323/96 dispone inoltre che i posti rimasti vacanti nelle dotazioni organiche provinciali non possono essere coperti con assunzione di personale docente con contratto a tempo determinato.

Per quanto riguarda i docenti titolari sui citati posti della dotazione organica provinciale, è previsto che questi siano utilizzati con priorità per la sostituzione dei docenti impegnati nei programmi di prevenzione e recupero della dispersione scolastica e nei programmi di diffusione dell’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare, ivi compresa la formazione linguistica dei docenti.

Pertanto, l’attuazione e lo sviluppo dei citati programmi, nei limiti dei contingenti numerici delle dotazioni organiche provinciali assegnate a ciascuna provincia, si pone in una prospettiva di esigenza prioritaria, rispetto a tutte le altre finalità previste dall’art. 3 del citato D.I. n. 174/96: a fronte di tali necessità prioritarie devono quindi essere impiegati tutti i docenti di ruolo comunque a disposizione e, qualora essi non siano sufficienti a sopperire a tutti i fabbisogni ritenuti dalle SS.LL. indifferibili, anche mediante la stipula di apposti contratti con docenti da assumere con contratto a tempo determinato, limitatamente ai periodi di effettiva e comprovata esigenza.

Si fa presente inoltre che l’ultimo comma dell’art. 5 del D.L. 323/96 autorizza le SS.LL., in presenza di accertate esigenze connesse a specifiche situazioni locali, ad istituire posti di tempo pieno, anche in deroga al limite stabilito dall’art. 130, comma 2, del D. Legislativo n. 297/94.

A tale fine le SS.LL., dopo aver istituito i citati posti di tempo pieno in deroga al contingente massimo prescritto, provvederanno preliminarmente ad utilizzare per la copertura di tali posti i docenti di ruolo comunque a disposizione, anche in relazione alla mancata attivazione dei corrispettivi posti-modulo e coprendo l’ulteriore eventuale fabbisogno con l’utilizzazione dei docenti titolari sulle dotazioni organiche provinciali.

In caso di insufficienza di tali categorie di personale di ruolo, le effettive e comprovate maggiori esigenze potranno essere soddisfatte con il ricorso ad assunzione di personale docente con contratto a tempo determinato, limitatamente alle effettive necessità ed al periodo di funzionamento dei posti in parola. L’istituzione dei posti di tempo pieno in deroga al limite massimo previsto dall’art. 130, D.L.vo n. 297/94 non può comunque determinare, in nessun caso, il superamento del contingente massimo di posti della dotazione organica complessiva assegnata a ciascuna provincia.

Prima dell’inizio dell’anno scolastico 1996-97, le SS.LL. faranno pervenire a questo Ministero della P.I., Direzione Generale Istruzione Elementare, Div. VI, il piano generale d’istituzione dei posti di tempo pieno, ivi compresi i posti in deroga, con allegata una dettagliata relazione illustrativa delle motivazioni, criteri e modalità seguiti per la formulazione del piano stesso.

Si fa infine presente che l’applicazione delle direttive contenute nella presente circolare impone alle SS.LL. di procedere ad un’attenta e puntuale verifica circa la sussistenza dei necessari presupposti di accertate effettive esigenze, correlate ad istanze sociali rilevanti e, di conseguenza, anche ad una ponderata valutazione delle relative decisioni da adottare.

Decreto Ministeriale n. 336 del 12 luglio 1996

Art. 1 - La ripartizione dei posti di cui alla tabella 2 annessa al Decreto interministeriale n. 174/96 relativa alle dotazioni organiche provinciali per la scuola elementare per l’anno scolastico 1996/97 è rideterminata secondo l’allegato piano di ripartizione provinciale.

Art. 2 - Ferme restando le consistenze numeriche delle dotazioni organiche provinciali di ciascuna provincia, di cui al precedente art. 1 e all’allegato piano di ripartizione provinciale, con successivo provvedimento saranno determinate le quote numeriche dei posti dalle citate dotazioni organiche da utilizzare per le finalità di cui all’art. 23, commi 10, 11 e 12 della legge n. 124/94, per la sostituzione dei docenti da destinare all’insegnamento della lingua straniera.

Legge n. 662 del 23 dicembre 1996, collegata alla finanziaria 1997 (pubblicata sul Supplemento ordinario alla Gazzetta

Legge n. 662 del 23 dicembre 1996, collegata alla finanziaria 1997 (pubblicata sul Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996). Stralcio

 

Legge n. 662 del 23 dicembre 1996, collegata alla finanziaria 1997 (pubblicata sul Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996). Stralcio

Art. 1 - Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza.

Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996). Stralcio

72. I provveditori agli studi, sulla base dell’organico complessivo fissato al comma 71, determinano l’organico funzionale di ciascun circolo didattico in relazione al numero degli alunni, alla consistenza delle classi, al sostegno necessario per l’integrazione degli alunni portatori di handicap, alla distribuzione delle scuole sul territorio e alle relative situazioni socio-ambientali, nonché alla diffusione dell’insegnamento della lingua straniera e alle esigenze di scolarizzazione a tempo pieno espresse dall’utenza. È garantita la continuità del sostegno per gli alunni portatori di handicap. Le modalità saranno definite previa, contrattazione decentrata, ove prevista. Gli organi competenti, sulla base dei princìpi generali di cui all’articolo 128 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, deliberano, nel limite delle risorse professionali disponibili, su tutte le esigenze inerenti l’organizzazione dell’attività didattica, ivi compresi l’insegnamento della lingua straniera, il tempo pieno e, quando sia necessario, la sostituzione dei docenti assenti per periodo non superiori a cinque giorni nell’ambito dello stesso plesso scolastico. È abrogato il comma 5 dell’articolo 131 del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.