IV Assemblea nazionale dei comitati e coordinamenti in difesa della scuola pubblica
Venezia 30 gennaio 2005, San Leonardo

Partecipano ai lavori circa 100 persone

Presenti Coordinamenti e comitati di:

Bologna, Carpi-Modena, Livorno, Milano , Napoli , Padova, Parma, Pisa, Roma, S. Donà di Piave, Trieste, Venezia, Verona, Vittorio Veneto,


Alle ore 10,45 cominciano i lavori. Presiede Anna Pizzati del Coordinamento Veneziano per la difesa della scuola Pubblica che espone brevemente il programma della mattinata.

Si comincia con quattro interventi sulla situazione internazionale.

Mara Montagna
Illustra i nuovi rapporti di carattere internazionale dopo la partecipazione al Social Forum di Londra in ottobre.
Nel campo dell'istruzione, la realtà italiana è solo un tassello di una situazione internazionale molto grave. Tra poco sarà approvata la Costituzione europea, carta teoricamente illegittima, dato che l'Europa non è una federazione di stati.
La Costituzione è caratterizzata da una natura liberista, centrata sul libero mercato. Diventerà un atto legislativo obbligatorio e vincolante (gli stati nazionali decideranno solo i modi e i mezzi per applicare le normative europee). Inoltre l'unico organo legislativo europeo sarà (ed è anche ora) la Commissione, organo tecnico nominato da un presidente e quindi non votato dagli stati nazionali.
Nel campo dell'istruzione, anche qui a livello istituzionale si pone l'accento sui concetti di libera concorrenza e mercato aperto.
La direttiva Bolkestein, che parte a giugno, è una spada di Damocle.
Sancisce la liberalizzazione, ovvero privatizzazione, di tutti i servizi, intesi come prestazioni fornite in cambio di una contropartita. In questo senso sono servizi anche i beni di interesse generale come l'acqua, la sanità, l'educazione. Secondo la Bolkestein, che si applica a tutti i settori del mercato, non possono esserci vincoli (burocratici soprattutto) alla libera concorrenza nei servizi, né restrizioni applicate dagli stati nazionali. Le persone fisiche e giuridiche saranno soggette solo alla legislazione del paese d'origine (con gravi ripercussioni sui contratti di lavoro).
Le tendenze generali più allarmanti sono il concetto di servizio su richiesta, vedi legge Biagi; la delegittimazione dei titoli di studio (basterà saper dimostrare di saper fare un lavoro per essere legittimati a svolgerlo). In questo senso sembrano muoversi tutti gli enti più influenti: Commissione europea, Banca europea, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale ecc.
La nostra unica possibilità è alzare la voce come cittadini europei, unendoci ai cittadini degli altri stati europei. In ogni stato nazionale, i cittadini elettori devono fare pressione e chiedere conto ai deputati che hanno eletto in Europa.

Elena Miglietta
Illustra brevemente uno strumento di lavoro, uno schema che riassume la situazione nel settore dell’istruzione delle varie nazioni europee.
Ha individuato 14 punti che comuni a tutte le riforme: tempo scuola, obbligo scolastico, la qualità, i tagli, la regionalizzazione, la canalizzazione precoce (tutti questi presenti nella riforma italiana), la perdita del valore legale del titolo di studio (Valentina Aprea ha già scritto un libro su ciò e in Lombardia Formigoni preme molto), aumento delle tasse scolastiche, la precarizzazione dei docenti, gli sponsor, la formazione gestita dalle aziende, parole d’odine autonomia, eccellenza e competizione, il sistema di valutazione degli alunni e dei docenti basto sui test, reclutamento dei docenti per chiamata diretta, che arriverà anche da noi.
Vuole essere soltanto un inizio di lavoro, per questo non è ancora in rete.
Alcune riflessioni specifiche: in Francia l’entrata degli sponsor privati sia a scuola che all’Universita è già in atto.
Per quanto riguarda la canalizzazione precoce in Germania c’è da anni ed è stata dichiarata da tutti un fallimento clamoroso.
Il caso Russia e Turchia: avevano scuole che funzionavano bene e invece ora per rientrare nei parametri europei stanno abbassando il livello di qualità della scuola, tanto è vero che stanno decurtando gli stipendi dei docenti spinti lasciare la scuola e a trovare altri lavori aggiuntivi. Poi c’è riduzione drastica del personale docente e un conseguente sovraffollamento delle classi con un elevato tasso di abbandono scolastico, nelle classi sociali più deboli facendo diventare la scuola un privilegio di pochi (questo particolarmente in Russia). In Russia si sta anche procedendo all’abrogazione di una legge che proibiva il finanziamento da aperte di sponsor privati nella scuola pubblica.
Questa è una bozza di lavoro: adesso pian piano abbiamo mandato in giro questo schema con questi 14 punti a varie nazioni, a vari movimenti in giro. Poi verrà completato e quando sarà completo verrà messo in rete.

Fabrizia Parini
Due indicazioni su quello che il movimento ha fatto per restare in contatto con queste realtà e situazioni europee. Da Parma sono andati al Social Forum di Londra e sono riusciti a partecipare ad un gruppo di lavoro sull’educazione e attraverso questo gruppo sono stati presi vari contatti tantoché poi sono stati invitati a Genova dei relatori stranieri: Nico Hirt, di Ecole democratique, e Jane Basset che fa parte di una associazione anti-sats che sta combattendo contro i test.
Poi lei stessa è stata invitata da Nico Hirt a partecipare ad un incontro a Parigi per pensare ad una giornata di mobilitazione europea. Questa giornata era stata essenzialmente organizzata da forze sindacali francesi, inglesi (c’erano solo un paio di gruppi non sindacalizzati) e lei ha portato la esperienza del movimento italiano costituito da genitori ed insegnanti e ciò è stato accolto con molto interesse perché pare che solo pochi siano riusciti a costituire un movimento che unisca genitori ed insegnanti. Questo gruppo di lavoro ha prodotto un appello di invito ad una settimana di mobilitazione europea tra il 18 e il 25 maggio (ogni paese deciderà il giorno) ed ad Atene il prossimo 25 febbraio si riunirà di nuovo questo gruppo.
Altro contatto è con il gruppo di Bergen, in Norvegia, dove si sta organizzando un Social Forum dell’Educazione in concomitanza con la riunione dei ministri dell’Istruzione (questo tra il 20 e il 25 maggio). Noi abbiamo aderito alla loro iniziativa e adesso si tratta di trovare un po’ più di forze per partecipare a queste iniziative e cercare di creare un gruppo di lavoro un po’ più ampio.

Elettra Anghelinas

La scuola da servizio pubblico sta diventando un servizio da privatizzare.
Il luogo ideale di protesta contro questa trasformazione è il Social Forum Europeo, che finora non era mai riuscito a organizzare una rete vera sull'istruzione, con iniziative concrete, perché è comunque difficile mettere daccordo i vari sindacati europei in iniziative assieme ai movimenti.
Come Cobas Scuola abbiamo sempre proposto, anche all'interno del SFE, iniziative di mobilitazione europea contro la privatizzazione dei servizi e la mercificazione dell'istruzione e abbiamo lavorato, anche a livello di organizzazione generale del SFE perchè tutte le organizzazioni, associazioni e movimenti, avessero una voce all'interno delle assemblee.


Successivamente al SF di Londra siamo riusciti finalmente a far sedere allo stesso tavolo le varie realtà europee di sindacati e movimenti che già avevano lavorato alla costruzione della rete europea dell'educazione, per mettere in campo una mobilitazione comune europea. Si è stabilito una giornata europea di mobilitazione in una data ancora da definire, nella settimana che va dall'8 al 15 Maggio 2005.
La rete europea è composta da tutte le organizzazioni, sindacati, movimenti che hanno partecipato ai vari Social Forum Europei. E' aperta a tutti, ovviamente e, anzi, si auspica una sempre maggiore partecipazione.
Il nostro impegno deve essere la partecipazione attiva a questa rete che è attiva anche per via telematica e che si occupa di organizzare iniziative di mobilitazione comune, ma anche di approfondimento sulle varie realtà europee, il tutto all'interno del SFE . Per la cronaca, gli altri paesi sono molto favorevolmente colpiti dalla partecipazione nutrita dei genitori alle proteste italiane.


La presidente del Consiglio Comunale di Venezia porge i saluti all’Assemblea.

Mara Rumiz, Presidente del Consiglio Comunale di Venezia
Porge i saluti da parte del Comune e ringrazia per la scelta di Venezia che si pone come simbolico e reale luogo di incontro e di ascolto delle varie istanze. La città lagunare è particolarmente ospitale nei confronti di bambini, ragazzi e giovani ed è simbolico che proprio domani verrà modificato il regolamento comunale per consentire maggiormente i giochi all’aperto dei più piccoli, precedentemente vietati.
Il movimento per la scuola ha invertito una tendenza: adesso con la scuola si devono fare i conti, anche a livello politico. La mobilitazione sulla scuola è importante come pratica politica rappresentando il desiderio di partecipazione e di condivisione.
Sulle politiche del settore dell’istruzione bisogna operare a livello nazionale lottando per abrogare la riforma Moratti, a livello internazionale intessendo rapporti con altri movimenti e a livello locale. Molto importante. Se non ci fossero nelle città programmi e servizi che aiutano la scuola ci sarebbe un’ulteriore povertà culturale. Dal 75 Venezia è attentissima a questi aspetti, ai servizi per l’infanzia e per la donna, ai servizi educativi che hanno espresso un valore aggiunto, raccordando la scuola con il contesto territoriale. Grosso sforzo espresso anche nell’inserimento dei bambini stranieri, in particolar modo extracomunitari.
Rinnova il ringraziamento augurando che questo possa diventare una sorta di appuntamento annuale e si dichiara convinta che da questo lavoro emergeranno degli elementi preziosi anche per chi opera all’interno delle amministrazioni locali.

Si comincia con le quattro relazioni introduttive.

Roberta Purisiol, Coordinamento Veneziano per la difesa della scuola Pubblica
Vuole contestualizzare la discussione di oggi alla luce di alcune cose che potrebbero sembrare delle ovvietà.
Questo, quello che si sta facendo da un anno a questa parte altro non è che una campagna. E come tale non potrà essere che lunga, difficile e faticosa. L'obiettivo posto che ci si è posti, l'abrogazione della Legge Moratti, è difficilissimo. Pensavamo di mobilitarci un po', resistere ecc. e ce l'avrebbero abrogata? Non credo proprio .anche perché abbiamo a che fare con uno dei governi italiani più autoritari dal dopoguerra ad oggi.
Il fatto che abbiano bisogno di proroghe per i loro decreti dovrebbe già di per sé confortarci. Credo infatti che nessun'altra legge di questo governo abbia incontrato così tanta resistenza e tante difficoltà nella sua applicazione, oltre naturalmente alle difficoltà oggettive che questa legge si porta dietro dall'inizio, come la mancanza di fondi, la mancanza di chiarezza nelle indicazioni. Bene o male, pare che circa l'80% delle scuole non stia applicando la legge al 100%.
Questa è una campagna, e quello che possiamo fare è continuare il nostro lavoro di resistenza, informazione e protesta. Dobbiamo continuare ad essere ogni giorno davanti alle scuole a parlare con gli altri genitori e dentro le scuole negli organi collegiali e riprendere o iniziare dibattiti e discussioni sui temi importanti e resistere sulle cose meschine con le quali il ministero cerca di sfiancarci come le spese, togliendoci tutto: dalle fotocopiatrici ai gessi, dai percorsi didattici alla carta igienica, alle spese per la raccolta dei rifiuti.
Ci sono tre cose soprattutto che dobbiamo fare:
Una è il lavoro nelle scuole e sul territorio, che può sembrare frammentato e frammentario, ma che è l'unico modo che abbiamo che funziona, di radicare l'antagonismo a questa legge e al progetto più generale di una società fondata sul lavoro precario che, come un uovo di serpente possiamo già intravedere.
Un'altra cosa è riprendere a parlare di contenuti non solo della scuola che vogliamo ma anche della scuola che abbiamo. Capire cosa e perché stiamo difendendo, usando tutti gli spazi possibili.
Ultima cosa, è cercare di tenere coinvolti dentro al movimento i genitori perché non essendo categoria lavorativa e non possono essere recuperati da un tavolo di negoziati.
Ci sono delle questioni importanti oggi di cui parlare, prima fra tutti lo schema delle superiori che, come previsto, si accinge a fare strage di teste e su questo vorrei concludere ricordando a tutti il valore di questa assemblea. All'indomani dell'uscita del decreto delle superiori, speriamo che il movimento possa ricevere nuova linfa, nuova energia da quello che speriamo nascerà dal rifiuto di questi decreti.
Da subito, avevamo capito che questa legge attaccava tutti e che sarebbe stato importante che tutti si mobilitassero, vero è che i genitori che si stanno battendo per difendere il tempo pieno e prolungato alle elementari e alle medie, sanno e se non lo sanno dovranno saperlo, che è nel loro interesse o meglio nell'interesse dei propri figli battersi anche contro questa parte della riforma.
In altre parole, i decreti sulle superiori riguardano tutti, come si è sempre detto, dalla materna all'università l'obiettivo di questo movimento è e deve rimanere sempre quello: l'abrogazione della legge Moratti.

Alessandra Bertotto, Coordinamento Veneziano per la difesa della scuola Pubblica


Schema di decreto sulle superiori: una breve analisi

Come nella legge 53 si prevedono i due sistemi, licei e istruzione e formazione professionale regionale, che vengono definiti di pari dignità, ma poi nell’articolazione viene chiaramente evidenziata la grande differenza (obiettivi, orari, abilitazione degli insegnanti e loro rapporto di lavoro e altro). Alcuni punti dell’art. 1:
- il secondo ciclo deve dare una formazione spirituale e morale anche ispirata ai principi della Costituzione: il riferimento alla Costituzione non è più prioritario, ma un’eventualità;
- come per la scuola di primo grado vanno sviluppate le conoscenze relative all’uso delle nuove tecnologie e la padronanza di una lingua europea oltre all’italiano e all’inglese (in realtà nel classico è previsto solo inglese)
- si prevede l’alternanza scuola lavoro, la possibilità di cambiare percorso all’interno dei licei e tra licei e formazione regionale.
Qualsiasi segmento del secondo ciclo dà crediti certificati ai fini della ripresa degli studi e nei passaggi tra i diversi percorsi.
Vengono riconosciuti con specifiche certificazioni: stages, esperienze formative, periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi (quindi anche l’apprendistato).

Dall’Art. 2 al 14 si parla del sistema dei licei, costituiti da due periodi biennali e un quinto anno, in cui si approfondiscono conoscenze e abilità richieste per l’accesso all’Università.
L’esame di Stato è valido per l’accesso all’università e per “tutti gli altri effetti” previsti dalla legge (rimane il valore legale del titolo di studio?)
I licei sono: classico, linguistico, musicale, scientifico, delle scienze umane con un unico indirizzo, artistico, economico, tecnologico con più indirizzi.
L’orario di lezione comprende anche la quota riservata alle Regioni, la quota riservata alle istituzioni scolastiche autonome e la religione cattolica.
L’orario è articolato in insegnamenti obbligatori, opzionali obbligatori e opzionali facoltativi. Gli insegnamenti opzionali obbligatori sono una novità rispetto alla scuola di primo grado: sono materie che vengono obbligatoriamente scelte dall’alunno al momento dell’iscrizione, che danno l’indirizzo del corso di studi ( ad esempio 10 ore settimanali di laboratorio negli ultimi tre anni del liceo tecnologico).
Le materie opzionali facoltative, invece seguono la stessa logica della scuola di base, cioè si può fare a meno di farle.
In prima e seconda l’orario è di 27 ore obbligatorie + 3 opzionali obbligatorie nel classico, economico, linguistico, scientifico, tecnologico, scienze umane;
27 obbl. + 6 opzionali obbl. nel liceo artistico e nel liceo musicale
Nel classico, linguistico, scientifico e scienze umane l’orario è
in terza e quarta 28 ore obbl. + 2 opzionali obbl. + 3 opz. fac.;
in quinta 25 ore obbl. + 3 opz. obbl. + 2 opz. fac.
Liceo artistico e musicale in terza quarta e quinta
30 ore obbl. + 3 opz. obbl. + 3 opz. fac.
Liceo economico: terza e quarta 27 ore obbl.+ 6 opz. obbl. + 3 opz. fac.
In quinta 25 ore obbl. + 5 opz. obbl. + 3 opz. fac.
Liceo tecnologico: tutto il triennio 23 obbl.+10 opz.obbl.+3 opz.fac.

Sarebbe ora interessante confrontare questo schema orario con la situazione attuale, non solo per definire quante ore di lezione si perdano praticamente in tutti i licei, ma anche come si distribuiscano all’interno di uno stesso curricolo. I tagli vanno da un minimo di 3 ore a 7/10 ore settimanali nei licei tecnologici e artistici. Sicuramente c’è una diminuzione delle ore di lingua straniera in tutti i licei (nel turistico scompare la terza lingua), un dimezzamento delle ore di educazione fisica, ma la religione viene ricompresa tra le materie obbligatorie istituzionali. Dovremmo capire meglio il contenuto delle 10 ore di laboratorio nel liceo tecnologico, anche perché gli insegnanti delle materie di indirizzo e gli insegnanti tecnico-pratici sono tra le categorie più a rischio con questa “riforma”.
La peculiarità e la specificità che ogni liceo e ogni scuola devono avere scompaiono perché tutti sono considerati propedeutici all’università.
Viene sostituito orario effettivo con orario facoltativo opzionale che rende aleatorio, instabile, inaffidabile l’intero percorso didattico.
Le ore opzionali facoltative sono quelle che si aggiungono per creare la personalizzazione del piano di studio, come nella scuola di base.
Una personalizzazione finalizzata non tanto a garantire a ciascun studente, portatore di bisogni differenti, il raggiungimento degli stessi obiettivi, quanto piuttosto un mercato dove si entra e si compra ciò che si vuole. Si rompe in tal modo l’unità della classe non per favorire l’apprendimento, che è anche un processo collettivo, ma per rispondere a un’esigenza tutta mercantile.

Art.12: La dotazione di personale docente assegnato all’istituto pare riferirsi solo alle materie obbligatorie (compresa religione). Per il resto le scuole possono assumere esperti con contratti di diritto privato, e li pagano con le risorse dei loro bilanci.
Anche qui compare il tutor, come nella scuola di base.

Dall’Art. 15 al 22 si parla di Istruzione e formazione professionale.
Si conferma che la frequenza di qualsiasi percorso (scolastico, formativo e in apprendistato), profondamente diversi per durata, contenuti e soggetti gestori è valido per l’assolvimento del diritto dovere.
Per l’istruzione e formazione professionale le competenze vengono gradualmente trasferite alle Regioni dal 2006/7.
Prevede corsi di 3 anni per il conseguimento della qualifica e 4 anni per il diploma. Quindi un anno in meno di ora. Però all’art. 26 si parla ancora del biennio post-qualifica, quindi 3 + 2, come ora.
Art.15: “Le qualifiche professionali conseguite attraverso l’apprendistato (…) costituiscono l’espletamento del diritto-dovere.” Si conferma ancora una volta che l’apprendistato costituisce un terzo canale, come nella legge 53, che riprende l’obbligo scolastico e formativo previsto dalla legge 144 del 1999 (legge del centrosinistra): obbligo fino a 18 anni, che può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:
a) nel sistema dell’istruzione scolastica
b) nel sistema della formazione professionale regionale
c) nell’apprendistato.
Nel decreto sul diritto dovere di istruzione e formazione per 12 anni, applicativo della L.53, vengono riconosciuti a partire dai 15 anni di età i periodi svolti nell’apprendistato previsti dal decreto 276/03, applicativo della Legge 30 (legge Biagi) sul mercato del lavoro, nel quale si prevedono:
- incentivi a favore delle imprese;
- l’inquadramento dell’apprendista inferiore di “non più” di due livelli;
- gli apprendisti sono esclusi dal numero dei dipendenti. Quindi ad esempio per un’azienda che ha un numero di dipendenti fino a 15 e per questo motivo non deve applicare lo statuto dei lavoratori, è senza dubbio conveniente assumere apprendisti. Tra l’altro si può essere apprendisti per sei anni. l’apprendista può essere licenziato alla fine del periodo;
- la formazione può essere interna o esterna all’impresa. Nella legge del 1999 poteva essere solo esterna. Ora quindi ci sono ancor meno strumenti di controllo.
- non viene precisata la quantità delle ore di formazione (la decisione spetta alle Regioni). Nella legge del 1999 erano previste 240 ore di formazione all’anno (sotto i 18 anni), quantità decisamente ridicola se si pensa che un bambino della scuola elementare frequenta 1000 ore all’anno. Ora non ci sono neppure queste.
Il semplice fatto di lavorare come apprendista viene considerato espletamento del diritto-dovere e dà crediti spendibili nella scuola.
Ma quanti apprendisti vanno realmente a scuola?
Secondo l’Isfol nel 2002 su più di 400.000 contratti di apprendistato solo 31.000 apprendisti hanno frequentato corsi di formazione. E’ chiaro l’inganno.

Art.17: “L’orario complessivo annuale obbligatorio è di 990 ore annue, di cui tre quarti a frequenza obbligatoria, destinando almeno il 25 per cento all’apprendimento in contesti di lavoro.”
Facciamo un po’ di conti: sono 30 ore sett. di cui minimo 8 ore di lavoro. Rimangono al massimo 22 ore di scuola (per 7,5 ore la frequenza non è obbligatoria) a fronte delle attuali 36/40 ore degli Istituti professionali di Stato, frequentati ora dal 25% degli studenti. La diminuzione del tempo scuola è mediamente di 15 ore alla settimana.
Le materie che si studieranno in queste 22 ore sono: italiano, due lingue straniere, informatica, matematica, scienze, tecnologia, storia, economia, educazione fisica, religione.
Art.19: Le Regioni assicurano gli standard minimi dei percorsi formativi, cioè le competenze essenziali di base e linguistiche (nuove tecnologie e una lingua comunitaria oltre all’italiano e all’inglese – Art.1), competenze matematiche, scientifiche, tecnologiche, storico-sociali ed economiche, come individuate dall’accordo Stato-Regioni, l’acquisizione delle competenze professionali, l’educazione fisica e naturalmente l’insegnamento della religione cattolica.
Per capirne qualcosa di più, è utile vedere cosa succede in Veneto: in base alla Conferenza Stato-Regioni e il successivo protocollo firmato tra la Regione e il Ministero, nell’anno 2002/2003 la Regione Veneto ha organizzato 20 percorsi formativi sperimentali di durata triennale.
Il monte ore del primo anno è di 1000, quindi 30 ore settimanali di cui:
16 ore a scuola, materie di studio: italiano, lingua straniera, storia, matematica, informatica, scienze integrate
(nel secondo anno diventano 14 ore, nel terzo anno 13);
14 ore: attività di orientamento e di preformazione.
(fonte: “La scuola veneta: una realtà in movimento” – realizzazione dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto – aprile 2003)
(Qualcosa di simile avviene in Lombardia: gli studenti del primo anno fanno 18 ore di scuola, di cui una di religione.)

Ma gli Istituti Professionali di Stato passeranno sotto la gestione delle Regioni (edifici, laboratori, insegnanti e studenti)? E in che modo?
All’art. 25 si dice che i percorsi dei licei e della formazione professionale possono essere realizzati in un’unica sede. In questo caso chi avrà competenza su edifici e laboratori? Lo Stato o la Regione?
E gli insegnanti? L’art. 26 dice che le Regioni “devono assicurare i livelli occupazionali”. Mi sembra che il significato sia duplice:
1) che gli insegnanti passano sotto la competenza della Regione. Con il contratto della formazione professionale, magari mantenendo ad persona il loro livello stipendiale? Oppure con una diminuzione?
2) che non ci saranno insegnanti in esubero, pur con una diminuzione del tempo scuola di più del 40%? Gli insegnanti dei professionali sono ora più di 60.000 tra ruolo e precari. Che fine faranno?
Il problema è aperto e le interpretazioni diverse.
La mia interpretazione è che il destino degli Istituti professionali sia segnato e che verranno degradati a Centri di formazione professionale regionale.
Formazione regionale perché finanziata dalla regione, ma gestita per il 93% da privati: aziende, sindacati, istituti religiosi.
Formazione professionale regionale che consegnerà al padronato manodopera giovane e a basso costo (poiché basso è ritenuto il livello delle qualifiche professionali regionali) e incrementerà il mercato della formazione, che viene data in mano ai privati mediante provvedimenti regionali, che escludono ogni forma di controllo pubblico.
Perché tutto questo?
In questo ultimo decennio la formazione professionale si è dimezzata: da 190.000 iscritti a meno di 100.000. Allo stesso tempo nell’anno 2002/3 il 99,3% dei ragazzi usciti dalle medie si è iscritto alle superiori.
Da qui quindi la volontà di depistare i ragazzi nella formazione professionale privata. Il motivo è un finanziamento del Fondo Sociale Europeo per il quinquennio 2001/2006 proprio per la formazione professionale di 50.000 miliardi di lire a livello nazionale (2.500 per il Veneto, 3.000 per la Lombardia e così via). E i privati sono pronti a ricorrere ad ogni mezzo, lecito e non, per accaparrarsi i fondi. E’ di due mesi fa la notizia apparsa sulla stampa di 67 corsi inesistenti per i quali sono stati incassati contributi a fondo perduto per un totale superiore a 3 milioni 118 mila Euro. (Gazzettino e Nuova Venezia del 17/11/04, ma anche vari TG).

A questo punto non voglio trarre conclusioni. Dico soltanto che questo decreto, assieme a quelli sul diritto-dovere per 12 anni e sull’alternanza scuola-lavoro dimostra che le nostre previsioni più pessimistiche si stanno avverando, come e peggio che per la scuola di base: scelta precoce, diminuzione del tempo scuola, più materie in meno tempo, taglio massiccio dei posti di lavoro, privatizzazione e dequalificazione della scuola pubblica.
Da questa catastrofe ci può salvare solo la nostra capacità di informazione e di mobilitazione, a partire dalla giornata del 12 febbraio, che deve essere la nostra prima risposta a tutto questo.

SCHEMA ORARIO

LICEO ore ore opzionali totale
obbligatorie obbligatorie facoltative

CLASSICO
I II 27 3 - 30
III IV 28 2 3 30 + 3
V 25 3 2 28 + 2

SCIENTIFICO
I II 27 3 - 30
III IV 28 2 3 30 + 3
V 25 3 2 28 + 2

LINGUISTICO
I II 27 3 - 30
III IV 28 2 3 30 + 3
V 25 3 2 28 + 2

SCIENZE UMANE
I II 27 3 - 30
III IV 28 2 3 30 + 3
V 25 3 2 28 + 2

ECONOMICO
I II 27 3 - 30
III IV 27 6 3 33 + 3
V 25 5 3 30 + 3

TECNOLOGICO
I II 27 3 - 30
III IV V 23 10 3 33 + 3

ARTISTICO
I II 27 6 - 33
III IV V 30 3 3 33 + 3

MUSICALE
I II 27 6 - 33
III IV V 30 3 3 33 + 3

ATTUALMENTE

ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO

in I II e III 36 ORE SETTIMANALI + 4 ORE DI APPROFONDIMENTO

in IV e V 36 ORE SETTIMANALI con TERZA AREA OBBLIGATORIA (360 ORE DI STAGES IN 2 ANNI)

CON LA RIFORMA

ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE REGIONALE

ORARIO SETTIMANALE

- MAX 22 ORE DI SCUOLA
30 ORE
- MIN 8 ORE DI LAVORO

OPPURE

APPRENDISTATO DAI 15 AI 18 ANNI


FORMAZIONE:.
- PUO’ ESSERE SVOLTA TUTTA ALL’INTERNO DELL’AZIENDA
- TEMPO NON DEFINITO

La legge 53 fa propria la normativa della legge 30 sul mercato del lavoro.

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Gianluca Gabrielli di Bologna sulla mobilitazione del 12.
È ancora opportuno cercare di andare a fare delle iniziative in piazza in un momento in cui nelle nostre riunioni vengono un po’ meno persone?
Due settimane dopo lo sciopero del 15 novembre abbiamo sentito l’esigenza di mantenere una presenza in piazza di iniziative contro la riforma e abbiamo lanciato un appello, come è abitudine dei movimenti e dei coordinamenti.
C’è stato un momento di latenza, abbastanza ingente, circa una quarantina di giorni. Molti soggetti hanno pensato di non rispondere o comunque di non pensare se c’era l’esigenza di tornare in piazza oppure no, perché le assemblee erano meno frequentate, perché c’è un momento di stanca, non c’è una questione dirimente da vincere nel breve periodo, un obiettivo ben specifico.
In queste situazioni, è il caso o no di continuare e di vedere necessaria la presenza di mobilitazioni?
Ci sono altri due fattori che rendono positiva questa data del 12 febbraio. Il primo è quello della bozza del decreto sulle superiori che ha la concretezza del macigno sulle teste di molti insegnanti per cui questa data del 12 come sempre aperta a tutti i soggetti che vogliono venire e caratterizzarla fortemente con i loro contenuti diventa a disposizione dei soggetti che verranno cacciati dalla scuola superiore e quindi nascono coordinamenti, appelli vari e ciò va molto bene.
Il secondo è che in febbraio, la settimana seguente, la versione universitaria della riforma Moratti che ha mobilitato i ricercatori passerà e diventerà legge per cui sono state indette delle iniziative da parte dei ricercatori anche se questi sono in numeri ristretti ed hanno interesse a creare sinergie con altri soggetti della scuola che si muovono contro la mercificazione e l’aziendalizzazione della scuola che è anche sulle loro teste.
Credo che senza mobilitazioni, senza presenza in piazza ogni altro discorso rischia fortemente di diventare velleitario.
Pensare di avere una presenza regolare internazionale in un momento in cui non si riesce nella propria città ad organizzare un sit-in in tre mesi con una ventina di persone, rischia di diventare velleitario.
Sperare in condizionamenti politici in situazione preelettorale se non c’è la forza dal basso rischia di essere velleitario.
Se non c’è la potenza della mobilitazione dal basso i soggetti politici e sindacali ritornano ad ignorare sistematicamente le nostre idee, i nostri obiettivi.
La seconda riflessione è che una mobilitazione, anche se ci troviamo in un’assemblea oggi che è una situazione che da forza, se nel nostro luogo siamo in meno, non significa che dobbiamo ascoltare il fatto che siamo pochi e quindi sposare il fatto che siamo pochi e quindi non fare. Non è così.
Le mobilitazioni di movimento hanno degli andamenti e negli andamenti bassi bisogna ricostruire nuove mobilitazioni e bisogna avere il coraggio anche di andare in piazza anche se si è la metà di quelli che si era 3 mesi prima (perché i mass-media o i partiti politici hanno spento la luce, perché molti soggetti hanno meno forza d’animo perché hanno visto che la riforma non è stata abrogata.
Bisogna avere coraggio di questo, altrimenti le nuove ondate di movimento non le riusciamo a ricostruire. Sono cose da costruire.
Rispetto a questa domanda, se dobbiamo tornare in piazza, non aspettiamoci altra risposta (sul 12 febbraio, su altre scadenze) oltre la nostra.

Mauro Barelli di Bologna: Ipotesi di legge d’iniziativa popolare e sulla scuola che vogliamo
Le forme di resistenza che in questo anno e mezzo abbiamo messo in campo non sono state sotto il segno della conservazione dell’esistente. Dalla forma di resistenza si è sviluppato qualcosa di diverso perché tutti insieme, insegnanti e genitori, abbiamo visto come il movimento abbia messo in circolo dei saperi e delle competenze che tempo non avevano neanche il modi di parlarsi.
Allora il problema è: chi scrive le regole. Il movimento ha tutte le carte a posto per essere un luogo di elaborazione e di scrittura delle regole. Ovviamente questo comporta un’irruzione nel dibattito politico, sempre più autoreferenziale.
In questo passaggio cruciale noi dobbiamo contare e contare molto. E per contare credo che dobbiamo adottare uno strumento che sia in sintonia con le origini, la struttura e le motivazioni del nostro movimento. La legge di iniziativa popolare per la sua stessa natura, per la sua stessa denominazione può essere lo strumento adatto. È uno strumento che impone un confronto anche con il mondo politico, su questioni ben precise che non siano solo su generiche affermazioni di principio che poi possano venire smentite nella pratica.
Credo che valga la pena di provare a cimentarsi su questo terreno nuovo: dobbiamo pensare ad un articolato di legge abbastanza semplice, chiaro, una sorta di legge-quadro che imposti il disegno della scuola che vogliamo, che metta delle regole fondamentali, che ponga dei paletti molto precisi che non possano poi essere violati poi dalle leggi che dovranno dare attuazione a questo disegno.
È un passaggio difficile che si aggancia poi al discorso del referendum, poi magari ne parlerà meglio Michele nell’intervento successivo e credo poi che su questo ci sarà anche un po’ di dibattito, ma faccio un cenno fugace io.
Se ci proponiamo entrambi gli obiettivi contemporaneamente mostriamo tutti e due i volti del movimento. La persecuzione dell’obiettivo principale che è quello dell’abrogazione e il momento propositivo. Se noi facciamo marciare assieme queste due proposte una sostiene l’altra e il nostro movimento si presenta come un fronte politico compatto e penso di grande impatto. L’iniziativa di legge popolare, si avvantaggerebbe moltissimo da una campagna di firme unitarie poiché necessita di 50.000 firme mentre il referendum di 500.000. Una proposta di legge supportata da 500.000 firme sarebbe qualcosa di realmente inedito nella storia di questo paese. In questo caso si presenterebbe con una quantità di sostenitori che difficilmente potrebbe essere semplicemente ignorata o strumentalizzata.
La proposta operativa che mi sento di porre nella discussione che seguirà è questa: se ci troviamo d’accordo sul fatto che questo è uno strumento che vogliamo adottare, credo che sia necessario avviare subito questo percorso di discussione che sarà non brevissimo perché ci siamo dati delle regole democratiche quando siamo spontaneamente nati, Quindi dev’essere qualcosa realmente condiviso ovunque quindi penso si possa creare subito un gruppo di lavoro che rappresenti tutti i Coordinamenti che raccogliamo che lavori fin da subito anche attraverso la rete (questo semplifica molto ed accelera il nostro lavoro) e possa lavorare ad una prima stesura di un articolato, di un disegno di legge, di una prima bozza diciamo (alcune idee circolano già in rete quindi è possibile cominciare già a fare un lavoro che parte di qualcosa che parte da qualcosa che è stato pensato da alcuni) e poi darsi un paio di mesi per questo lavoro in modo che potremo dedicare la parte finale dell’anno scolastico – aprile e maggio – prima che si spengano definitivamente i riflettori su questo anno – per portare la discussione nelle scuole. Penso che questo sia molto importante, necessario e molto giusto, cioè il fatto che torniamo nelle scuole a coinvolgere nella discussione e quindi a rimotivare, a dare nuove possibilità di discussione ad insegnanti e soprattutto ai genitori.
Portare a discutere questa proposta di legge nelle scuole è un grande esercizio di democrazia e anche un grande strumento di motivazione. Per poi arrivare invece subito dopo l’estate alla grande campagna di raccolta firme che potrebbe, se lo decidiamo ovviamente, essere congiunta con quella del referendum che avrebbe, come avete letto in rete, proprio quei tempi.

Michele Corsi rinuncia alla sua relazione sul referendum e apre direttamente la discussione a nome e per conto del Forum di Milano.

Michele Corsi, Forum di Milano
Come Forum di Milano rinunciamo alla relazione sul referendum.
A Milano pensiamo che occorrano sia la mobilitazione in piazza sia proposte come referendum e iniziativa popolare.
A Milano abbiamo tentato una mobilitazione per il 12 febbraio ma poi si è deciso di spostare al 19 per causa del carnevale ambrosiano.
Quando c’è la forza è giusto mobilitarsi, quando non c’è bisogna cercare di crearla: non si può fare qualcosa a prescindere, non è un problema di avanguardia.
Adesso nelle superiori si vede una possibilità. Allora è bene che tutti quanti abbiamo chiaro qual è il compito in questo momento qui: il compito non è quello di definire una sigla, del tipo il Movimento delle superiori c’è già, sigla e via, tutto a posto, si parte. Il compito nostro è si aprire una fase di assemblee, d’informazione, di sensibilizzazione che porti alla formazione di un movimento. I movimenti costruiti a tavolino non funzionano e alla fine si trasformano in tappi per la mobilitazione.
Credo che tutti quanti qui potremmo prenderci questo impegno: un mese di assemblee intense, di volantinaggio, anche fatto magari da gente che è abituata a muoversi sul terreno delle elementari, delle medie che deve concludersi con un’assemblea pubblica dove facciamo convergere tutte le forze che si sono rivelate in queste assemblee locali, assemblee sindacali, assemblee di zona. Nella speranza che da lì, possa fondarsi il movimento delle superiori. Questo è il terreno della mobilitazione, assolutamente necessario col metodo che parte dal basso, non quello dell’avanguardia.
Ma il nostro lavoro è anche cercare di influire sulla fase politica che si apre e quindi pesare sulle elezioni regionali e politiche come movimento. Noi a Milano pensiamo di organizzare un’assemblea con il candidato governatore Serpatti: prima ci dovremo riunire per stabilire cosa vogliamo sentirci dire e poi esigere che quelle cose le dica.
Sarebbe una cosa molto interessante se i movimenti di tutte le regioni, chiedessero tutti in uno stesso periodo un incontro con il loro candidato a governatore. Risonanza alle iniziative locali.
In questo contesto si gioca la questione legge di iniziativa popolare che si inserisce in questo quadro di fase politica. Un movimento che dice dei no molto precisi e propone anche degli obiettivi di cambiamento avanzati. A Genova sono venute fuori delle parole d’ordine che caratterizzano il nostro movimento e che sono molto importanti, tanto per dire l’obbligo a 18 anni.
Queste cose qui noi le dovremo metterle all’interno di una proposta di legge organica. Dato che sono nostre proposte le raccogliamo in una legge e costruiamo una campagna, facciamone un obiettivo di mobilitazione, quindi non soltanto un’occasione per riflettere tra noi ma sulla base di quello, mobilitare e motivare le persone.
Quindi su questo terreno credo che in futuro potremo anche parlare di referendum. Ci sono state molte perplessità sul referendum quando è stato proposto, abbiamo appurato che c’è una problematica tecnica che ci impedisce di farlo adesso quindi non è un argomento di discussione a nostro avviso. A giugno se ne potrà parlare quando ci saranno state le elezioni, si sarà svolto l’altro referendum, magari se lo si vince questo potrà esser un ulteriore spinta, e a giugno secondo noi sarà bene ritirarlo fuori. Magari se riusciamo a far coincidere quel momento lì della raccolta di firme per il referendum con la proposta di legge di iniziativa popolare che intanto elaboriamo, questa potrebbe essere una buona prospettiva di lavoro per quest’anno.
Un’altra cosa quindi concreta che potrebbe venire fuori da questa assemblea è che chi è interessato, potrebbe dar vita ad un gruppo di lavoro che si incarica di coordinare, di mettere insieme le proposte che vengono fuori e alla fin tirare fuori una bozza che circola, che viene sottoposta alla discussione della gente perché poi deve essere un’occasione per parlare di scuola alle persone, quelle che concretamente cerchiamo anche di portare in piazza.
Sulle questioni internazionali. È importante starci dentro perché ne traiamo dei vantaggi come movimento: chi era a Genova sa che sono stati estremamente utili gli interventi dei colleghi di altri paesi. Ci hanno proprio spiegato cosa ci potrebbe capitare. Credo che ricavare queste informazioni e mantenere relazioni con altri soggetti simili ai nostri possa essere utile per le cose che dobbiamo fare.

Inizia la terza parte dell’assemblea con gli interventi dei coordinamenti e comitati presenti.
Presiede Roberto Longo del Coordinamento veneziano.

Gabriella Tull di Trieste
Illustra la situazione del Coordinamento dichiarando che è sostanzialmente d’accordo con l’iniziativa del 12 febbraio. Necessità di essere in piazza. Anche nella realtà di Trieste c’è un po’ di sconforto come è emerso anche in altri interventi ma sono assolutamente convinti che bisogna ritornare nella piazza perché solo lì si è autorevoli e credibili. Ogni città deve capire ed individuare i percorsi più efficaci a seconda delle capacità di mobilitazione.
In vista del 12 febbraio hanno cominciato a preparare l’iniziativa convocando tutte le forze politiche e sindacali per attivare anche il movimento nelle scuole superiori. Resta comunque la piena autonomia del coordinamento. È stato quindi predisposto un volantino unitario che porta in calce molte firme di organizzazioni ed è questa la maniera giusta, nella realtà triestina, per raccogliere diverse adesioni e partecipazione.
Resta decisivo il lavoro di base, come ha detto Michele Corsi, quello che consiste nell’organizzare di assemblee e di informare.
Ritengono di vitale importanza concordare le date della mobilitazione a livello nazionale perché questo convince maggiormente la gente e rafforza l’identità: sapere che c’è altra gente che scende in piazza in altre città oltre a te gratifica e irrobustisce il movimento locale. Si ottiene maggiore risonanza.
C’è in calendario per marzo anche uno spettacolo teatrale.


Barbara Pianta Lopis del Coordinamento genitori ed insegnanti di Napoli
Nell’ultima riunione del coordinamento hanno lanciato alcune proposte sintetiche e pratiche che si riassumo essenzialmente in tre punti al fine di rilanciare l’interesse e il coinvolgimento di tutti:
1) Lanciare una nuova campagna sugli organi collegiali da difendere contro la nuova tendenza a dare sempre più spazio al dirigente scolastico.
2) Valutare fattivamente l’idea di rivolgere un quesito al garante della privacy in relazione al problema del portfolio. Hanno come esempio un portfolio già approvato a Napoli che tratta dati assai sensibili. Stanno cercando di dare uno strumento ai genitori – uno strumento legale – per fermare questa applicazione. Conseguentemente chiederanno ai genitori di attuare una forma di obiezione di coscienza non accettando le schede di valutazione e non collaborando nel fornire dati da inserire nel portfolio.
3) In questo momento è necessario alimentare lo stesso movimento: mantenere tutti gli elementi di unità.
Non di non fare un movimento delle superiori, bensì di coinvolgerle, ma all'interno dei coordinamenti in modo unitario, inglobarlo in un discorso unitario materne-elementari-superiori, e lineare, perchè tutti i gradi di scuola sono legati dallo stesso filo conduttore. Dobbiamo fare attenzione a non spostare l'attenzione esclusivamente sulle superiori, nella speranza di ingrossare le file dei coordinamenti.

Sia il referendum che l’iniziativa di legge popolare devono marciare assieme: sono proposte buone, pur esprimendo qualche comprensibile dubbio, ma è il caso di farle andare avanti.
Piena adesione alle iniziative del 12 febbraio: in base alle forze si deciderà cosa fare. Probabilmente non un corteo ma un presidio in piazza dove fare volantinaggio ed informazione, perché ritengono basilare effettuare ancora il lavoro dal basso, in strada, di informazione.

Bruna di Roma
Espone la situazione di Roma: il 14 gennaio si è svolta un’assemblea del Coordinamento delle scuole di Roma che ha accolto favorevolmente l’idea della mobilitazione del 12: Successivamente si è svolta un’assemblea il 26 che ha coinvolto soprattutto il mondo universitario, precari e ricercatori (c’erano pochi studenti medi perché occupati in altre riunioni).
Si conferma decisione di manifestare il 12, in una modalità che verrà decisa nella riunione di domani lunedì 31. È probabile un sit-in in una zona centrale della città, forse Campo dei fiori, o forse un piccolo corteo.
Roma si è sostanzialmente risvegliata: confortante il lavoro a livello di coinvolgimento universitario.
Anche gli studenti medi si stanno attivando, circa 15 scuole a Roma sono mobilitate (tra occupazione e autogestione) contro la Riforma Moratti. La lotta che era partita dalle elementari ora finalmente si sta spostando: si aspettava da parecchio tempo che si mobilitasse anche questo grado di scuole.
Obiettivo per il 12: partecipazione di tutto il mondo dell’istruzione, dalla materna all’università. Ci sono dei buoni presupposti che questo avvenga.
Roma conferma il dato che solo circa il 20% delle scuole ha applicato in pieno la riforma.
All’interno delle scuole il movimento non si è mai fermato, nei collegi dei docenti, rifiuto di tutor, portfolio etc... ma c’è l’esigenza di tornare alle mobilitazioni visibili, di piazza. Anche senza grandi numeri ma frequenti e capillari.
Il Coordinamento propone che la prossima Assemblea dei Coordinamenti venga organizzata proprio a Roma e a tal proposito offre piena disponibilità ad organizzare ed ospitare i partecipanti.

Elisa Marchesini, Coordinamento Precari del Veneto
I precari del Veneto appoggiano in pieno tutte le iniziative di lotta alla Moratti come hanno sempre fatto e aderiscono alla mobilitazione del 12 febbraio.
Consapevolezza di essere i primi ad essere calpestati dalla riforma Moratti: stanno cercando di stilare una carta del precariato per fare pressioni su chi vuole decidere il proprio futuro al loro posto.
Come Coordinamento Precari del Veneto conferma di adesione e spalleggiamento a tutte le iniziative dei vari Coordinamenti.

Mara Montagna del coordinamento “La Scuola siamo noi” di Parma
Anche a Parma si registra un calo di partecipazione.
È necessario mantenere diversi impegni in piedi, compresa la partecipazione a livello internazionale.
Assolutamente importante comunque continuare a fare informazione e Parma sta cercando di stringere rapporti più stretti con altri movimenti (del tipo girotondi, quelli impegnati sui temi della giustizia, della pace etc...). Stanno organizzando insieme assemblee ed incontri per tenere viva l’attenzione, anche manifestazioni culturali (intervento di un noto attore-regista)
Per il 12 hanno deciso di mobilitarsi raccogliendo la disponibilità dei vari partiti politici ed associazioni poiché è indispensabile sfruttare tutte le occasioni per confrontarsi con le realtà politiche. Hanno ricevuto la proposta di organizzare qualcosa assieme ai Comunisti Italiani. Ben venga l’attenzione delle forze politiche, anche e soprattutto in periodi non ancora elettorali. Questo collegamento con le forze politiche continua anche attraverso incontri come quello organizzato con la senatrice Sogliani: cercano di cogliere tutte le occasioni dove mettere al primo posto le problematiche della scuola e dell’istruzione.
Si nota in tutto ciò l’assoluta assenza del Sindacato.
Importanza di mantenere contatti a livello internazionale perché questo consente di capire ancor meglio quello che ci aspetta qui in Italia: non sarà sufficiente abbattere la Moratti.
Ricorda che Bolkeistein è stato membro della Commissione Europea in cui Prodi era presidente. Questo per capirci bene: bisogna sapere come stanno le cose.
Ma oltre che a livello internazionale ci si deve allargare ad altri settori della società: perché il diritto all’istruzione messo in dubbio non può riguardare solo il mondo della scuola. Si ritorni ad aperture come quella di Firenze in cui è stato invitato il segretario della FIOM.

Alessandro Ponzo Coordinamento in difesa del tempo pieno e tempo lungo di Padova
A Padova sono state seguite tutte le scadenze “liturgiche” e gli appuntamenti che si sono dati anche gli altri Comitati (presenza in piazza, delegazioni, presidi, manifestazioni davanti al provveditorato etc...) anche se ultimamente si sta perdendo l’impatto originario.
Il coordinamento padovano ha una storia precedente alla Riforma Moratti, era nato anni prima sulla gestione delle mense e per una migliore didattica ma ora, in questi ultimi tempi, la capacità di attirare l’attenzione sta gradualmente scemando, anche perché lentamente, stisciante o meno a seconda di collegi dei docenti, la riforma sta di fatto passando.
Allora vale la pena porsi una domanda politica. Che senso ha continuare se la riforma passa giorno per giorno nella drammatica quotidianità della vita scolastica?
Come riusciamo a rigirare la frittata, ad esaltare le contraddizioni?
Il 12 febbraio deve diventare un momento di rilancio del movimento, può ridare linfa vitale allo stesso, anche perché adesso c’è la possibilità di allargare alle superiori.
Condivide l’importanza di partecipare ai Forum europei, mantenere dei contatti continentali perché è sempre più evidente che la riforma si inserisce in un quadro generale complessivo internazionale.
Va bene che qualcuno segua a nome e per conto dei Coordinamenti.
Per quanto riguarda il movimento sorto attorno alla questione delle elementari i genitori hanno rappresentato sicuramente il grande elemento di novità del movimento. Innovazione rispetto alla creatività, ai percorsi diversi, coinvolgimento di altri soggetti rispetto lo specifico della scuola.
Due parole sul decreto delle superiori: è previsto un taglio di circa 100.000 posti di lavoro con la riforma a regime (a rischio insegnanti di educazione fisica, insegnanti tecnico-pratici e di materie specifiche). Ma l’aberrante è che l’istruzione nelle superiori si trasforma sempre più in avviamento al lavoro. Di conseguenza è un avviamento al lavoro precario, è l’istituzionalizzazione dello sfruttamento.
In compenso, di fronte a questa situazione drammatica, si sono sentite solo poche dissonanze nell’ambito della sinistra sindacale.
Il 12 febbraio data da cui partire per costruire un movimento più forte.
La proposta di legge non è un’idea da scartare: può essere un elemento che va agitato, un elemento indicativo. È necessario fare propria una proposta di legge in cui vengono messi i punti che sono patrimonio genetico del movimento.

Elettra Anghelinas di Livorno
Aggiornamento da Livorno: c’è la necessità di riprendere le fila e il bisogno di allargare la base. C’è il problema del cambiamento: il Coordinamento per il tempo pieno deve sicuramente allargare alle superiori. È da seguire la linea tracciata da Corsi sulla mobilitazione: controinformazione, assemblee e coinvolgimento di più persone possibili. Importanza della spinta dal basso. La visibilità deve essere costruita proprio in questa maniera.
È opportuna la mobilitazione del 12 febbraio: è un modo per dare visibilità a questi nuovi contenuti, quindi anche delle superiori: non si parla più solo della scuola dell’obbligo.
Questo pur non avendo dietro le masse oceaniche.
Livorno partecipa ed organizza un’iniziativa di lotta per il 12 febbraio.
È importante costruire le mobilitazioni a livello locale ma va anche sempre tenuto d’occhio la situazione internazionale.

SOSTA PRANZO
(il buffet si svolge all’interno della sala ed è stato allestito dai genitori del Coordinamento veneziano)

RIPRESA DEI LAVORI

Marta di Pisa
Stanno cominciando a partire sulle superiori: è appena cominciata la campagna di informazione attivando un percorso di assemblee per preparare la mobilitazione del 12 febbraio.
Questa data è assai opportuna perché bisogna continuare ad essere nelle piazze: appena la resistenza si allenta tutto diventa più difficile, anche e soprattutto la resistenza all’interno dei collegi.
Viene studiata una forma di presidio-festa, una sorta di prolungamento del carnevale, con un coinvolgimento degli studenti medi. Si evidenzia un’effettiva difficoltà di coinvolgere l’Università
L’obiettivo è quello di avere sempre maggior visibilità e di portare la protesta al di fuori delle scuole.

Stefano Micheletti – Coordinamento precari di Venezia
Propone tre riflessioni dopo l’esame della bozza del decreto per le Superiori:
1) sul valore legale del titolo di studio
2) sul caso del comparto dell’istruzione artistica
3) sul precariato
Questa riforma si inserisce perfettamente nel moderno mercato del lavoro in cui le parole d’ordine sono flessibilità, precarietà e che comportano di conseguenza strumenti legislativi. Adeguare la formazione della forza lavoro alle pesanti trasformazioni che stanno avvenendo nel mercato del lavoro.
Questa riforma porta un grosso cambiamento sul concetto stesso di titolo di studio. Nel comparto dell’istruzione tecnica tende a scomparire la figura del quadro intermedio: periti, geometri e ragionieri rischiano di perdere il loro valore e peso sociale. Si esce solo con il portfolio delle competenze.
È sbagliato parlare di un ritorno all’antico, all’avviamento al lavoro degli anni ’50: questa riforma è moderna e si adegua alle richieste attuali del mercato del lavoro con il doppio canale e la canalizzazione precoce.
Non è giusto lasciarsi andare a particolarismi e porre l’accento su particolari questioni delle superiori però bisogna sottolineare che gli Istituti d’Arte e i Licei artistici subiscono dei cambiamenti sostanziali, riduzione di ore e riduzioni di indirizzo che ne stravolgono il senso.
I primi ad essere tagliati dalla riforma saranno i 200.000 precari. La riforma andrà a pieno regime nel 2011 e agli attuali studenti medi la cosa non tocca, neppure a molti insegnati di ruolo, mentre ai precari non è riconosciuta nemmeno la ricostruzione della carriera.
Simbolico e assolutamente preoccupante che nonostante tutto ci sia voluto un intero anno per proclamare uno sciopero sulla riforma.
Attenzione a cosa farà la sinistra, in compenso un senatore di AN si sta battendo per immettere in ruolo migliaia di precari. Bisogna considerare il problema!
Il 12 febbraio va fatto, ma il nocciolo del problema è – al di là della straordinaria novità della presenza dei genitori che hanno mandato avanti per il momento il movimento – che i lavoratori della scuola devono muoversi su un livello di lotta più radicale, organizzarsi per bloccare la scuola.

Giovanni Cocchi di Bologna
Non per suo merito vive in una situazione ottimale, nella Stalingrado di Italia, dove la riforma non è assolutamente passata, le ore sono le stesse, rifiuto del tutor, del portfolio, la scheda di valutazione non è passata, religione a parte etc... non si sono adottati i lbri di testi riformati, POF etc..,
Eppure si sente depresso perchè non sa quanti saranno in piazza il 12 febbraio. Non sa se tutto ciò che è stato deliberato all’unanimità nei vari collegi continuerà ad essere deliberato all’unanimità anche il prossimo anno, non si sa se ci saranno ancora libri vecchi da adottare, se si terra sulla scheda di valutazione, portfolio, ore opzionali etc,, con la stanchezza che ci sarà.
Questo movimento è abrogazionista puro. Ci sono tre modi per ottenere il risultato dell’abrogazione:
1) fare una forza d’urto tale da far dimetter il ministro o fare in modo che le sia tolta la delega. Questo non è successo.
2) sperare che il prossimo governo la abroghi. Non ci crediamo molto che la sinistra sia aborgazionista
3) referendum
Se ci si pone un obiettivo che ha la possibilità di vincere, logica, coerente con la lotta, si riesce ad ottenere qualcosa. C’è la responsabilità morale di darsi coraggio per indicare questo. Come si farà altrimenti a settembre a resistere ancora nel collegio docenti? Forse se c’è una scadenza possibile ce la si farà ancora a tirare avanti. Se c’è la prospettiva referendaria magari si riesce a infondere una concreta e oggettiva speranza.
Ricorda la situazione e la discussione anche forte legata allo sciopero del 12 novembre. Eppure in qualche modo si è fatto e si è imposta una linea di fatto abrogazionista.
È importante credere in questa pratica, non si deve avere paura degli aspetti meramente tecnici (raccolta firma, costo economico, raggiungimento quorum).
Come non si deve aver paura di scendere in piazza il 12 febbraio perché è giusto, parimenti non si deve aver paura del referendum.
Bisogna cominciare da subito a lavorare su questa ipotesi: è falso contrapporre il referendum all’attività di base, di informazione.
Può essere l’unica forma che dia una speranza e uno strumento pratico in mano al movimento. Bisogna decidere subito e il movimento esiste se si dà anche questo strumento.
Propone di uscire da questa assemblea con indicazioni precise per istituire un gruppo di lavoro per studiare le problematiche legate al referendum e un altro che lavori sulla legge di iniziativa popolare. (sottolinea la forza dirompente di queste due cose legate assieme).

Francesco Mele, Carpi e Modena
Nelle scuole c’è una situazione di coma vigile: lotta di resistenza ma la riforma è passata di fatto, un po’ all’italiana ma è passata anche se apparentemente si fa la scuola degli anni scorsi, le indicazioni nazionali sono passate, le compresenze nella realtà sono saltate.
L’esame delle schede di valutazione consegna un paese frastagliato, una realtà spezzettata.
In un momento di crisi di partecipazione come è il quadro emerso sostanzialmente quest’oggi si è fatta una scelta, si è fatto lavoro di informazione e di assemblee, chiamando persone autorevoli, dotte, coinvolgendo pedagogisti. Vere e proprie lezioni teoriche a Carpi sul portfolio cui hanno partecipato spontaneamente 250 persone.
Stanno organizzando altri due appuntamenti importanti sull’informazione, per dare corpo e fiato al movimento: hanno deciso di puntare su questo livello. Resta comunque un po’ un vivacchiare, un sopravvivere a se stessi.
Hanno quindi salutato con grande interesse la proposta del referendum e della legge iniziativa di legge popolare, perché possono finalmente rappresentare qualcosa di concreto. Si può dire che si è vinto oppure no. Qui si tratta di portare a casa un risultato, di dare un senso e un aiuto al popolo che resiste, per non perdere per strada la tanta gente coinvolta e i genitori, la vera novità del movimento.
Bisogna darsi questa scadenza concreta, palpabile: è una boccata di ossigeno di cui il movimento ha bisogno.
Sulla mobilitazione del 12 febbraio, né Carpi né Modena scendono in piazza, non lo si ritiene plausibile, ma andranno certamente a Bologna.
Sulle superiori: la gente non sa ancora cosa sta succedendo ed è basilare costruire gruppi di studio, fare informazione. Il coinvolgimento di studenti, genitori ed insegnanti deve avvenire sempre e solo attraverso la comunicazione e l’informazione, il capillare lavoro di base.
Rispetto alla interessante relazione di Alessandra Bertotto aggiunge il rischio della scomparsa della figura del docente (“diventano docenti degli istituti professionali anche gli esperti con almeno 5 anni di servizio nel settore di riferimento senza alcun accenno al titolo di studio”. È una cosa gravissima).
Lotta contro legge 30 e lotta contro legge 53 devono andare a braccetto: importanza di allargare ad altri settori, non solo al comparto scuola.
Concludendo: discutere da subito sul referendum e sulla legge di iniziativa popolare, che devono viaggiare di conserva, a braccetto. Non è semplice, si tratta di ingegneria costituzionale, ma bisogna da subito capire quali sono le strade più opportune da intraprendere per la formulazione dei quesiti.
Sulla legge di iniziativa popolare ci sono diverse opinioni e proposte, lui è per la snellezza, la semplicità, in pratica bisogna tracciare le cose irrinunciabili, consegnare ai politici una griglia all’interno della quale muoversi.
È un percorso da intraprendere assieme al referendum: così si respinge l’accusa di voler distruggere e di non saper costruire.

Mimmo Fusco di Napoli
È assolutamente basilare tenere viva la piazza anche se adesso è un momento di riflusso.
Come allargare il movimento? Non si può esportare automaticamente il movimento dalle elementari alle superiori perché i problemi sono diversi.
Partire dai bisogni concreti e non ideologici. Ci vuole un’idea semplice, un obiettivo chiaro ed immediato. Anche se non è semplice formulare il quesito è di fatto semplice costruire la mobilitazione.
E sul sì o sul no si costringono anche le forze politiche a prendere una posizione chiara e nitida.
Impresa difficile ma bisogna provare a farla.
Accetta la proposta di avviare uno studio di fattibilità sul referendum, senza prendere alcuna decisione a riguardo, studiando tutti i pro e i contro. Non ci sono altre proposte forti sul campo. Bisogna cominciare a pensarci.
Per il 12 febbraio Napoli organizzerà un presidio di piazza.

Angelo Zaccaria di Venezia
Riprende la tematica delle superiori e scende nello specifico schierandosi fermamente contro i cosiddetti percorsi integrati di istruzione e formazione, che molte regioni anche in mano al centro-sinistra vogliono utilizzare come risposta alla dispersione scolastica e che vengono visti come riduzione del danno. Nella realtà i percorsi integrati sono un’anticipazione della legge 53 e contribuiscono a depistare (o meglio deportare) decine di migliaia di alunni dal sistema scolastico pubblico alla formazione professionale quindi alle istituzioni private.
C’è poi il problema degli studenti stranieri che sono di fatto costretti a scegliere il lavoro.
Dispersione scolastica: il periodo critico dell’adolescenza è attraversato da tutti e deve essere affrontato come un fatto ordinario e la scuola deve intervenire ordinariamente all’interno della propria programmazione. C’è necessità quindi di percorsi individualizzati, di didattica dei tempi lunghi e distesi: propri il contrario di quello su cui ci si sta dirigendo.
Periodo di elezioni ragionali: il movimento deve farsi sentire e chiedere incontri.
Propone di mettere per iscritto in un documento finale il NO ai percorsi integrati. Una grossa fetta CGIL d’accordo, i Cobas anche, la Gilda non lo sa.
Il portfolio delle competenze finirà con lo sostituire il titolo di studio.
Le diversità devono restare diversità e non diventare disuguaglianze.
Stato del movimento: il movimento per ovvi motivi vive di alti e bassi ma non sta morendo, si sta solo trasformando. Sta a noi capire come. È importante cogliere l’opportunità delle superiori, si sta già muovendo qualcosa (coordinamenti di insegnanti dei licei artistici, di educazione fisica).
Sul referendum e legge di iniziativa popolare sostanzialmente contrario: da troppi anni raccoglie firme e li perde sempre tutti. Strumento poco efficace. Non si può perdere: è uno strumento troppo rischioso.
Non è contrario alla formazione di un gruppo di studio per valutare la situazione.
Propone piuttosto il discorso delle primarie sui contenuti, da portare ai partiti.

Chi presiede l’assemblea, si fa portavoce di un messaggio di Marco Scanavini, assente per malattia.
Sì al referendum come forma di pressione e assunzione di reponsabilità.
Bisogna premere sull’area radicale del centro sinistra per impegnarli perché facciano valere le proposte del movimento all’interno della Gad anche contro l’ala più moderata.
Solleva il problema delle primarie di programma.

Roberto Longo di Venezia
Espone il suo punto di vista su referendum e legge di iniziativa popolare. E’ un modo per porre alle forze politiche precise e non eludibili responsabilità. Queste sarebbero costrette a prendere delle posizioni pubbliche rispetto all’iniziativa, ben diversamente dal fare facili promesse salvo poi dimenticarsene. Si tratta di mettere in campo una patata bollente che non permetta distrazioni o rinvii secondo le logiche tipiche della politica, come stiamo ben sperimentando adesso.
Forse si possono quindi percorrere queste strade: si costringe ad una presa di posizione netta.

Alessandro Palmi di Bologna
Quando si parla di referendum si mette in pratica una pietra tombale sopra la rivolta contro la riforma Moratti perché è un’esplicita ammissione che non si può agire contro la legge in nessun altro modo.
Bisogna aumentare le capacità di mobilitazione del movimento, avere un ruolo attivo e partecipato, il potere e le istituzioni devono essere costrette ad avere a che fare con il movimento. Se si perde la forza e il contatto con la piazza salta il palco e non si fa più nulla.
Il 12 febbraio momento importante per promuovere l’ampliamento del movimento attraverso assemblee diversificate. A Bologna si notano dei segnali positivi dalle superiori. Sarà una prima presa di contatto consistente per cominciare a portare avanti le cose.
La campagna referendaria è tutto fuorché semplice, anche perché non si potrebbe abrogare totalmente, non può essere la panacea di tutti i mali. Ci vogliono tantissime risorse. Se un gruppo vuole studiare il problema dal punto di vista personale, può ovviamente farlo. Almeno però aspettiamo che tutte le altre vie siano state escluse.
Ci vogliono ragionevoli speranze di vincere, altrimenti è puro suicidio.
Moltissimi dubbi sulla manovra referendaria. Manteniamo intanto vivo e forte il movimento.
Altrettanti dubbi sulla possibilità di indire una proposta di legge popolare.
La strada dei movimenti è un’altra.

Marta (..)
La legge sta passando, a questo livello si è perso. Il movimento ha fatto fino ad adesso tutto ciò che poteva, però non è servito a niente. Si continui a fare informazione in piazza ma per quanto difficili, il referendum e l’iniziativa di legge popolare sono restate una delle poche forme di pressione reale che possono incidere sulla sinistra qualora essa dovesse andare al potere.


Roberto Baretton di Venezia
È bene che torni in discussione lo strumento del referendum. È vero che il referendum è rischioso, ma ha il pregio di stanare i partiti politici. Possiamo inoltre chiedere ai rappresentati dei partiti che facciano pressione affinché 5 Presidenti di Regione chiedano l’indizione del referendum. Ricorda che molte delle leggi negative (parità istruzione pubblica/privata, concorsone etc) sono state promosse dalla sinistra.
Chiedere il referendum vuol dire interloquire con la politica e capire quale modello di scuola vuole la sinistra, una volta eventualmente al governo. Non può essere solo una politica di tagli sulla scuola perché la scuola che vogliamo è una scuola che costa.
L’ultima finanziaria prevede che ci sia il taglio di 7.000 insegnanti elementari di lingua straniera che verranno sostituiti dai docenti normali che saranno obbligati a frequentare un corso di specializzazione linguistica. Gravissimo. Si toglie la dimensione vocazionale dell’insegnamento e si apre un precedente pericolosissimo.
Tagli delle compresenze nelle elementari: i bambini vengono suddivisi per classi con problemi sulla garanzia di sicurezza, si intacca decisamente il diritto allo studio. I genitori dovrebbero rivolgersi alla magistratura per chiedere il rispetto del diritto allo studio e non solo l’ingresso a scuola.

Mirco Pieralisi di Bologna
Sul 12 febbraio: al lavoro e alla lotta.
A Genova si è detto “Facciamo la campagna sulle iscrizioni per tutelare i modelli unitari”, alcuni lo hanno fatto, altri meno, di fatto è difficile quantificare.
In molti casi si è fatto un lavoro di maquillage formale, ma di fatto, sotto sotto, la riforma sta passando. È bizantino chiedersi se la riforma sia passata al 60 o 80% delle scuole: anche la scuola elementare (che era una scuola che sostanzialmente andava discretamente, pur con punte di eccellenza da una parte e con cose non perfette dall’altra) ci dice che, pezzettino dopo pezzettino, la riforma sta passando, malgrado la forte mobilitazione. La conferma sta nel frazionamento.
In tutto questo è comprensibile un senso di frustrazione e di rassegnazione che si riscontra nel movimento. Ci vuole una svolta netta sulle politiche scolastiche, bisogna dare un segnale forte.
C’è assoluto bisogno di prospettive, non è solo una questione di flussi e di riflussi.
È infelice porre una alternativa tra la necessaria opera di mobilitazione e tra il referendum.
Ci vuole una prospettiva (e il cambio di governo non è una prospettiva nel settore della scuola): invece il referendum è una prospettiva credibile, fattibile, che inchioda nettamente su responsabilità oggettive.
Propone quindi che venga attivato un gruppo di lavoro che, sapendo che è una cosa condivisa, verifichi la possibilità giuridico-tecnica di un referendum sia abrogativo totale che abrogativo di fatto. Dei quesiti ben fatti fanno saltare un legge e costringono poi a ripensarne un’altra.

Mimmo di Roma
Contrario al referendum. I tempi del referendum sono lunghissimi. Con questo movimento la gente, i genitori gli insegnanti si sono riappropriati del dibattito politico sulle politiche scolastiche. Indurre nuovamente in ipnosi il movimento dicendo che ci sarà il referendum è sbagliato.
Impossibile l’abrogazione integrale della nuova legge, l’abrogazione dei singoli commi o singoli articoli non ci interessa. C’è inoltre il problema reale dell’ammissibilità e il problema del quorum: con il referendum c’è tutto da perdere.
Indicendo il referendum su chi si fa pressione politica? Sulle forze politiche che hanno finanziato le scuole private? È stato il centrosinistra l’apripista di questa situazione.

Marina Scalori di Venezia
Pur essendo stata rifiutata di fatto la riforma, non stiamo in effetti vivendo un momento esaltante; ci sono dei problemi anche laddove le situazioni sembrano ottimali (problematiche sul voto di condotta).
Nella scuola media è più difficile mantenere un rapporto con i genitori perché è una scuola di fatto più escludente. È importante lavorare sui contenuti, sulla qualità della scuola, sugli insegnamenti più attaccati (storia, scienze, lingua straniera).
Di fondo c’è un po’ di depressione perché il movimento è in evidente flessione. Invece è assolutamente necessario continuare a mobilitare la gente. Va sostenuta fortemente la scadenza del 12 febbraio, bisogna dare dei segnali che c’è ancora voglia di mobilitazione.
Il referendum non lo vede in contrapposizione con la mobilitazione, ma non ha senso fare un referendum se non ci siano buone probabilità di vittoria.

Sandra Bertotto di Venezia
In realtà nel Veneto sol il 17% delle scuole ha accettato la riforma. Di conseguenza la situazione non è poi così drammatica perché la resistenza c’è stata. In città abbiamo elementari che continuano a fare le 40 ore, medie con le 33 e in provincia con le 36, e siamo il Veneto bianco.
Anche per le superiori hanno dovuto fare un altro decreto da settembre a gennaio perché la mobilitazione l’ha fatto rimangiare al punto tale che hanno dovuto mantenere gli organici. Hanno dovuto spostare di sei mesi la scadenza di presentazione dei decreti.
È una guerra di lunga durata ed abbiamo ottenuto parecchio! Per le superiori bisogna fare lo stesso lavoro delle elementari: bisogna rafforzare questo lavoro, continuare a informare, volantinare, lavorare sulla base.
È necessario pubblicizzare il momento del 12 febbraio come momento di lotta, bisogna prendere anche categoria per categoria (insegnati di educazione fisica, dell’artistico etc...).
Poi bisogna continuare ad informare la gente comune attraverso banchetti e presidi perché la scuola è un problema non solo per addetti ai lavori.
Il movimento non è morto, sta assumendo delle forme diverse.


Alessandro Ponzo di Padova
Perfettamente d’accordo che la riforma Moratti sia solo il tassello del nuovo ordine economico neoliberista, a respiro molto più ampio, sia nazionale che internazionale. Quindi opporsi a questa strategia globale certamente non è facile.
Puntare tutto sull’ipotesi di referendum è una battaglia perdente. Scartando questa strada, per riuscire a bucare l’omertà, per rompere il silenzio di un dramma come quello che sta vivendo la scuola c’è bisogno di proposte forti del tipo il blocco degli scrutini.
È necessario che gli insegnanti si mettano in gioco, propone di riprendere lo strumento del blocco degli scrutini.

Fabrizia Parini di Milano
È una mamma che viene da oltre un anno di mobilitazione. Quale altro tipo di mobilitazione può proporre a Milano? Si è fatto un intenso e duro lavoro per informare, per portare alla mobilitazione, ma non ci sono solo le categorie della scuola (il blocco degli scrutini è una forma per coinvolgere una sola categoria), il coinvolgimento deve essere a livello complessivo. Bisogna trovare forme di mobilitazione più profonda


Gianluca Gabrielli di Bologna
Velocemente 3 cose: ha raccolto 600.000 firme per il referendun contro la parità scolastica. Poi la consulta ha bloccato tutto. Pensava che il centro-sinistra si sarebbe accorto che esistesse un sentire comune contro la parità scolastica. Invece no. Si può perdere.
Il Teatro dell’oppresso ha messo in scena il teatro degli oppressi: il pubblico ha provato a far cambiare l’opinione dell’insegnante legalista.
Se il 70% delle scuole non fa la riforma, pur senza che ci sia bisogno di particolare zelo, questa è una zona grigia positiva. Invece il soggetto impegnato che dice che la legge è legge non va nella nostra stessa direzione.
Effetto Pigmalione: se non investi in positivo su una cosa ti viene fuori solo un risultato negativo.
Rispetto il 12 febbraio lo preoccupa il disinvestimento delle persone che fino a 3 mesi fa lavoravano insieme. Chi vuole studiare il referendum non disinvesta sul resto!

Mauro Boarelli di Bologna
Vengono dei dubbi sul concetto stesso di abrogazione. Cosa si intende per abrogazione? O c’è una maggioranza parlamentare che approva una legge che dice che la precedente è abrogata o c’è una maggioranza di popolazione che attraverso un referendum abrogativo dall’esterno del parlamento la abroga. Non c’è altro.
Fino a qualche mese fa anche lui non credeva assolutamente nel referendum. Ha cominciato a cambiare idea. Non si è ancora assolutamente perso, sono stati raggiunto dei risultati importanti, ma bisogna capitalizzare questo successo: nelle battaglie di lunga durata anche gli eserciti più forti hanno difficoltà di tenuta.
Il movimento è nato nel 2003 e il referendum si potrebbe fare solo nel 2007. Se la maggioranza sarà la stessa a quel punto il referendum sarà l’ultima chance, se la maggioranza sarà diversa abbiamo bisogno di strumenti di pressione e torniamo al primo a stesso, perché questa maggioranza teoricamente potrebbe abrogare la legge Moratti (anche se sappiamo che non lo vuol fare).
È superficiale dire che la raccolta di firme non conta nulla. Il referendum serve a dare una prospettiva, un futuro anche ai genitori, la prospettiva che questo sia un obiettivo realmente perseguibile.

Michele Corsi di Milano
Bisogna definire un arco di impegni: non si può uscire da qui solo con la proposta della mobilitazione del 12 febbraio (o del 19). Stabilire un giorno in comune a tutti si può farlo anche per telefono. L’arco di iniziative dev’essere molto più ricco.
Questo non può essere il momento in cui si decide sul referendum, è ovvio, ma dato che tutti devono rifletterci bisogna sgombrare il campo da alcune cose che non stanno in piedi. Personalmente crede che il vero problema stia nel riuscire a coinvolgere forze al di là del nostro movimento, altre obiezioni non ne vede. L’obiezione che sono stati persi tutti non vale: quale forma di lotta è vittoriosa di per sé? Il referendum è una forma di lotta: a volte si vince a volte si perde. Ma la cosa non deve impedire di andare avanti.
Bisogna assumersi dei compiti mettendo delle cose nero su bianco. Tutti i coordinamenti sono nati sulla raccolta di firme.
È sicuramente uno sforzo enorme raccogliere le firme però si guardino in faccia i problemi reali. Non ha sentito interventi assolutamente contrari al referendum: ha sentito esprimere dubbi, perplessità. Pensa che si debba uscire anche con delle cose che possano permettere di prendere delle decisioni che vadano anche al di là del 12 o del 19.
Si potrebbe arrivare ad una prossima assemblea con tutto il quadro legale chiaro e le varie possibilità dal punto di vista del quesito referendario poi l’assemblea deciderà se lanciarsi o meno nell’avventura ma che si formi un gruppo, che si senta sostenuto in questa ricerca dall’Assemblea, crede che sia una cosa che si potrebbe tranquillamente avvallare. Non è impegnativo: sarà un’altra assemblea eventualmente a decidere.
Bisogna dare continuità a Genova. Scrivere una legge di iniziativa popolare è un’altra maniera di scrivere una piattaforma di lotta. È un fatto politico. Per abrogare la legge Moratti bisogna riscrivere un’altra legge: perché non si vogliono creare dei fatti politici che ci favoriscano in questo. Cosa c’è di sbagliato nello scrivere una piattaforma di lotta rappresentata sotto forma di articoli? E se dietro ci sono 200.000 si costringerà il governo che verrà a fare il suo dovere.
Invita quindi tutti a fare uno sforzo di apertura. Diciamo sì a questi percorsi, a queste diverse forma di lotta.

Barbara Pianta Lopis di Napoli
Al di là delle perplessità e degli aspetti puramente tecnici (raccolta firme, raggiungimento del quorum) il referendum è uno strumento di lotta, soprattutto per i genitori, uno strumento chiaro, semplice. Facciamo pressione, diamo uno strumento anche ai genitori, una forma di lotta.

Susanna Fort di Venezia
Avanza perplessità sul fatto che il referendum sia uno strumento di lotta. Paradossalmente la convince di più una discussione sulla piattaforma che potrebbe produrre la legge di iniziativa di legge popolare.
È preoccupata per il fatto di essere alla vigilia del momento in cui bisogna fare qualcosa sulle superiori. Si lavori quindi per il 12 febbraio per mobilitare insegnanti e soprattutto studenti delle superiori. Assemblee cittadine informative per le superiori.

Francesco Mele di Carpi - Modena
È falsa la contrapposizione tra mobilitazione e referendum perché di fatto la mobilitazione nelle piazze non elimina la possibilità di lavorare sul referendum. Non si sognerebbe mai di abbandonare la lotta sul campo, in piazza. Il referendum invece può ridare ossigeno al movimento. È favorevole ad istituire un gruppo di studio sul referendum.
È possibile che lotta fatta da assemblee e mobilitazione vada di pari passo con un lavoro di studio sulla fattibilità di referendum. Non è affatto semplice affrontare la campagna referendaria, a partire dalla formulazione dei quesiti, anzi è cosa complicatissima. Proprio perché è complicato è favorevole al fatto che si dedichi una parte delle energie a sbrogliare questa matassa complicata, perché il referendum a questo punto può diventare un’arma fondamentale per il movimento.
Presidente
Nell’interesse di tutti cerchiamo di arrivare a qualcosa di condiviso, un documento finale da produrre.

Loredana Rossi di Trieste
La lotta fatta in questi mesi è stata molto importante: il tempo pieno non esisterebbe più grazie allo scorporo delle 10 ore della mensa. Qualcosa è stato ottenuto. Non è assolutamente poco.
Il referendum è un modo per non arrendersi, per ridare ossigeno. Bisogna dare delle prospettive, soprattutto ai genitori. È favorevole sia al referendum sia alla proposta di legge di iniziativa popolare.
Sarà difficile parlare con i genitori delle superiori, con quelli delle elementari e medie era più semplice.

Presidente
Allo stato attuale delle cose alcuni propendono per una certa analisi delle cose più critica, per altri è meno critica. Il denominatore comune è l’intenzione di fare nuove proposte per continuare l’iniziativa di mobilitazione delle scuole anche attraverso la mobilitazione del 12 (o del 19), di battere il terreno delle superiori e di continuare il movimento di resistenza aprendo nuovi fronti.
Griglia di risoluzione dei punti dell’assemblea: fase di resistenza nelle scuole, i percorsi di informazione sulle superiori, formazione del gruppo di studio di referendum come percorso che possa arrivare ad una prossima assemblea, un gruppo di studio sulla legge di iniziativa popolare come continuazione del lavoro cominciato a Genova, mettendo a fuoco la questione dello scadimento della qualità del tempo scuola come altro tema di mobilitazione, quadro internazionale in cui si inserisce la legge Moratti.

Marco Donati di Milano
Una delle prossime campagne deve essere necessariamente concentrata sugli organici di fatto: ad esempio a Milano il direttore generale non ha preso nessun impegno circa il garantire anche per le classi in essere la continuazione del modello delle 40 ore.

Angelo Zaccaria di Venezia
Esprime dubbi e perplessità che il Coordinamento nazionale affidi a qualcuno l’incarico di fare un’esplorazione sulla questione del referendum e legge di iniziativa popolare. Se poi c’è un gruppo che lo vuol fare nessuno gli nega questa possibilità. Invece è opportuno che se ne discuta prima nei singoli coordinamenti e che successivamente dicano se si deve fare questo gruppo. Se si basa la prossima assemblea sul gruppo di lavoro del referendum salta la questione sul problema degli organici, che verrà fuori tra un mese. Pensiamo alla scuola che noi vogliamo, in termini di contenuti sulla falsariga di Genova.
La questione dei percorsi integrati: le Regioni vanno avanti e stornano fondi pubblici ai privati.
Propone che all’interno dei coordinamenti si discuta della questione se fare un gruppo di lavoro sul referendum e sulla legge di iniziativa popolare.
Il 12 febbraio è essenziale essere in piazza, problema degli organici da porre.

Micheletti di Venezia
Se si forma un gruppo di lavoro trasversale su referendum e legge iniziativa popolare credo che nessuno abbia niente da dire, dobbiamo andare avanti in questa ipotesi. però Non accetta che passino discorsi del tipo: “Non abbiamo niente da perdere”. Il movimento è stato straordinario, ma non deve passare l’idea che sia tutto finito: la riforma non è stata ancora applicata di fatto, devono ancora scendere in campo alcune rilevanti forze sociali. Facciamo i gruppi di studio ma continuiamo anche le altre forme di lotta. Gli insegnanti facciano un esame di coscienza: abbiamo al momento delegato i genitori.

Alessandro Palmi di bologna
Molto importante ciò che ha detto Marco sugli organici, bisogna assolutamente inserirlo come punto, per quanto riguarda il referendum, è contrario che adesso si intraprenda qualsiasi impegno nei confronti del referendum, anche gruppi di studio e di ricerca.

Pieralisi di Bologna
È evidente che noi non pensiamo nello stesso modo. Insistere sugli organici, da inserire.

Corsi di Milano
Sono emerse due diverse visioni su come portare avanti la lotta, lui non pensava che fossero escludenti, ma se l’unica lotta alla Moratti è trovarsi ogni sue mesi come coordinamento nazionale, lui non è assolutamente d’accordo. E qui rappresenta non solo se stesso ma il Forum di Milano. Questi incontri non possono essere dei rigido scadenzari e basta. Perché non si vuole formare un gruppo di lavoro che studi la possibilità del referendum? Si dia un mandato ad un gruppo che studi la problematica per poi parlarne assieme. Gli sembra una soluzione ragionevole. Perché non fare un percorso? Perché lo si vuole bloccare qui adesso? Bisogna cercare di mettere assieme le varie diversità. Si facciano vari punti da condividere.

Presidente
Se ognuno esclude un punto allora alla fine il risultato è zero.

Roberta Purisiol di Venezia
Mi va bene la proposta di Michele. Ma nessuno qui ha parlato di scadenziario. Sottoscriviamo qui la mobilitazione di febbraio e formiamo pure i gruppi di lavoro.

Ponzo di Padova
Noi dobbiamo assolutamente esprimerci fortemente sulla questione organici. Tutti vanno conservati senza diminuzioni. L’organico va mantenuto sui numeri dell’anno scorso ed eventualmente aumentato rispetto le richieste di nuovi tempi pieni.
Questione di obbligo a 18 anni. Discutiamone magari nella prossima Assemblea nazionale.

Giovanni Cocchi di Bologna
Il fatto che l’Assemblea dei Coordinamenti aderisce alla manifestazione del 12 è già al primo punto della mozione di questa assemblea. Il secondo punto è che l’Assemblea sarà pronta a riconvocarsi non appena ci sarà la definizione degli organici per dare una risposta anche eclatante all’eventuale taglio. Riconvocazione immediata.
All’interno di questo credo pensa che possa essere riconosciuto legittimo che ci siano due gruppi di lavoro, uno che lavori ad una piattaforma di legge e un altro che lavori per capire tecnicamente cosa fare a livello di quesito referendario.
Gli sembra strano che qualcuno possa pensare che ci sia una forzatura per imporre il referendum.
Volere che i coordinamenti votino se istituire o meno il gruppo di lavoro sul referendum è un pretesto per rimandare alle calende greche.
Chiede ad Alessandro di trovare un’unità, di togliere il veto.

Palmi di Bologna
Concorda sul punto del 12 febbraio, poi benissimo gli organici. Anche a lui è venuto in mente Firenze: perché cercare a ogni costo un compromesso? Le assemblee cittadine comincino a parlare del referendum, se qualcuno ha voglia di lavorare (come del resto è già stato fatto viste le proposte che circolano in rete) lo faccia, producano pure del materiale. Perché deve uscire un mandato da questa assemblea?

Angelo Verpelli di Milano
C’è una parte che discute più del corollario che delle forme di lotta. I genitori si aspettano qualcosa di più della manifestazione, della biciclettate: hanno bisogno di qualcosa di più.

Marco Donati di Milano
Si lasci da parte la questione del referendum. Gli aspetti specifici verranno approfonditi più avanti, bisognerà che il lavoro di studio vada avanti e ciò può essere fatto anche senza l’imprimatur dell’Assemblea. Invece sulla legge di iniziativa popolare è importante che ci sia un mandato preciso perché viene predisposta una bozza in modo tale che si possa fare finalmente una riscrittura condivisa che diventi patrimonio di ciascuno e portata nelle varie assemblee, nelle scuole. Deve essere il frutto di un percorso che mettiamo in moto.
Crede che l’assemblea possa decidere di dare mandato ad un piccolo gruppo per elaborare una bozza che verrà sottoposta ai coordinamenti e a tutto il movimento per farla diventare patrimonio di tutti.

Presidente
La proposta era di mettere sulla carta tutti i punti, se non condivisi pienamente da tutti ma che quantomeno possono stare assieme perché non escludenti.

Corsi di Milano
Visto che non si trova l’accordo se si esce con due mozioni è peggio perciò propone di stilare semplicemente il verbale che si mette a disposizione dei coordinamenti. Poi si invitano i coordinamenti ad una riflessione su questo.

Presidente
Spiega che si è instaurato in questa assemblea un metodo che consente di andare avanti nonostante le diversità: la condivisione dei punti.

Marta (Pisa)
Si è passati dall’ecumenismo ai veti incrociati. Il vero problema è che mentre alcuni Coordinamenti (vedi Milano) hanno già discusso sul referendum, altri non lo hanno ancora fatto adeguatamente. Invece la questione degli organici è una questione nodale. Questa assemblea deve esprimersi su questo punto e sulla mobilitazione del 12 febbraio.

Mara Montagna
Chiede di esprimersi sulla questione internazionale e riepiloga prossimi appuntamenti in cui sono stati inviti rappresentanti italiani:
- a fine febbraio: convegno sull’educazione a Barcellona
- il 5 marzo convegno a Londra con Jane Basset rappresentante venuta a Genova; vi andranno lei ed Elena Miglietta
Vuole sapere se l’Assemblea dei movimenti si fa carico di queste partecipazioni e vuole dare anche un contributo. Chiede che su questo punto ci si esprimi esplicitamente (anche come contributo).
C’è anche l’appuntamento futuro di Bergen, in Norvegia e quello di Atene.

Presidente
Propone di stilare un documento in cui siano ricapitolati i punti condivisi.
- 12 febbraio come momento basilare di mobilitazione
- Problema degli organici
- Tematica delle superiori
- Gruppo di lavoro sulla legge di iniziativa popolare
- Partecipazione agli appuntamenti internazionali
- Si demanda ai singoli coordinamenti e comitati la discussione sull’ipotesi di un referendum abrogativo delle leggi Moratti.
Uscire dall’assemblea di Venezia solo con i verbali è una grossa responsabilità in negativo perché c’è un’aspettativa rispetto a questa assemblea da parte dei nostri coordinamenti.

Si dà mandato alle persone che seguono la questione internazionale a continuare a farlo.
Viene raccolta una somma per sovvenzionare le persone che partecipano agli incontri internazionali.

Quindi, alla fine dell’Assemblea, avvenuta alle ore 18.00, si stila il seguente documento finale.


DOCUMENTO FINALE

L’assemblea Nazionale dei coordinamenti e dei comitati in difesa della scuola pubblica riunitasi a Venezia il 30 gennaio 2005:

Decide:
1. piena adesione alle iniziative di mobilitazione del 12 febbraio e del 19 (a Milano)
2. di impegnarsi a promuovere una fase di sensibilizzazione, informazione contro la bozza di decreto sulle superiori, per stimolare la mobilitazione necessaria anche in questo grado di scuole
3. di lottare perché siano garantiti gli organici necessari a soddisfare tutte le richieste effettuate al momento delle iscrizioni e di convocare immediatamente l’assemblea nel caso il numero degli organici assegnato risultasse inferiore
4. di demandare a un gruppo di lavoro, a partecipazione libera, l’elaborazione di una legge di iniziativa popolare in continuità con il lavoro di Genova sulla “scuola che vogliamo” da sottoporre a una apposita assemblea
5. di “delegare” le persone che si sono rese disponibili a partecipare ai prossimi incontri europei per l’organizzazione di iniziative di mobilitazione: a Barcellona, ad Atene e a Bergen
6. di demandare ai singoli coordinamenti e comitati la discussione sull’ipotesi di un referendum abrogativo delle leggi Moratti.