Da: "il manifesto" 26 novembre 2005
La sfida dei Cobas, in difesa della scuola pubblica
Manifestazione nazionale a Roma, contro i tagli del governo,
ma con un «messaggio» per il centrosinistra
FRANCESCO PICCIONI
ROMA Mattinata gelida, col cielo che minaccia pioggia o peggio. Piazza Esedra stenta inizialmente a riempirsi. Poi, man mano che il corteo si incammina, raccoglie le delegazioni che stanno scendendo dai treni, alla stazione Termini, grossi gruppi in arrivo dalle scuole più lontane, e alle undici via Cavour è il solito fiume di gente che contrassegna le manifestazioni ben riuscite. La manifestazione dei Cobas offre uno spaccato come sempre articolato di quella parte di «sinistra radicale» che ha sviluppato, nel corso di 30 anni, una consolidata diffidenza verso partiti e sindacati «ufficiali». Volti ingrigiti di vecchi sessantottini a fianco di ragazzi con il look da centri sociali; brilla per assenza la generazione di mezzo, quella che avrebbe dovuto rivelarsi al mondo tra la fine degli anni '80 e la prima metà dei '90. Uno spaccato che mette insieme lavoratori della scuola e della sanità, pezzi significativi delle imprese private. E poi tanti protagonisti delle lotte sociali in atto. Si apre con i lavoratori della Val di Susa, con un gruppo di uomini-lettera a comporre la frase «No Tav, no Tac» (l'alta capacità nel trasporto merci); seguono i comitati contro il ponte sullo Stretto, quelli degli acquedotti e dei comitati contro la privatizzazione dell'acqua. Arrivano e vengono messi alla testa del corteo i precari di Atesia, il call center romano che da qualche anno fa ormai da test per le lotte contro la precarietà.
E' un mondo tenace, «militante», che non può contare sulla complicità dei media. Nessun giornale (tantomeno i tg), tranne questo e Liberazione, hanno menzionato le modalità dello sciopero «alternativo». Per far riuscire un'iniziativa, insomma, non basta che la indîca «mettendo un foglietto in bacheca». Ognuno deve darsi da fare per convincere individualmente qualcun altro a partecipare, a muoversi. Uno per uno, sui posti di lavoro o via telefono (l'organizzazione del lavoro, in molti casi, è ormai tale che dipendenti della stessa società o ente possono anche non incontrarsi mai). In nessun'altra manifestazione sindacale, probabilmente, si potrebbe trovare uno striscione contro il massacro di Falluja, segno di una mentalità politica ancora aperta sul mondo, non solo sul proprio «particulare».
Cinquantamila. Questa la cifra dei partecipanti che mettono sul piatto. Non si notano gli iscritti alla Cgil-scuola che pure avevano mandato messaggi di adesione allo sciopero (Cgil, Cisl e Uil avevano ridotto la mobilitazione a una sola ora, mentre i Cobas hanno tenuto ferma l'intera giornata); pur scioperando, pare, hanno disertato entrambe le manifestazioni romane di ieri. Il portavoce della scuola, Piero Bernocchi, non sta comunque nella pelle: «Il dato più eclatante viene dalle grandi città, un primo dato provvisorio parla di un lavoratore su due e il 30% delle scuole chiuse. Mi pare che la categoria abbia fatto una scelta netta. Ovviamente siamo stati `agevolati', si fa per dire, anche dall'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, con il taglio di oltre 2.000 miliardi delle vecchie lire di una scuola già massacrata».
Bernocchi non fa sconti a «confederali» e centrosinistra: «Mi pare che siano stati sconfessati i sindacati che, con uno sciopericchio di soltanto un'ora, hanno addirittura umiliato la categoria, dicendole che non può intervenire sulle grandi questioni politiche. Noi abbiamo letto in questa ritirata un segnale preoccupante: in pratica sembra che si stiano preparando a diventare sindacato di governo, se dovesse vincere il centrosinistra». Il messaggio alla base della Cgil è comunque unitario: «lavorare insieme come `popolo della scuola pubblica' per cancellare le distruttive leggi Moratti, dalla materna all'università; ma anche per rimettere in discussione la legge la legge sulla `parità scolastica', quella che ha aperto la breccia con il finanziamento delle scuole private. Dobbiamo esigere massicci finanziamenti per la scuola pubblica, la cancellazione dei privilegi e dell'intervento clericale - nella logica della scuola-parrocchia - con gli insegnanti di religione che sono ormai quasi i soli a essere illicenziabili, visto che la religione viene promossa tra le poche materie obbligatorie, insieme all'italiano e all'inglese. Un fronte unitario che dica al centrosinistra `non potete limitarvi a riformare la riforma'».