Il modello "Milano" può aiutare a superare l’emergenza tempo pieno a rischio di posti
Mentre il ministro Fioroni raschia il fondo del barile per cercare
nuovi posti per il tempo pieno, i sindacati alzano la voce e minacciano azioni
di contrasto.
Tagliare posti (come prevede la finanziaria) e aumentare le classi a tempo pieno
(come chiedono molte famiglie) sono azioni non facilmente compatibili tra di
loro.
Ma, in tempi di emergenza, può servire da esempio la soluzione adottata
negli ultimi anni da Milano, dove è stato fatto un uso flessibile della
compresenza degli insegnanti, ottenendo che le classi organizzate a tempo pieno
passassero dal 78,4% del 2001/02 all’89,2% di quest’anno.
La crescita ha consentito di soddisfare un numero crescente di domande al punto
che gli alunni di scuola primaria frequentanti scuole a tempo pieno sono passati
dal 79,5% del 2001 al 90% di questo anno. In cinque anni le classi a tempo pieno
sono aumentate di 1.178 unità, consentendo la frequenza di 25.808 alunni
in più.
Più esattamente, la soluzione adottata (che è piaciuta alle famiglie
ma che ha fatto storcere il naso ai sindacati) parte dal fatto che, con la presenza
dei docenti di lingua inglese e degli insegnanti di religione cattolica, la
compresenza aumenta mediamente per ogni classe di 4-5 ore settimanali che si
aggiungono alla compresenza di 4 ore dovute al doppio organico, per un totale
di compresenza di 8-9 ore (senza contare l’eventuale apporto dei docenti
di sostegno).
In un plesso scolastico con dieci classi, riducendo mediamente la compresenza
settimanale a circa tre ore in ogni classe, si risparmia l’equivalente
di quasi 3 posti di insegnante.
Il risparmio di posti consente, quindi, di soddisfare altre domande di tempo
pieno.
Ovviamente la riduzione della compresenza intacca i livelli alti di qualità
del servizio, ma offre pur sempre una soluzione dignitosa. Non espande l’organico,
ma soddisfa la domanda.