Prof. Bruno Schettini
Aderisco alla campagna nazionale "no al maestro unico"
Seconda Università di Napoli, Facoltà - Dipartimento di
Psicologia
Cattedra di Pedagogia generale e sociale
|
I recenti provvedimenti ministeriali
in tema di scuola impongono una riflessione critica. Il Governo e, soprattutto,
il Legislatore, nel loro diritto di decretare e legiferare, dovrebbero avere
anche la capacità di accompagnare i provvedimenti assunti con una
giusticazione teorica e metodologica che, quand'anche non condivisibile,
faccia almeno capire quale sia l'orizzonte, non ideologico, all'interno
del quale trovi un senso non estemporaneo quanto viene
deciso, se non altro perché, nel bene o nel male, è doveroso
che le azioni ministeriali e legislative in materia di istruzione non siano
basate su luoghi comuni ed umorali , bensì sulla conoscenza di cosa
sia, scientificamente, un processo di apprendimento, di istruzione e di
formazione, di cosa sia un processo educativo ed una relazione che
voglia rendere autonomi e faccia crescere le nuove generazioni in responsabilità
e capacità di direzionamento per non cadere fra le braccia del rimestatore
mediatico di turno. Ecco, chiederei alla ministra, al governo, al legislatore,
una teoria di riferimento approfondendo la quale chi si occupa di pedagogia
e di didattica o, semplicemente, di scuola possa capire finalmente il fondato
e fondante orizzonte di senso in cui ci si intende muovere; se non altro
perché chi è d'accordo sappia consapevolmente con che
cosa è d'accordo e chi non lo è possa esprimere il proprio
punto di vista muovendo a sua volta critiche fondate e non estemporanee,
critiche che abbiano un fondamento scientifico a partire, magari, dall'evoluzione
che teorie e metodolologie hanno espresso nel tempo dimostrando che secoli
di storia
dell'educazione e delle istituzioni educative e didattiche, e di sperimentazioni
nei due ambiti, non siano trascorsi invano pronti a cedere dinanzi al primo
luogotenente, comandante della piazza, di turno, di sinistra o di destra
non ha poi tanta importanza. Ecco, è legittimo chiedere questo? Credo
di si e, soprattutto, penso sia legittimo che gli esperti della scuola assumano
responsbailmente il loro ruolo intellettuale non subalterno, anche quando
sono d'accordo con le decisioni politiche, perché fra pari e nei
luoghi idonei ci si possa confrontare com'è doveroso fra persone
di scienza, di cultura e di studio". |
Ordine del Giorno delle associazioni pedagogiche sul maestro unico
nella scuola primaria |
Ordine del Giorno delle
associazioni pedagogiche sul maestro unico nella scuola primaria
Le associazioni pedagogiche (Siped – Società italiana di
pedagogia, Sird – Società italiana di ricerca didattica,
Cirse – Centro italiano di ricerca storico-educativa, Siref –
Società italiana di ricerca educativa e formativa) esprimono il
più netto dissenso verso la scelta di tornare al docente unico
nei primi anni della scuola primaria, e nell’interesse dei bambini,
delle famiglie e del futuro del nostro Paese, chiedono al Governo di riconsiderare
la questione.
In un’economia globale basata sulla conoscenza, lo stato di salute
del sistema socio-economico nazionale è legato al tenore delle
competenze disciplinari e relazionali acquisiste dalle persone nei percorsi
di formazione. Il nostro Paese è di fronte ad una vera e propria
sfida dell’istruzione. Per affrontarla con successo occorre assicurare
a tutti la padronanza delle conoscenze fondamentali dei saperi linguistici,
storici e matematico-scientifici.
Tale padronanza può essere garantita solo da un’alfabetizzazione
forte fin dall’inizio della scuola primaria.
La possibilità di realizzare un’alfabetizzazione forte ha
come condizione un processo di parziale specializzazione disciplinare
dei docenti. Non è pensabile che un singolo insegnante possa avere
un’adeguata padronanza di tutti e tre questi ambiti e delle loro
forme d’insegnamento.
Occorre un modello combinato di formazione iniziale e in servizio dei
docenti che, oltre a garantire la necessaria preparazione pedagogica e
didattica, e una cultura di tipo interdisciplinare volta a preservare
l’unità del sapere, assicuri l’approfondimento di un
ambito disciplinare tra il linguistico, lo storico, e il matematico-scientifico.
Il modulo organizzativo della scuola primaria, sancito dalla legge n.148/1990,
prevedendo tre docenti su due classi, ha consentito ai docenti stessi
un progressivo approfondimento dell’ambito disciplinare insegnato,
ed è stata dunque una misura che è andata nella direzione
di un irrobustimento dell’alfabetizzazione di base, oltre a garantire
una pluralità di punti di vista preziosa per sviluppare l’intelligenza
nella molteplicità delle sue forme.
Gli ottimi risultati ottenuti in questi anni dalla scuola primaria nelle
comparazioni internazionali del profitto mostrano che il modulo di tre
docenti sta producendo effetti positivi sulle competenze dei nostri bambini.
La direzione tracciata dalla 148/90 appare perciò quella giusta,
può essere migliorata dando compiutezza al Corso di Laurea di Scienze
della formazione primaria, ma non si può tornare indietro; sarebbe
una scelta anacronistica ed infelice.
Un solo maestro può limitare l’esperienza socio-affettiva
degli alunni, che risulta invece arricchita dall’attuale pluralità
di figure.
Ritornare al maestro unico significherebbe, inoltre, indebolire la preparazione
specifica dei docenti sui fondamenti dei diversi saperi, e quindi rendere
più fragile ed incerta l’alfabetizzazione dei nostri allievi.
Il tenore complessivo delle competenze realizzate dagli alunni nel corso
della formazione scolastica verrebbe inevitabilmente a soffrirne. In prospettiva,
il capitale intellettuale prodotto dal nostro sistema scolastico tenderebbe
a diminuire, e con esso la competitività socio-economica del nostro
Paese.
Le associazioni pedagogiche chiedono, perciò, al Governo un serio
e accurato ripensamento in merito alla questione della pluralità
dei docenti nella scuola primaria. Si dichiarano, inoltre, fin da ora
disponibili a portare il proprio contributo a qualsiasi progetto di miglioramento
della struttura della scuola primaria che muova dalla conferma di tale
pluralità e che avvenga attraverso forme diverse dalla decretazione
d’urgenza.
Il Presidente della Siped – Società italiana di pedagogia
Prof. Massimo Baldacci
Il Presidente della Sird – Società italiana di ricerca didattica
Prof. Gaetano Domenici
Il Presidente del Cirse – Centro italiano di ricerca storico-educativa
Prof. Franco Cambi
Il Presidente della Siref – Società italiana di ricerca
educativa e formativa
Prof. Umberto Margiotta
|
Ordine del Giorno della Conferenza dei Presidi sul maestro unico nella
scuola primaria |
Ordine del Giorno della Conferenza dei Presidi sul
maestro unico nella scuola primaria
15 settembre 2008
La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze della Formazione
esprime il più netto
dissenso verso la scelta di tornare al docente unico nei primi anni della
scuola primaria, e
nell’interesse dei bambini, delle famiglie e del futuro del nostro
Paese, chiede al Governo di
riconsiderare la questione.
In un’economia globale basata sulla conoscenza, lo stato di salute
del sistema socioeconomico
nazionale è legato al tenore delle competenze disciplinari e relazionali
acquisiste dalle
persone nei percorsi di formazione. Il nostro Paese è di fronte ad
una vera e propria sfida
dell’istruzione. Per affrontarla con successo occorre assicurare a
tutti la padronanza delle
conoscenze fondamentali dei saperi linguistici, storici e matematico-scientifici.
Tale padronanza può essere garantita solo da un’alfabetizzazione
forte fin dall’inizio della scuola
primaria.
La possibilità di realizzare un’alfabetizzazione forte ha come
condizione un processo di
parziale specializzazione disciplinare dei docenti. Non è pensabile
che un singolo insegnante possa
avere un’adeguata padronanza di tutti e tre questi ambiti e delle
loro forme d’insegnamento.
Occorre un modello combinato di formazione iniziale e in servizio dei docenti
che, oltre a garantire
la necessaria preparazione pedagogica e didattica, e una cultura di tipo
interdisciplinare volta a
preservare l’unità del sapere, assicuri l’approfondimento
di un ambito disciplinare tra il linguistico,
lo storico, e il matematico-scientifico.
Il modulo organizzativo della scuola primaria, sancito dalla legge n.148/1990,
prevedendo
tre docenti su due classi, ha consentito ai docenti stessi un progressivo
approfondimento dell’ambito
disciplinare insegnato, ed è stata dunque una misura che è
andata nella direzione di un
irrobustimento dell’alfabetizzazione di base, oltre a garantire una
pluralità di punti di vista preziosa
per sviluppare l’intelligenza nella molteplicità delle sue
forme.
Gli ottimi risultati ottenuti in questi anni dalla scuola primaria nelle
comparazioni internazionali del
profitto mostrano che il modulo di tre docenti sta producendo effetti positivi
sulle competenze dei
nostri bambini.
La direzione tracciata dalla 148/90 appare perciò quella giusta,
può essere migliorata dando
compiutezza al Corso di Laurea di Scienze della formazione primaria, ma
non si può tornare
indietro; sarebbe una scelta anacronistica ed infelice.
Un solo maestro può limitare l’esperienza socio-affettiva degli
alunni, che risulta invece
arricchita dall’attuale pluralità di figure.
Ritornare al maestro unico significherebbe, inoltre, indebolire la preparazione
specifica dei
docenti sui fondamenti dei diversi saperi, e quindi rendere più fragile
ed incerta l’alfabetizzazione
dei nostri allievi. Il tenore complessivo delle competenze realizzate dagli
alunni nel corso della
formazione scolastica verrebbe inevitabilmente a soffrirne. In prospettiva,
il capitale intellettuale
prodotto dal nostro sistema scolastico tenderebbe a diminuire, e con esso
la competitività socioeconomica
del nostro Paese.
La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze della Formazione
chiede, perciò, al
Governo un serio e accurato ripensamento in merito alla questione della
pluralità dei docenti nella
scuola primaria. Si dichiara, inoltre, fin da ora disponibile a portare
il proprio contributo a qualsiasi
progetto di miglioramento della struttura della scuola primaria che muova
dalla conferma di tale
pluralità e che avvenga attraverso forme diverse dalla decretazione
d’urgenza. |
Italo Fiorin * presidente del corso di laurea in scienze
della formazione primaria
dell’università LUMSA di Roma |
IL RITORNO DEL MAESTRO UNICO: non solo ragioni
economiche dietro la scelta del governo.
Una scuola da far paura. Il “disegno Tremonti” ha una motivazione
ideologica. Distrugge le utopie della sinistra ma anche la stessa “riforma
Moratti”
di Italo Fiorin *
Quale è il progetto di scuola che guida l’azione del governo?
Prendiamo in considerazione quello che rappresenta il segnale più
eloquente (meno folkloristico del grembiulino, meno enfatico del 5 in
condotta, meno populista della riproposizione del voto): il ritorno al
maestro unico nella scuola elementare.
Si tratta del primo vero provvedimento strutturale, capace di incidere
in modo bruciante nel corpo della scuola.
La mossa è spiazzante, un blitz sul terreno meno presidiato dalle
attese: tutti ad augurarsi il completamento di una riforma infinita, capace
di proseguire e completare i provvedimenti avviati dai precedenti governi,
ed ecco che viene rivoluzionato l’assetto ordinamentale della scuola
primaria, quella che – insieme alla scuola dell’infanzia –
meglio si comporta al
vaglio delle valutazioni internazionali e gode di un larghissimo consenso
tra i genitori.
Con una cifra democratica che si commenta da sé, eludendo il dibattito
parlamentare ed evitando un qualsivoglia confronto con la scuola reale
e con chi la rappresenta, il colpo di mano si concretizza in un amen.
Timide giustificazioni “pedagogiche” («anch’io
ho avuto una sola maestra») tentano di coprire con una foglia di
fico quella che ai più appare la vera ragione del provvedimento
inatteso: il risparmio economico.
Gli sprechi non sono mai giustificati, ed è comprensibile che quando
ci sono difficoltà economiche si spenda con maggior oculatezza.
Naturalmente i tagli e i risparmi riguardano ciò che viene considerato
superfluo o meno rilevante, si cerca, insomma, il male minore. Non ci
vorrebbe molto a dimostrare quanto siano pretestuosi o esagerati gli argomenti
addotti. Si dice che tre insegnanti sono troppi per una classe, sottintendendo
che siano impegnati su una sola classe, cosa che non è.
Ci sono situazioni nelle quali il rapporto numerico insegnante-alunni
è eccessivo, ma si potrebbero sanare senza ricorrere alla macelleria
grossolana; quando si fanno paragoni con altri stati, bisognerebbe ricordarsi
che da noi operano insegnanti specializzati nel sostegno, e questo perché
è stata fatta, a suo tempo, una scelta di civiltà che ci
onora: l’integrazione degli alunni con disabilità e con problemi
rilevanti nelle classi di tutti.
Se la nostra scuola primaria è tra le prime al mondo, lo si deve
anche a questa scelta coraggiosa, che ha promosso l’individualizzazione
dell’insegnamento, la pratica dei gruppi cooperativi, la cura della
personalizzazione dell’apprendimento, e ha contribuito ad un rinnovamento
della didattica purtroppo sconosciuto nella scuola superiore.
Oggi poi le classi sono sempre più multiculturali e sono la scuola
dell’infanzia e quella elementare, ancora una volta, a farsi luogo
di accoglienza e pacifica convivenza.
Naturalmente tutto questo ha un costo, in termini economici, che finora
la nostra comunità nazionale ha dimostrato di apprezzare, ed in
termini umani, perché sono i docenti e non i saccenti che sulla
loro pelle sperimentano la fatica dell’inclusione.
Ma quello che viene svelato dal piccolo golpe estivo è qualcosa
di più inquietante di una operazione contabile sulla pelle della
scuola. La vera colpa della scuola primaria non è di costare troppo,
ma di essere culturalmente irriducibile alla cultura che oggi vuole governare.
Quando il ministro Tremonti rinfaccia alla nostra scuola di essere figlia
del ’68, ci offre la vera chiave interpretativa.
La nostra scuola ha, in effetti, un debito con quel periodo, ma non secondo
le allusioni del ministro, che attribuendovi l’inizio di tutti i
mali, lascia intendere che prima la scuola funzionava bene.
Basti un solo richiamo emblematico: la lettera ad una professoressa, scritta
dai ragazzi di Barbiana. È del 1967. Bisogna tornare a rileggerla,
per ricordarci come eravamo, con il grembiulino dal colletto inamidato
e il libro di testo governativo.
Era una scuola che dava i voti e che bocciava. Era una scuola del merito?
Era una scuola che aveva un orario di 24 ore. Era un tempo sufficiente
per il figlio del dottore, ma per il figlio del bracciante? E la società
è rimasta, oggi, quella di allora?
L’operazione nostalgia, in realtà, ha un’anima ideologica
molto robusta e moderna, anzi più che moderna.
Il fatto è che, progressivamente, il paradigma educativo che ha
costituito l’anima della nostra scuola – da don Lorenzo Milani
e Mario Lodi, dal documento Falcucci alla legge 517/77, via via fino ai
nuovi programmi della scuola media (’79), elementare (’85)
e materna (’91) – si è indebolito e sta per essere
sostituito dal nuovo paradigma vincente, quello economico.
La rivoluzione culturale del ministro Tremonti ha principi chiari: la
scuola ha valore se risponde alle richieste del mercato, non se è
luogo di umanizzazione attraverso la cultura.
Ai più basti una solida alfabetizzazione strumentale (leggere,
scrivere, far di conto) e poi a lavorare. Attraverso la competizione si
selezioneranno i meritevoli, su questi sarà produttivo investire.
Rischia così di chiudersi, prima ancora di essere stato completato,
quel processo di riforma che, in sintonia con le riforme degli altri paesi
europei, aveva preso avvio a partire dalla metà degli anni ’90
e aveva ispirato l’azione dei ministri Berlinguer, De Mauro, Moratti,
infine Fioroni.
Pur nella differenza non solo di stile personale ma anche di orientamento
culturale e politico, c’erano forti tratti di continuità
nell’azione dei diversi responsabili dell’istruzione. La consapevolezza
dei punti deboli era accompagnata da un forte impegno di innovazione.
La scorsa legislatura aveva consegnato alla nuova una scuola “cantiere
aperto”, impegnata a completare la riforma, non una tabula rasa.
L’agenda condivisa riguardava una riforma da completare, non una
rivoluzione ideologica.
Quello che forse non è messo sufficientemente in luce è
che il disegno di Tremonti distrugge non semplicemente le utopie della
sinistra, e i fantasmi del ’68, ma la stessa riforma Moratti.
Che spazio c’è per l’equipe pedagogica, quando ritorna
il maestro unico? Che fine fa il portfolio, se si ripropone il voto? Che
senso ha aprire l’offerta formativa della scuola alle proposte e
alle scelte delle famiglie, se non c’è tempo che per una
mera alfabetizzazione strumentale?
I capisaldi pedagogici di quella riforma vengono tranquillamente spazzati
via.
Quello che viene presentato come ritorno al buon tempo antico e, insieme,
come premessa di un futuro nel quale il merito sarà riconosciuto,
gli insegnanti adeguatamente retribuiti, le classifiche internazionali
scalate, è in realtà non una operazione di semplice cambiamento,
ma di mutazione della natura della scuola.
Nella riforma Moratti convivevano con difficoltà e contraddizioni
le due anime, quella funzionalista e quella personalista. La rivoluzione
di Tremonti toglie ogni ambiguità.
Spegne la speranza; ci consegna una scuola da far paura.
16 settembre 2008
* presidente del corso di laurea in scienze della formazione primaria
dell’università LUMSA di Roma |