Prese di parola pubbliche del mondo dell'Università
sul progetto di restaurazione del maestro unico

Il modello per la raccolta firme - L'appello al mondo dell'università

Bruno Schettini Paolo Sorzio Associazioni pedagogiche (Siped, Sird, Cirse, Siref) Ordine del Giorno della Conferenza dei Presidi sul maestro unico nella scuola primaria Italo Fiorin, presidente del corso di laurea in scienze della formazione primaria  

Prof. Bruno Schettini

Aderisco alla campagna nazionale "no al maestro unico"


Seconda Università di Napoli, Facoltà - Dipartimento di Psicologia
Cattedra di Pedagogia generale e sociale

I recenti provvedimenti ministeriali in tema di scuola impongono una riflessione critica. Il Governo e, soprattutto, il Legislatore, nel loro diritto di decretare e legiferare, dovrebbero avere anche la capacità di accompagnare i provvedimenti assunti con una giusticazione teorica e metodologica che, quand'anche non condivisibile, faccia almeno capire quale sia l'orizzonte, non ideologico, all'interno del quale trovi un senso non estemporaneo quanto viene
deciso, se non altro perché, nel bene o nel male, è doveroso che le azioni ministeriali e legislative in materia di istruzione non siano basate su luoghi comuni ed umorali , bensì sulla conoscenza di cosa sia, scientificamente, un processo di apprendimento, di istruzione e di formazione, di cosa sia un processo educativo ed una relazione che
voglia rendere autonomi e faccia crescere le nuove generazioni in responsabilità e capacità di direzionamento per non cadere fra le braccia del rimestatore mediatico di turno. Ecco, chiederei alla ministra, al governo, al legislatore, una teoria di riferimento approfondendo la quale chi si occupa di pedagogia e di didattica o, semplicemente, di scuola possa capire finalmente il fondato e fondante orizzonte di senso in cui ci si intende muovere; se non altro perché chi
è d'accordo sappia consapevolmente con che cosa è d'accordo e chi non lo è possa esprimere il proprio punto di vista muovendo a sua volta critiche fondate e non estemporanee, critiche che abbiano un fondamento scientifico a partire, magari, dall'evoluzione che teorie e metodolologie hanno espresso nel tempo dimostrando che secoli di storia
dell'educazione e delle istituzioni educative e didattiche, e di sperimentazioni nei due ambiti, non siano trascorsi invano pronti a cedere dinanzi al primo luogotenente, comandante della piazza, di turno, di sinistra o di destra non ha poi tanta importanza. Ecco, è legittimo chiedere questo? Credo di si e, soprattutto, penso sia legittimo che gli esperti della scuola assumano responsbailmente il loro ruolo intellettuale non subalterno, anche quando sono d'accordo con le decisioni politiche, perché fra pari e nei luoghi idonei ci si possa confrontare com'è doveroso fra persone di scienza, di cultura e di studio".

Paolo Sorzio

ricercatore di pedagogia Generale

coordinatore del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

Università di
Trieste

Carissimi, aderisco al vostro appello per la difesa della qualità della scuola pubblica, garantita dalla struttura modulare della didattica. La scelta del ritorno al maestro unico è sbagliata perché reintroduce una figura il cui ruolo è sostanzialmente quello dell'accudimento, in una realtà sociale basata sulla conoscenza e sulla necessità per una democrazia di rendere universale la capacità di analisi e riflessività. Evidentemente un insegnante unico non potrà che tentare di fornire un insieme di contenuti, con il risultato (già ampiamente rilevato) di memorizzazioni contenutistiche o procedurali di limitata applicabilità; difficilmente avrà il tempo e lo spazio mentale di elaborare problemi aperti, creare ambienti didattici in cui gli studenti possano sviluppare forme di pensiero avanzato, come la capacità di trasferire le conoscenze apprese tra contesti, di valutazione critica, di decisione razionale. Questi obiettivi
formativi richiedono un lavoro di team, una cultura della collaborazione professionale che gli insegnanti hanno sviluppato nel corso degli anni.
Inoltre, le modalità di annunci ministeriali e decretazioni lasciano ampiamente perplessi. Il ministro Gelmini dichiara una sensibile diminuzione dell'orario scolastico, ma garantisce il mantenimento del
tempo pieno; poiché sembrano due tendenze in contraddizione, sarebbe stato importante spiegare in che maniera si reggono entrambe contemporaneamente. Invece, si rimanda la soluzione probabilmente a decreti attuativi, che certamente lasceranno alle scuole dei problemi non facilmente risolvibili. Ci si può immaginare eventualmente una collezione di attività extra-curricolari che sembrano un ritorno al passato, a una scuola che poneva una divisione tra discipline alte e discipline basse.
Si tratta di un intervento tra l'ideologico e l'economico di cui non sono state valutate le implicazioni formative. Non è neppure un semplice ritorno al passato: la struttura della scuola è troppo cambiata.
Cordialmente
Paolo Sorzio
Ordine del Giorno delle associazioni pedagogiche sul maestro unico nella scuola primaria
Ordine del Giorno delle associazioni pedagogiche sul maestro unico nella scuola primaria

Le associazioni pedagogiche (Siped – Società italiana di pedagogia, Sird – Società italiana di ricerca didattica, Cirse – Centro italiano di ricerca storico-educativa, Siref – Società italiana di ricerca educativa e formativa) esprimono il più netto dissenso verso la scelta di tornare al docente unico nei primi anni della scuola primaria, e nell’interesse dei bambini, delle famiglie e del futuro del nostro Paese, chiedono al Governo di riconsiderare la questione.

In un’economia globale basata sulla conoscenza, lo stato di salute del sistema socio-economico nazionale è legato al tenore delle competenze disciplinari e relazionali acquisiste dalle persone nei percorsi di formazione. Il nostro Paese è di fronte ad una vera e propria sfida dell’istruzione. Per affrontarla con successo occorre assicurare a tutti la padronanza delle conoscenze fondamentali dei saperi linguistici, storici e matematico-scientifici.
Tale padronanza può essere garantita solo da un’alfabetizzazione forte fin dall’inizio della scuola primaria.

La possibilità di realizzare un’alfabetizzazione forte ha come condizione un processo di parziale specializzazione disciplinare dei docenti. Non è pensabile che un singolo insegnante possa avere un’adeguata padronanza di tutti e tre questi ambiti e delle loro forme d’insegnamento.
Occorre un modello combinato di formazione iniziale e in servizio dei docenti che, oltre a garantire la necessaria preparazione pedagogica e didattica, e una cultura di tipo interdisciplinare volta a preservare l’unità del sapere, assicuri l’approfondimento di un ambito disciplinare tra il linguistico, lo storico, e il matematico-scientifico.

Il modulo organizzativo della scuola primaria, sancito dalla legge n.148/1990, prevedendo tre docenti su due classi, ha consentito ai docenti stessi un progressivo approfondimento dell’ambito disciplinare insegnato, ed è stata dunque una misura che è andata nella direzione di un irrobustimento dell’alfabetizzazione di base, oltre a garantire una pluralità di punti di vista preziosa per sviluppare l’intelligenza nella molteplicità delle sue forme.
Gli ottimi risultati ottenuti in questi anni dalla scuola primaria nelle comparazioni internazionali del profitto mostrano che il modulo di tre docenti sta producendo effetti positivi sulle competenze dei nostri bambini.

La direzione tracciata dalla 148/90 appare perciò quella giusta, può essere migliorata dando compiutezza al Corso di Laurea di Scienze della formazione primaria, ma non si può tornare indietro; sarebbe una scelta anacronistica ed infelice.
Un solo maestro può limitare l’esperienza socio-affettiva degli alunni, che risulta invece arricchita dall’attuale pluralità di figure.
Ritornare al maestro unico significherebbe, inoltre, indebolire la preparazione specifica dei docenti sui fondamenti dei diversi saperi, e quindi rendere più fragile ed incerta l’alfabetizzazione dei nostri allievi. Il tenore complessivo delle competenze realizzate dagli alunni nel corso della formazione scolastica verrebbe inevitabilmente a soffrirne. In prospettiva, il capitale intellettuale prodotto dal nostro sistema scolastico tenderebbe a diminuire, e con esso la competitività socio-economica del nostro Paese.

Le associazioni pedagogiche chiedono, perciò, al Governo un serio e accurato ripensamento in merito alla questione della pluralità dei docenti nella scuola primaria. Si dichiarano, inoltre, fin da ora disponibili a portare il proprio contributo a qualsiasi progetto di miglioramento della struttura della scuola primaria che muova dalla conferma di tale pluralità e che avvenga attraverso forme diverse dalla decretazione d’urgenza.


Il Presidente della Siped – Società italiana di pedagogia
Prof. Massimo Baldacci

Il Presidente della Sird – Società italiana di ricerca didattica
Prof. Gaetano Domenici

Il Presidente del Cirse – Centro italiano di ricerca storico-educativa
Prof. Franco Cambi

Il Presidente della Siref – Società italiana di ricerca educativa e formativa
Prof. Umberto Margiotta

Ordine del Giorno della Conferenza dei Presidi sul maestro unico nella scuola primaria Ordine del Giorno della Conferenza dei Presidi sul maestro unico nella scuola primaria
15 settembre 2008
La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze della Formazione esprime il più netto
dissenso verso la scelta di tornare al docente unico nei primi anni della scuola primaria, e
nell’interesse dei bambini, delle famiglie e del futuro del nostro Paese, chiede al Governo di
riconsiderare la questione.
In un’economia globale basata sulla conoscenza, lo stato di salute del sistema socioeconomico
nazionale è legato al tenore delle competenze disciplinari e relazionali acquisiste dalle
persone nei percorsi di formazione. Il nostro Paese è di fronte ad una vera e propria sfida
dell’istruzione. Per affrontarla con successo occorre assicurare a tutti la padronanza delle
conoscenze fondamentali dei saperi linguistici, storici e matematico-scientifici.
Tale padronanza può essere garantita solo da un’alfabetizzazione forte fin dall’inizio della scuola
primaria.
La possibilità di realizzare un’alfabetizzazione forte ha come condizione un processo di
parziale specializzazione disciplinare dei docenti. Non è pensabile che un singolo insegnante possa
avere un’adeguata padronanza di tutti e tre questi ambiti e delle loro forme d’insegnamento.
Occorre un modello combinato di formazione iniziale e in servizio dei docenti che, oltre a garantire
la necessaria preparazione pedagogica e didattica, e una cultura di tipo interdisciplinare volta a
preservare l’unità del sapere, assicuri l’approfondimento di un ambito disciplinare tra il linguistico,
lo storico, e il matematico-scientifico.
Il modulo organizzativo della scuola primaria, sancito dalla legge n.148/1990, prevedendo
tre docenti su due classi, ha consentito ai docenti stessi un progressivo approfondimento dell’ambito
disciplinare insegnato, ed è stata dunque una misura che è andata nella direzione di un
irrobustimento dell’alfabetizzazione di base, oltre a garantire una pluralità di punti di vista preziosa
per sviluppare l’intelligenza nella molteplicità delle sue forme.
Gli ottimi risultati ottenuti in questi anni dalla scuola primaria nelle comparazioni internazionali del
profitto mostrano che il modulo di tre docenti sta producendo effetti positivi sulle competenze dei
nostri bambini.
La direzione tracciata dalla 148/90 appare perciò quella giusta, può essere migliorata dando
compiutezza al Corso di Laurea di Scienze della formazione primaria, ma non si può tornare
indietro; sarebbe una scelta anacronistica ed infelice.
Un solo maestro può limitare l’esperienza socio-affettiva degli alunni, che risulta invece
arricchita dall’attuale pluralità di figure.
Ritornare al maestro unico significherebbe, inoltre, indebolire la preparazione specifica dei
docenti sui fondamenti dei diversi saperi, e quindi rendere più fragile ed incerta l’alfabetizzazione
dei nostri allievi. Il tenore complessivo delle competenze realizzate dagli alunni nel corso della
formazione scolastica verrebbe inevitabilmente a soffrirne. In prospettiva, il capitale intellettuale
prodotto dal nostro sistema scolastico tenderebbe a diminuire, e con esso la competitività socioeconomica
del nostro Paese.
La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze della Formazione chiede, perciò, al
Governo un serio e accurato ripensamento in merito alla questione della pluralità dei docenti nella
scuola primaria. Si dichiara, inoltre, fin da ora disponibile a portare il proprio contributo a qualsiasi
progetto di miglioramento della struttura della scuola primaria che muova dalla conferma di tale
pluralità e che avvenga attraverso forme diverse dalla decretazione d’urgenza.
Italo Fiorin * presidente del corso di laurea in scienze della formazione primaria
dell’università LUMSA di Roma

IL RITORNO DEL MAESTRO UNICO: non solo ragioni economiche dietro la scelta del governo.
Una scuola da far paura. Il “disegno Tremonti” ha una motivazione ideologica. Distrugge le utopie della sinistra ma anche la stessa “riforma Moratti”
di Italo Fiorin *

Quale è il progetto di scuola che guida l’azione del governo? Prendiamo in considerazione quello che rappresenta il segnale più eloquente (meno folkloristico del grembiulino, meno enfatico del 5 in condotta, meno populista della riproposizione del voto): il ritorno al maestro unico nella scuola elementare.
Si tratta del primo vero provvedimento strutturale, capace di incidere in modo bruciante nel corpo della scuola.
La mossa è spiazzante, un blitz sul terreno meno presidiato dalle attese: tutti ad augurarsi il completamento di una riforma infinita, capace di proseguire e completare i provvedimenti avviati dai precedenti governi, ed ecco che viene rivoluzionato l’assetto ordinamentale della scuola primaria, quella che – insieme alla scuola dell’infanzia – meglio si comporta al
vaglio delle valutazioni internazionali e gode di un larghissimo consenso tra i genitori.
Con una cifra democratica che si commenta da sé, eludendo il dibattito parlamentare ed evitando un qualsivoglia confronto con la scuola reale e con chi la rappresenta, il colpo di mano si concretizza in un amen.
Timide giustificazioni “pedagogiche” («anch’io ho avuto una sola maestra») tentano di coprire con una foglia di fico quella che ai più appare la vera ragione del provvedimento inatteso: il risparmio economico.
Gli sprechi non sono mai giustificati, ed è comprensibile che quando ci sono difficoltà economiche si spenda con maggior oculatezza.
Naturalmente i tagli e i risparmi riguardano ciò che viene considerato superfluo o meno rilevante, si cerca, insomma, il male minore. Non ci vorrebbe molto a dimostrare quanto siano pretestuosi o esagerati gli argomenti addotti. Si dice che tre insegnanti sono troppi per una classe, sottintendendo che siano impegnati su una sola classe, cosa che non è.
Ci sono situazioni nelle quali il rapporto numerico insegnante-alunni è eccessivo, ma si potrebbero sanare senza ricorrere alla macelleria grossolana; quando si fanno paragoni con altri stati, bisognerebbe ricordarsi che da noi operano insegnanti specializzati nel sostegno, e questo perché è stata fatta, a suo tempo, una scelta di civiltà che ci onora: l’integrazione degli alunni con disabilità e con problemi rilevanti nelle classi di tutti.
Se la nostra scuola primaria è tra le prime al mondo, lo si deve anche a questa scelta coraggiosa, che ha promosso l’individualizzazione dell’insegnamento, la pratica dei gruppi cooperativi, la cura della personalizzazione dell’apprendimento, e ha contribuito ad un rinnovamento della didattica purtroppo sconosciuto nella scuola superiore.
Oggi poi le classi sono sempre più multiculturali e sono la scuola dell’infanzia e quella elementare, ancora una volta, a farsi luogo di accoglienza e pacifica convivenza.
Naturalmente tutto questo ha un costo, in termini economici, che finora la nostra comunità nazionale ha dimostrato di apprezzare, ed in termini umani, perché sono i docenti e non i saccenti che sulla loro pelle sperimentano la fatica dell’inclusione.
Ma quello che viene svelato dal piccolo golpe estivo è qualcosa di più inquietante di una operazione contabile sulla pelle della scuola. La vera colpa della scuola primaria non è di costare troppo, ma di essere culturalmente irriducibile alla cultura che oggi vuole governare.
Quando il ministro Tremonti rinfaccia alla nostra scuola di essere figlia del ’68, ci offre la vera chiave interpretativa.
La nostra scuola ha, in effetti, un debito con quel periodo, ma non secondo le allusioni del ministro, che attribuendovi l’inizio di tutti i mali, lascia intendere che prima la scuola funzionava bene.
Basti un solo richiamo emblematico: la lettera ad una professoressa, scritta dai ragazzi di Barbiana. È del 1967. Bisogna tornare a rileggerla, per ricordarci come eravamo, con il grembiulino dal colletto inamidato e il libro di testo governativo.
Era una scuola che dava i voti e che bocciava. Era una scuola del merito? Era una scuola che aveva un orario di 24 ore. Era un tempo sufficiente per il figlio del dottore, ma per il figlio del bracciante? E la società è rimasta, oggi, quella di allora?
L’operazione nostalgia, in realtà, ha un’anima ideologica molto robusta e moderna, anzi più che moderna.
Il fatto è che, progressivamente, il paradigma educativo che ha costituito l’anima della nostra scuola – da don Lorenzo Milani e Mario Lodi, dal documento Falcucci alla legge 517/77, via via fino ai nuovi programmi della scuola media (’79), elementare (’85) e materna (’91) – si è indebolito e sta per essere sostituito dal nuovo paradigma vincente, quello economico.
La rivoluzione culturale del ministro Tremonti ha principi chiari: la scuola ha valore se risponde alle richieste del mercato, non se è luogo di umanizzazione attraverso la cultura.
Ai più basti una solida alfabetizzazione strumentale (leggere, scrivere, far di conto) e poi a lavorare. Attraverso la competizione si selezioneranno i meritevoli, su questi sarà produttivo investire.
Rischia così di chiudersi, prima ancora di essere stato completato, quel processo di riforma che, in sintonia con le riforme degli altri paesi europei, aveva preso avvio a partire dalla metà degli anni ’90 e aveva ispirato l’azione dei ministri Berlinguer, De Mauro, Moratti, infine Fioroni.
Pur nella differenza non solo di stile personale ma anche di orientamento culturale e politico, c’erano forti tratti di continuità nell’azione dei diversi responsabili dell’istruzione. La consapevolezza dei punti deboli era accompagnata da un forte impegno di innovazione.
La scorsa legislatura aveva consegnato alla nuova una scuola “cantiere aperto”, impegnata a completare la riforma, non una tabula rasa. L’agenda condivisa riguardava una riforma da completare, non una rivoluzione ideologica.
Quello che forse non è messo sufficientemente in luce è che il disegno di Tremonti distrugge non semplicemente le utopie della sinistra, e i fantasmi del ’68, ma la stessa riforma Moratti.
Che spazio c’è per l’equipe pedagogica, quando ritorna il maestro unico? Che fine fa il portfolio, se si ripropone il voto? Che senso ha aprire l’offerta formativa della scuola alle proposte e alle scelte delle famiglie, se non c’è tempo che per una mera alfabetizzazione strumentale?
I capisaldi pedagogici di quella riforma vengono tranquillamente spazzati via.
Quello che viene presentato come ritorno al buon tempo antico e, insieme, come premessa di un futuro nel quale il merito sarà riconosciuto, gli insegnanti adeguatamente retribuiti, le classifiche internazionali scalate, è in realtà non una operazione di semplice cambiamento, ma di mutazione della natura della scuola.
Nella riforma Moratti convivevano con difficoltà e contraddizioni le due anime, quella funzionalista e quella personalista. La rivoluzione di Tremonti toglie ogni ambiguità.
Spegne la speranza; ci consegna una scuola da far paura.
16 settembre 2008
* presidente del corso di laurea in scienze della formazione primaria dell’università LUMSA di Roma