DALLA PROTESTA ALLA PROPOSTA

Stefano Micheletti - Docente LAS Venezia

Grande preoccupazione sta destando quanto programmato dal Governo per l’istruzione e la ricerca. La protesta ha trovato un prologo ancora in estate, con le prime assemblee e sit-in dei precari. La ministra Gelmini, di fronte a decine di migliaia di insegnanti precari futuri disoccupati sproloquiava sulle ipotesi di offrire a "una parte di queste persone (...) un'opportunità di lavoro (nel turismo) in un contesto di rilancio del sistema Paese".
La protesta si è levata poi dalla scuola primaria contro il D.L. 137 sul maestro “unico”, coinvolgendo genitori ed insegnanti. Ha coinvolto le Università, in merito ai tagli previsti dalla stessa legge 133, e gli studenti medi; stenta un po’ a coinvolgere i docenti delle superiori, a differenza forse degli istituti dell’area artistica, essendo i più coinvolti dalle riduzioni previste. Molte le iniziative che sono state messe in campo, articolate anche con le modalità assunte dall’Onda degli universitari e dalle proteste contro il “maestro unico”: lezioni all’aperto nelle piazze delle città d’arte, “notti bianche”. Sono nate mailing-list e blog per coordinare la protesta dell’istruzione artistica. Da subito si è accolta la “suggestione” proposta dall’Onda universitaria: il tentativo, in altre parole, di confrontarci anche sul terreno della cosiddetta “autoriforma”.
La protesta contro l’art. 64 della legge 133, infatti, non è tesa a preservare uno status quo. Nessuno ritiene che nella scuola o nell’università vada bene tutto, anzi. Si tratta di essere contro un piano di vero e proprio smantellamento dell’istruzione pubblica, ma per un autoriforma che parta dal basso, dal coinvolgimento degli operatori, degli studenti, del mondo della cultura, dei mestieri, delle professioni.
Molti colleghi si sono attivati, usando anche i nuovi strumenti della comunicazione, in proposte interessanti di ri-organizzazione, muovendosi dentro la cornice delle sperimentazioni decennali esistenti per l’istruzione artistica (Michelangelo, Leonardo), oppure sui quadri orari della riforma Moratti, che, ai più, oggi risulta il “male minore” rispetto al disastro annunciato.
Questo convegno è stato organizzato, oltre che per trovare momenti comuni di protesta, anche e soprattutto per continuare il dibattito su questo, per promuovere una piattaforma comune, un “manifesto” per l’istruzione artistica, anche da presentare al M.I.U.R. come base per una “trattativa” dal basso. Tento di offrire qualche spunto e per il dibattito.
Autoriforma credo non possa significare produrre dei quadri orari alternativi a quelli della Gelmini, o almeno non solo. Girano bozze di Regolamenti sui nuovi ordinamenti liceali, con allegati i quadri orari: si ha l’impressione che, come negli anni della Moratti, rendano pubbliche bozze ufficiose le più varie, forse per saggiare il terreno, per studiare le risposte e gli umori degli operatori. Le ultime, datate 5 dicembre, sono forse le più attendibili, quelle più vicine alla realtà, anche perché inevitabilmente i Regolamenti dovranno uscire entro dicembre (si parla di un’ipotetica approvazione nella seduta del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre), se vogliono partire con le prime classi con il prossimo a.s.. In quest’ultima versione di Regolamento per i licei, il curricolo è organizzato in attività obbligatorie per tutti gli studenti e in attività obbligatorie d’indirizzo, per i tre indirizzi dei licei artistici (gli stessi della Moratti), di 34 ore nel primo biennio e 35 nel secondo biennio e nell’ultimo anno.
Già sui tre indirizzi molto c’è da dire: tutti non concordano sull’unificare in un unico indirizzo (Arti Figurative) la pittura e la scultura, e ben pochi ritengono di definire addirittura un indirizzo autonomo (AUDIOVISIVO MULTIMEDIA E SCENOGRAFIA) per la comunicazione e la progettazione multimediale, quando in realtà oggi in tutti i campi del fare artistico si usano le nuove tecnologie, come pure nelle nostre scuole, spesso grazie all’auto-aggiornamento volontario di docenti e assistenti.
Per tutti i licei, l’area che nell’ipotesi morattiana era definita “attività obbligatorie a scelta dello studente”, diventa “Insegnamenti attivabili sulla base del Piano dell’Offerta Formativa nei limiti del contingente di organico assegnato all’istituzione scolastica, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie”.
Sono in definitiva le due-tre ore che mancano rispetto ai quadri orari della Moratti, che ricordiamo prevedevano 36 ore al primo biennio, 38 nel secondo e all’ultimo anno.
Per quest’area non sarà assegnato un organico, ma si utilizzeranno i docenti in esubero o parzialmente in esubero, oppure sarà finanziato con un budget d’istituto.Le materie di quest’area potranno essere Fisica, Musica, Elementi di Diritto ed economia o Approfondimento delle discipline obbligatorie.
Pubblicati i Regolamenti, i collegi docenti dovranno elaborare i P.O.F. in base ai nuovi ordinamenti: si preannunciano “guerre tra poveri” per la spartizione delle ore per quest’area.
In quest’ultimo Regolamento pare che il destino degli istituti d’Arte venga diviso da quello dei licei. L’art. 2 comma 10 recita: “Con distinto regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 2 della legge 23 agosto 1998, n. 400 e successive modificazioni si provvede, sulla base dei criteri previsti dal presente regolamento, alla riorganizzazione degli istituti d’arte”.
Certo che, essendo rimandata questa riorganizzazione, potrà succedere già nelle prossime prescrizioni che l’utenza decida proprio di non optare per gli incerti I.S.A. ed indirizzarsi direttamente ai licei, oppure che gli stessi collegi docenti degli I.S.A. propendano per trasformarsi in licei.
E’ proprio per questo, io credo, che in questa fase parlare di Autoriforma non possa voler dire confrontarsi – o confrontarsi solo – con i quadri orari.
Dobbiamo partire dal mantenimento del patrimonio di esperienze, di mezzi e strumenti – penso ai laboratori spesso realizzati e mantenuti con il lavoro, anche volontario, di docenti, assistenti e studenti – che abbiamo.
Dobbiamo partire dal mantenimento delle risorse umane e professionali che abbiamo, comprese quelle dei precari, che vanno difesi, perché l’espulsione dei precari rappresenta una tragedia occupazionale certo, ma anche professionale e umana, pari a più di venti volte quella – di cui si parla in questi giorni nei giornali – dei nove mila lavoratori della Telecom in esubero, ad esempio.Quindi non possiamo che partire dalla richiesta di abrogazione dell’art. 64 della legge 133, perchè è solo un piano di smantellamento della scuola per fare cassa. Credo che lo slogan degli studenti dell’Onda di questi giorni, “non paghiamo noi la vostra crisi”, sia il più appropriato.
Qualche collega, nelle riunioni di coordinamento che si sono svolte, ha proposto una sorta di “moratoria” per l’istruzione artistica, in quanto si tratterebbe di una peculiarità che rappresenta solo il 3% dell’istruzione in Italia. Ma questo lo potrebbero dire, che ne so, anche gli Istituti Tecnici Nautici, che sono pochissimi in Italia e che certo non ci si ritrovano all’interno dei previsti Istituti Tecnici – indirizzo Trasporti e Logistica.
Con la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, se supponiamo si ottiene - che ne so - una deroga per l’istruzione artistica, in termini di bilancio, si deve ricorrere a tagliare comunque da un’altra parte, - che ne so - il tempo lungo della scuola primaria.
Credo si debba mettere in guardia anche su altri ordini di problemi. Sull’unità oraria di lezione. Tra i colleghi, ed anche tra gli studenti, gira l’ipotesi che, essendo molto spesso l’unità oraria di lezione – per motivi di pendolarismo e di organizzazione – non di 60 minuti, ma di 50, si possa ipotizzare il recupero dei dieci minuti, recuperando unità di lezione tagliate dai nuovi ordinamenti.
Il DPR 275 del '99 - il Regolamento dell'autonomia scolastica - consente al collegio docenti di attuare, anche sperimentalmente, la flessibilità oraria; quindi si potrebbe, riducendo l'unità oraria di lezione a 50 minuti, deliberare di far recuperare ai docenti gli altri 10 minuti. 10 minuti per 18 ore settimanali significano altre 3 unità di lezione (da 50 minuti e avanza pure mezz’ora) in più per docente, quindi settimanalmente ogni docente terrebbe 21 unità di lezione. Credo si tratti di una cosa da rifiutare.
Per ogni docente aumenterebbe, con il numero delle lezioni, anche il numero di allievi da seguire, l'intensità del proprio lavoro, con il peggioramento della qualità dello stesso.
Senza contare che l'organico dei docenti sarebbe lo stesso tagliato di migliaia di unità, con l'espulsione definitiva dei moltissimi precari che lavorano da anni nella scuola.
In pratica un numero minore di docenti seguirebbe (peggio di prima) un numero maggiore di allievi. E' come se, in un’azienda, un minore numero di dipendenti svolgesse lo stesso lavoro intensificando la "produttività" per addetto.Ma la scuola non è un'azienda e l'insegnamento/apprendimento ha bisogno di tempi e relazioni docenti/discenti sufficienti. In questa fase dobbiamo richiedere il ritiro dell'art. 64 della legge 133 e conservare le risorse, di personale e di orario, che abbiamo.

Sull’utilizzo dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche

La nuova bozza di regolamento, quella del 5 dicembre, prevede un’area di insegnamenti attivabili sulla base del P.O.F.. Le istituzioni scolastiche possono organizzare, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, attività ed insegnamenti facoltativi coerenti con il profilo educativo, culturale e professionale dello studente previsto per il relativo percorso liceale.La scelta di tali attività e insegnamenti è facoltativa e opzionale per gli studenti e la loro frequenza è gratuita.Gli studenti sono tenuti alla frequenza delle attività e degli insegnamenti facoltativi prescelti. La valutazione nelle materie facoltative concorre alla valutazione complessiva.Al fine di ampliare e razionalizzare tale scelta, gli istituti possono, nella loro autonomia, organizzarsi anche in rete. Per lo svolgimento di tali attività, l’organico non viene però assegnato dall’Amministrazione.
Si tratta quindi di una autonomia della “miseria”: le scuole possono ampliare l’offerta, ma solo se c’è l’organico. Magari i primi anni, fintantoché i nuovi ordinamenti andranno a regime – ci vogliono cinque anni –, si potranno utilizzare le ore che avanzano dei docenti, o chi andrà in esubero. Poi non più.
Si intravede comunque qual’è il disegno finale, non solo per la scuola, ma - par di capire -, per l’intero welfare. Lo Stato garantisce un pacchetto di servizi di istruzione e formazione, una serie di prestazione minime, un quadro orario di base e un tempo scuola garantito. Poi, mediante il principio di “sussidiarietà”, le regioni e gli enti locali potranno integrare l’offerta formativa.
Ad esempio il Trentino Alto Adige, forte della propria autonomia anche finanziaria di regione a statuto speciale, ha già dichiarato che nelle proprie scuole primarie di “maestro unico” proprio non se ne parla e che interverrà autonomamente pagandosi direttamente l’organico per tempo pieno e moduli. E’ chiaro che in questo modo si arriva alla deregulation, alla frammentazione del sistema di formazione ed istruzione, alla differenziazione tra territori ricchi e non.
Altro scenario, anche questo secondo me da rifiutare, le ipotesi contenute nel disegno di legge dell’on. Aprea: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”. Con tale proposta, già in discussione nelle Commissioni parlamentari competenti, si arriva alla quadratura del cerchio: il completamento del processo di aziendalizzazione della scuola iniziato da Berlinguer con l’introduzione della cosiddetta autonomia scolastica. Le istituzione scolastiche si trasformeranno in fondazioni gestite da Consigli di Amministrazione aperti al privato, i docenti saranno assunti direttamente dal dirigente scolastico e saranno gerarchizzati in tre fasce: docente iniziale, ordinario ed esperto.Lo Stato anche qui garantisce un pacchetto, un quadro orario minimo. Il resto lo mette il Consiglio di Amministrazione in cui siedono privati che intendono ampliare l’offerta formativa con finalità ed interessi privati.
Siamo quindi sempre e solo per il No? Io credo di no, siamo anche e soprattutto per molti si.Quando parliamo di Autoriforma non può significare ragionare solo sui quadri orari, ma sulle finalità dell’indirizzo di studi, sugli obiettivi didattici ed educativi. Magari si tratterà pure di ragionare se in un liceo artistico sono troppe 5 ore di italiano nel biennio, oppure che l’insegnamento del diritto sia superfluo per l’istruzione artistica, o che forse, l’ultimo anno, l’insegnamento della filosofia possa trasformarsi in insegnamento dell’estetica. Ma ritengo che questo non sia il punto. Dobbiamo ragionare sulla scuola che vogliamo, ragionando sul cosa, quanto e come insegnare e apprendere. Intanto ci vuole un'efficace politica d’investimenti sulla scuola e l'istruzione, invertendo le politiche degli ultimi vent’anni. Poi si tratta di elevare l’obbligo d’istruzione sul serio ai 16 anni e tendenzialmente ai 18, per fare conseguire a tutti un diploma. L’attuale obbligo ai 16 anni è un imbroglio, visto che si può conseguire anche nei percorsi integrati della formazione professionale (si tratta di un vero e proprio addestramento al lavoro). Inoltre la scuola deve essere meno precaria: il fatto che un docente su cinque abbia un contratto a tempo determinato e ogni anno cambi scuola, se non materia d’insegnamento, scardina la continuità didattica ed influisce sulla qualità dell’insegnamento e sui risultati degli allievi. Bisogna intervenire sul processo di insegnamento/apprendimento. Sulla relazione che intercorre, nella comunità educativa, tra la collegialità degli insegnamenti e gli apprendimenti. Non a caso la Gelmini interviene contro il modulo, il tempo pieno e la collegialità del team dei maestri ad esempio, o sulla codocenza nei laboratori. Lo scopo è minare la scuola “fatta insieme”, la scuola della cooperazione, per ripristinare la scuola della lezione ex cattedra, come trasmissione di contenuti e nozioni che gli allievi devono recepire, e se non li recepiscono vengono esclusi. Intervenire sulla relazione insegnamento/apprendimento significa allora intervenire su un numero ragionevole di allievi per classe e per laboratorio, per portare avanti interventi individualizzati. E sulla necessità di avere un organico sufficiente e tempi sufficienti. Grande discussione ha sollevato l’anno scorso l’O.M. 92 sul recupero dei debiti emanata dall’ex ministro Fioroni. A proposito, se parliamo di autoriforma, credo che la prima cosa da cambiare sia l’orrendo lessico introdotto nella scuola, quei debiti e crediti che vanno bene per un linguaggio bancario da “partita doppia” e non per la valutazione degli apprendimenti dei nostri allievi. Grande discussione perché entrava nel merito del nostro lavoro, nel merito dell’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento, nel merito di quel grande problema che è la dispersione scolastica. Molti segnalarono l’inefficacia di attività basate prevalentemente sul recupero ex post (dimostratesi inefficaci nella prassi) e rivolte ad allievi che già, nell’istruzione artistica ad esempio, affrontano un pesante orario scolastico, mentre andrebbero potenziate le attività di sostegno e gli interventi individualizzati nel corso delle ore curricolari. Altri fecero notare l'inefficacia di corsi - della durata di 15 ore - per sanare lacune sia nelle materie comuni che, tanto più, nelle discipline artistiche di indirizzo che richiedono tempi e modi diversi di apprendimento.
Molti segnalarono altri interventi auspicabili per migliorare l'offerta didattica e l'apprendimento, oltre ad una drastica riduzione di alunni per classe, condizione per un efficace processo di insegnamento/apprendimento e per un proficuo intervento individualizzato per sanare le carenze di ogni singolo discente.
Ad esempio si potrebbe prevedere un potenziamento dell'organico d'istituto, con docenti preposti solo al lavoro di sostegno e recupero per contrastare la dispersione scolastica, anche con interventi in compresenza in classe e nei laboratori. Certo tutto questo costa! Ma di una riforma che non costi, aumentando la percentuale del P.I.L. da destinare all’istruzione e alla ricerca, non se n’è mai sentito parlare. Le Riforme a costo zero non esistono e se addirittura fanno risparmiare quasi otto miliardi di euro vuol dire che sono delle controriforme.

Venezia, 11 dicembre 2008