CONVEGNO “Quale futuro per l’istruzione artistica?” 11/12/2008 Venezia
Gli Istituti d’Arte: Tra storia e realtà locali
Valerio Vivian (Docente di Storia dell’Arte presso l’Istituto Statale d’Arte di Venezia)
Gli ISA stanno vivendo adesso al loro stadio più acuto
una crisi d’identità, che probabilmente è insita nella loro
stessa natura e origine, ma contemporaneamente li rende così unici nel
panorama dell’istruzione europea. Ora si tratta di capire se ci sono la
forza e il desiderio da parte di chi sta vivendo questa crisi di superarla con
uno scatto d’orgoglio e d’immaginazione o invece ci si lascia andare.
Siamo di fronte ad un bivio che forse ci rappresenta. Le proposte del Ministero
spingono in modo manicheo verso due correnti egualmente pericolose. Da una parte,
spazzando via tutte le specificità, riducendo ore e docenti, si vuole
rinchiudere l’istruzione artistica liceale entro confini prevalentemente
teorici facendone una questione di concetto. Dall’altra, insistendo sulla
parcellizzazione delle abilità e l’esercizio pratico con un vistoso
prosciugamento di tutti gli apporti culturali e teorici, si punta a una professionalizzazione
acefala facendone una questione puramente pratica.
Quando nascono gli Istituti Statali d’arte in Italia? Dobbiamo separare
le più svariate origini ed epoche da quello che può dirsi il battesimo
dell’ufficialità istituzionale, una sorta di anno zero tra una
condizione precedente e un percorso successivo divenuto oggi il grave hic et
nunc. Il Regio Decreto n. 3123 del 31/12/1923, legato al nome del filosofo Giovanni
Gentile, dedicato all’Istruzione artistica in genere, all’art. uno
recitava: ”Tutti gli istituti ed Enti che hanno il fine di promuovere
l’arte e l’istruzione Artistica sono posti sotto la vigilanza del
Ministero della Pubblica Istruzione”. Il passaggio di queste scuole dalla
competenza dei Ministeri dell’Economia e dell’Agricoltura, Commercio
e Industria a quello dell’Istruzione pubblica è un chiaro riconoscimento
della loro funzione non solo d’addestramento, ma anche di formazione culturale,
consolidandone lo status giuridico. Mentre il Liceo Artistico nasceva proprio
con quella legge, gli Istituti d’Arte avevano origini più antiche.
Tale circostanza spiega anche l’apparente singolarità nel predisporre
i piani orari e programmatici delle due scuole. Il Liceo è dotato di
precisi programmi ministeriali, vista la necessità di chiarire che scuola
doveva essere, cioè preparatoria per i corsi dell’Accademia di
Belle Arti o l’Istituto di Architettura (non ancora università).
Gli Istituti d’arte, invece, spesso attivi già da decenni, erano
abituati, per prassi, a sottoporre le loro proposte programmatiche direttamente
all’approvazione del ministero per usufruire dei finanziamenti statali,
pertanto godevano di una certa discrezionalità secondo le loro specificità
e potevano beneficiare di indicazioni un po’ meno dettagliate, suddivise
già in quelle che noi potremmo chiamare aree disciplinari.
All’origine degli ISA sta un clima culturale e artistico che potremmo
far risalire emblematicamente a due avvenimenti: la prima Esposizione Universale
tenutasi a Londra nel 1851 all’interno di quella stupefacente cattedrale-serra
in vetro e ghisa che era il Crystal Palace di Paxton e la pubblicazione del
libro di John Ruskin “Le pietre di Venezia” (1852). La mostra londinese
è la prima di una lunga serie di fiere celebrative dei successi e delle
novità tecnologiche dell’industria, vetrina dei più svariati
prodotti compresi quelli artistici e artigianali, che stordivano i milioni di
visitatori con un caleidoscopico, eclettico e sterminato catalogo che andava
dalle reali invenzioni rivoluzionarie alle effimere curiosità etno-esotiche.
Queste esposizioni pongono a confronto arte, artigianato e industria muovendo
una quantità di polemiche sulla loro natura e importanza, ma anche formulando
le prime ipotesi sulle possibili interconnessioni. L’enorme costruzione
del Crystal Palace (m. 124x562), realizzata con elementi modulari prodotti industrialmente,
poi smontata e rimontata in altro luogo, era il simbolo materializzato del rapporto
arte e industria. Il libro di Ruskin, invece, prendeva nettamente posizione
contro la brutale degenerazione delle forme portata dall’industria (come
esempio riprovevole indicava proprio l’Esposizione Universale del 1851),
giudicata negativamente anche sotto il profilo morale. D’altra parte,
osservando in modo analitico e ammirato l’architettura gotica veneziana
nella sua funzionale unità di struttura, stile, decoro, lo scrittore
crea, con nostalgica visionarietà, i presupposti per uno stimolante ponte
tra le metodologie operative delle botteghe medioevali e quelle dell’industria
ottocentesca. L’eredità di Ruskin è raccolta da William
Morris, che in maniera assai più operativa fonda nel 1861 la Morris,
Marshall, Faulkner and Co., una società che produceva e vendeva quadri,
sculture, tappezzerie, stoffe d'arredamento, vetrate, gioielli, maioliche. Attraverso
la ditta e, dal 1888, con le esposizioni delle Arts and Crafts Exhibition Society
("Arti e mestieri") con Mackmurdo, Crane e Ashbee, si era posto l’obiettivo
di riqualificare le arti applicate e rinnovare il gusto, attraverso un’operazione
che spingeva un gruppo di artisti (ex Preraffaelliti) a guidare la produzione
di carte da parati, tappezzerie, tessuti, mobili, illustrazioni del libro, ecc.
recuperando le abilità artigianali, avendo come modello la bottega medioevale.
L’azione del socialista Morris funziona commercialmente, ma solo per le
classi della ricca borghesia e no di certo per il popolo, visti i prezzi dei
prodotti. Più interessante è segnalare come in contemporanea,
fin dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, lo stato inglese aveva posto
mano alla riforma delle accademie e dei centri di formazione professionale.
Invece di riprodurre modelli, gli allievi dovevano ora partecipare in prima
persona alla fase progettuale: l’Inghilterra voleva rafforzare il suo
ruolo guida nel campo dell’arte applicata. E’ l’epoca della
diffusione dell’Art Nouveau in tutta Europa, vi è fermento nel
settore delle arti applicate. A questo punto è necessario volgere lo
sguardo verso l’area tedesca. Intanto bisogna riflettere sulle teorie
di Alois Riegl (“Problemi di Stile”, 1893), fautore della teoria
della pura visibilità, che portò alla rivalutazione dell’industria
artistica tardo-romana e periodi allora disprezzati come il Barocco e le varie
forme di eclettismo; lo studioso era anche un esperto di tappeti e venne nominato
responsabile del Museo Austriaco per l’Arte e l’Industria. Non va
sottovalutata, poi, l’azione innovativa delle varie Secessioni quella
di Monaco, di Vienna e Berlino dalle quali scaturirono anche scuole o laboratori
per l’applicazione degli stilemi secessionisti a oggetti d’arte
applicata. Tra le istituzioni di maggior interesse, frutto di questo clima di
entusiastico rinnovamento, troviamo le Wiener Werkstatte di Hoffmann e Kolo
Moser (avviate nel 1903 e chiuse nel 1932). Sulla scia dell’esperienza
di Morris, la “spia del gusto inglese” Hermann Muthesius, tornato
da Londra, fonda a Monaco nel 1907 il famoso Deutscher Werkbund Associazione
tedesca di architetti, artisti, artigiani, industriali e studiosi, che rivestì
un ruolo di primo piano nel rinnovamento delle arti applicate e dell’architettura
nel periodo tra le due guerre.
All’area tedesca si rifacevano, inevitabilmente, gli artisti dell’ex
Lombardo-Veneto, tanto che gli ammirati arredi degli ambienti austriaci presentati
a Londra nel 1851 erano realizzati in gran parte da artisti e artigiani italiani.
Anche se erano informati su quello che capitava a Parigi, le Accademie di riferimento,
per gli artisti veneti, erano Vienna e Monaco. Tanto è vero che lo statuto
della prima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1895 è
steso su modello di quello della Secessione di Monaco, ma anche le innovative
mostre che iniziarono nel 1908 a Cà Pesaro – Esposizione Permanente
d’Arte e Industrie Veneziane - in esecuzione del testamento della signora
Bevilacqua la Masa, avevano una prevalenza di riferimenti a certo simbolismo
secessionista. Non dimentichiamo, poi, la presenza attiva in città di
un personaggio come Mariano Fortuny con le sue eclettiche invenzioni e le industrie
di tessuti.
Tratteggiato il quadro generale del periodo e indicata la temperie culturale
e artistica, passiamo alla fondazione dell’Istituto d’arte di Venezia
qui preso come esempio per vetustà (quello di Padova fu fondato prima,
nel 1866, ma non ebbe così presto l’imprimatur ministeriale). Il
primo gennaio del 1873 aprono le iscrizioni dell’appena formata “Scuola
veneta d’arte applicata alle industrie”, saranno in 118 a iniziare
i corsi quell’anno. Il Decreto ministeriale arriva nel 1876 (D.R. 5/2/1876,
n.3007, con ben 56 articoli). L’artefice di tale impresa è Guglielmo
Stella nato a Milano nel 1828, figlio di un libraio e editore, fin dall’infanzia
sempre vissuto a Venezia; egli è pittore, disegnatore, illustratore,
ma anche giornalista e polemista, amico di Pietro Selvatico. Stella guida la
scuola con passione e generosità per circa un ventennio fino al 1894,
colto da improvvisa morte, giusto un anno avanti l’inaugurazione della
prima Biennale Internazionale d’Arte di Venezia. Il suo interessamento
per le sorti della scuola è tale, che dal Ministero dell’Agricoltura,
Commercio e Industria arrivano via via crescenti finanziamenti e altre disposizioni
legislative atte a precisarne la struttura, questo anche grazie ai successi
dell’Istituto conseguiti nelle varie mostre internazionali non solo con
lavori ma anche progetti. Si ricordano le onorificenze alla mostra Industriale
di Milano 1881, Anversa 1884, Parigi 1899-1900, Saint-Louis 1904. E’ interessante
ricordare come i disegni, i progetti e la presentazione delle metodologie didattiche
spesso costituirono motivo di elogio alle mostre. L’insistenza su questi
aspetti portò Stella a polemizzare con alcuni industriali (vedi il caso
di Michelangelo Guggenheim famoso industriale del mobile d'arte che aveva istituito
una Scuola veneta d'arte applicata alle industrie, al preciso scopo di "migliorare
in Venezia i prodotti delle industrie cittadine") più tesi alla
precisa riproposizione di modelli tradizionali senza rielaborazione personale
da parte degli allievi. Altri assestamenti legislativi arriveranno, non solo
per il nostro Istituto, nel 1905, 1907 e col D. Luogotenenziale 10/6/1917, n.
1906; è con questi provvedimenti che diventa Regio Istituto Artistico
Industriale di Venezia passando al grado più alto per quel tipo di scuole.
La scuola appare così strutturata: tre anni di Istituto Inferiore, tre
anni di Istituto Superiore e per chi avesse voluto insegnare, altri due anni
di Magistero, le sei sezioni furono riordinate dal nuovo direttore il pittore
Mario Salvini che veniva da Firenze.
Eccoci arrivati nuovamente alla legge Gentile del 1923, leggiamone qualche articolo,
per esempio l’art. 4: ” Le Scuole ed Istituti d'arte hanno il fine
di addestrare al lavoro e alla produzione artistica, a seconda delle tradizioni,
delle industrie e delle materie prime della regione. Le scuole ed istituti d'arte
hanno almeno un'officina. Quando in una Scuola od Istituto d'Arte si insegnino
più di una lavorazione, la Scuola od Istituto è diviso in tante
sezioni quante sono le specie di lavorazione.”. L’art. 5 “…
Il Corso Superiore dell'Istituto d'Arte esercita i giovani, già addestrati
nell'officina al lavoro esecutivo, in lavori originali di arte applicata e li
fornisce della cultura necessaria a formare capi d'arte.” E infine l’art.
10: “Con il concorso degli Enti Locali il Ministro della Pubblica Istruzione
potrà promuovere l'istituzione di Istituti Superiori per le industrie
artistiche col fine di raccogliere ed integrare gli insegnamenti e le esercitazioni
relative alle tecniche delle varie arti, alle nozioni pratiche e teoriche necessarie
per il buon andamento di un'industria, alle cognizioni di cultura generale indispensabili
per assumere funzioni tecniche direttive in un'industria artistica.” Anche
se le indicazioni per le materie e i piani orari sono, diciamo così,
un po’ sfumati, a differenza della precisione di quelli per il Liceo Artistico
- naturale conseguenza di una concezione idealistica ancora di stampo Accademico
che prevedeva una chiara distinzione tra arti maggiori e arti minori, ora più
diplomaticamente definite applicate – vi si può intravvedere un
chiaro progetto e riordino dell’istruzione artistica. Gli Istituti d’Arte,
assieme ai Licei Artistici affiancati alle Accademie delle Belle Arti, le Scuole
di Architettura, i Conservatori di Musica le Scuole di Recitazione e di Danza
trovano tutti una loro uguale dignità mantenendo la specifica identità
all’interno di un importante ramo dell’istruzione, parte di un progetto
più globale. Potrà essere condivisibile o meno l’idea che
guida tali scelte, ma alla fine bisogna riconoscere che il riordino e razionalizzazione
del comparto vedeva un impegno concreto di finanziamento dello Stato, in accordo
con gli enti Locali, soprattutto per gli ISA, il rispetto delle specificità
artistiche caratteristiche di una zona, le diverse sfaccettature della creatività,
dell’inventiva e dell’espressività con i loro sviluppi tecnologici
e produttivi erano tenute entro un unico contenitore. Il Regio Decreto n.1200
del 21/5/1924 completa l’opera della precedente legge facendo una graduatoria
che, date le titolazioni, si potrebbe considerare quasi di merito: gli Istituti
di Arte industriale che sono solo a Firenze, Napoli e Venezia più, con
sezione a parte, il Museo Artistico Industriale di Roma; le Scuole Industriali
che sono 5 (tra queste Padova); una Istruzione artistica: ordinamento, con tante
scuole diverse per un totale complessivo di 53. Si continua a definirle scuole
professionali.
E’ il periodo dell’Art Decò pertanto la dimensione decorativa
e applicativa dell’arte trova un suo gusto e giustificazione addirittura
internazionale. A dire il vero con la Biennale Internazionale di Arti Decorative
di Monza nel 1923 l’Italia gioca quasi d’anticipo su quest’apertura
allo spirito moderno che ormai stava investendo molta produzione artistica toccando
anche Istituti d’arte come ad esempio il nostro. Se poi si fa partire
il fenomeno Art Decò dalla Exposition International des Arts Décoratifs
et Industriels Modernes di Parigi del 1925, è perché il luogo,
le dimensioni e l’ampiezza di mezzi profusi gli daranno una risonanza
internazionale che Monza non poteva avere. Simbolo di quest’epoca può
essere considerato Metropolis, il film di Fritz Lang realizzato nel 1926, per
il contenuto e per le scenografie. A Monza si era aperta nel 1922 la prima Università
delle Arti applicate industriali ISIA, costituendosi come un modello importante,
infatti, dopo la prima Biennale del ’23 ne seguirono altre poi trasformate
in triennale e nel 1933 trasferita definitivamente a Milano. In questo periodo
il clamore delle Avanguardie si era un po’ attenuato, in Italia e non
solo, si parla di Ritorno all’ordine, di un recupero dei valori plastici
(nome anche di una rivista) tradizionali, questo soprattutto nelle arti cosiddette
maggiori, pittura e scultura. E’ interessante notare come invece in tutte
le produzioni di arte applicata e decorativa vi sia la possibilità di
utilizzare molti spunti provenienti sia dal secessionismo viennese sia dallo
stesso futurismo, anzi sono proprio alcuni artisti ad applicare a tessuti, ceramiche,
mosaici, vetri, ecc. stilizzazioni moderniste come ad esempio Fortunato Depero
a Rovereto o Vittorio Zecchin e Galileo Chini a Venezia. Intanto in Germania
era nata la Bauhaus. Nel 1919 a Weimar, Walter Gropius riesce ad ottenere l’incarico
di direttore di una nuova scuola che fondeva la locale Accademia con la scuola
di artigianato artistico abbandonata da Van de Velde a causa della guerra, l’idea
era di un’istituzione in grado di fungere da centro di consulenza artistica
per l’industria, il commercio e l’artigianato. Dopo il periodo felice
di Dessau, dove insegnanti e studenti avevano progettato assieme la loro scuola
con un fervore simile all’età delle cattedrali gotiche, l’esperienza,
intensa ma breve, si concluse a Berlino nel 1933 per ordine di Hitler e la diaspora
degli alunni e degli insegnanti andò a vivificare altre scuole soprattutto
in Inghilterra e negli Stati Uniti. Se poco si seppe da noi dell’esperienza
tedesca, penso che meno ancora arrivasse notizia dell’esperimento russo
del VCHUTEMAS (Atelier tecnico-artistico superiore di Stato) operante a Mosca
tra il 1920 e 1930 con percorsi didattici affini a quelli del Bauhaus. Alla
famosa esposizione internazionale a Parigi, nel padiglione dell’URSS costruito
nel 1925 su progetto dell’architetto Melnikov, alcuni lavori degli studenti
vennero anche premiati. In questo caso fu la politica di Stalin a spazzare questa
scuola.
Nel 1935 (R.D.L. 21/1/35, n.58) vi è una nuova Classificazione dei Regi
Istituti e delle Regie Scuole D’Arte, una vera e propria graduatoria.
Quattro i gruppi per un totale di 57 scuole, Venezia appartiene al primo quello
dei Regi Istituti assieme a Firenze, Lucca, Massa, Modena, Napoli, Palermo,
Parma e Urbino (segnalo per inciso che Modena e Parma erano Accademie con liceo
e annessa sezione di arti decorative “declassate” a Istituti da
questo provvedimento; al 2° Grado appartengono le Regie Scuole Artistico
Industriale che sono 13 (qui compaiono Padova e del Triveneto Cortina, Ortisei,
Selva Val Gardena, Mariano del Friuli); al 3° Grado appartengono le Regie
Scuole d’Arte, di carattere operaio e popolare, sono solo 6; mentre al
4° Grado tutte le altre 22 Scuole non classificate e a contributo fisso
(tra queste compaiono Verona, Nove, Castelmassa e Tolmezzo per rimanere nel
Triveneto). Questa rigida classificazione dal sapore un po’ darwiniano
comunque sistematizzava un precedente stato di fatto che vedeva queste scuole
ben collegate con le specifiche produzioni artistico-industriali delle varie
realtà locali che venivano in tal modo promosse e sostenute. Nel Veneto,
ad esempio, dal 1919 si costituisce come Ente Morale l’Istituto Veneto
per il Lavoro (tuttora esistente all’interno della Confartigianato), fino
agli anni Sessanta tale istituto coordinava la presenza di opere d’arte
applicata alle Biennali di Venezia. Il proliferare di attività espositive
provinciali, regionali e nazionali completava l’intreccio degli sforzi
educativi e produttivi. A quest'epoca risale anche un altro importante intervento,
la Legge 1/6/1939 Tutela delle cose d’interesse artistico e storico (n.1089/1939
e l. n.1497/1939) detta Bottai, prima legge organica di tutela del patrimonio,
dove, per la prima volta, si consultano eminenti studiosi come Roberto Longhi,
ma alla modernità della legge si affianca purtroppo una carenza o assenza
di decreti applicativi. Questa legge resta comunque un intervento basilare fino
all’istituzione del Ministero dei Beni Culturali, arrivata solo nel 1975,
per non parlare del Testo unico sui Beni Culturali, definitivo riordino della
materia approvato solo nel 1999 (D. Leg. n. 490/1999).
Mentre a Vienna nel 1932 venivano chiuse le storiche Wiener Werkstatten, fondate
nel 1903 da Hoffmann, scuole laboratorio dove si producevano famosi oggetti
d’arte applicata, a Venezia, nello stesso anno, Brenno del Giudice progettava
e faceva realizzare per conto della Biennale il grande e scenografico Padiglione
Venezia, riservato nella parte centrale all’esposizione di manufatti d’arte
applicata. In quell’ambiente per molte edizioni dell’importante
manifestazione furono presentati mosaici, vetri, tessuti, legni intagliati,
ceramiche, ecc. del nostro Istituto ma anche di altre scuole venete. L’altro
porto sicuro dove il regime incanalava la rappresentatività delle produzioni
di arti indistriali erano le Triennali, dal 1933 passate a Milano. L’ISA
di Venezia allora era molto attivo tanto che ricevette medaglie alle mostre
di Monza del 1925 e del '27 e alle Triennali milanesi del 1933 e ’36.
In questo periodo nasce anche la Sezione di Scenografia. Il 9 novembre 1938
l’allora Presidente dell’ISA Paolo Venini (artista, designer e industriale
del vetro) e il Soprintendente dell’Ente Autonomo del Teatro “La
Fenice” Goffredo Petrassi (noto come musicista e docente di composizione),
sottoscrissero una Convenzione fra il Comune di Venezia e l’Istituto d’Arte
per l’istituzione di una Scuola di Scenografia, ovviamente con il beneplacito
del Ministero dell’Istruzione. Il famoso storico dell’arte Giulio
Lorenzetti (conosciuto soprattutto per la Guida di Venezia), docente in questa
scuola ed estensore dell’unica Storia dell’Istituto Statale d’Arte
di Venezia pubblicato nel 1943, curiosamente non fa menzione di un altro personaggio
da considerarsi, invece, emblematico: il pittore, incisore esperto di vetri
Guido Balsamo Stella che fu attivo nel nostro istituto dal 1936 al 1941. Guido
Balsamo Stella (Torino, 1882 – Asolo, 1941) è stato un pittore
e incisore italiano. Nato a Torino, è a Venezia già dal 1896,
dove ottiene uno studio a Ca' Pesaro. Dal 1909 Frequenta l'accademia di Belle
Arti di Monaco ed espone alle mostre della Secessione interessandosi agli ex-libris.
Partecipò a molte Biennali sia di Venezia sia di Monza e Milano. Al suo
rientro in Italia, si fa tramite di un rinnovamento del gusto nell'artigianato
vetrario di Murano. Va dapprima a Firenze, dove dal 1922 insegna presso il Regio
Istituto d’Arte di S.Croce; crea, poi, un laboratorio vetrario a Colle
Val d’Elsa. E’ in seguito direttore della Scuola Statale d'Arte
del Legno di Ortisei in Val Gardena (1924-1927) da dove viene allontanato su
richiesta dei produttori di arte sacra che lo considerano troppo innovativo.
Insegna all'Istituto Statale d'Arte "Pietro Selvatico" di Padova (1927-1929).
Nel 1929 è invitato a Monza a dirigerne il prestigioso ISIA (Istituto
Superiore per le Industrie Artistiche), chiamandovi come docenti noti artisti
e vi rimarrà fino al 1932. La sua direzione determina la speciale impronta
di questo Istituto del tutto innovativo per l’Italia dell’epoca
sia per l’aspetto intellettuale aperto e creativo, sia per la qualità
dei docenti che volle scegliere singolarmente. Seppe rinnovare la decorazione
con motivi moderni, nei vetri, nei mobili, nell’incisione e in altri prodotti.
Nel periodo tra le due guerre si registra la frequente presenza alle Biennali
veneziane di molti insegnanti dell’ISA in qualità di artisti (Da
Venezia, Disertori, Sibellato, Bressanin, Wenter Marini, e molti altri), ma
anche di svariati prodotti atistico-artigianali della scuola come vetri, mosaici,
oreficerie, legni, tessuti, ecc.
Ritorniamo all’aspetto normativo, superata la seconda guerra mondiale,
arriviamo ai primi anni Cinquanta con una situazione pressoché inalterata.
In un Documento sulla Pubblica Istruzione “L’Ordinamento del Ministero
della Pubblica Istruzione”, non datato ma presumibilmente del 1952 o ’53,
si trova un elenco di scuole d’arte divise in due soli gruppi: gli Istituti
d’Arte che sono 17, quello di Venezia è l’unico del Triveneto,
poi vi sono le Scuole d’Arte nel numero di 43, di queste 9 sono dislocate
nel Triveneto. A distanza di vent’anni, a parte le graduatorie, il numero
degli Istituti è rimasto sostanzialmente invariato, a leggere le carte
ufficiali. L’avvio della Scuola Media statale nel 1962 (L. 31/12/62, n.1859)
comporta solo il ritocco riguardante i corsi inferiori, mentre con legge 29/3/1965,
n.336 avviene il passaggio di tutte le Scuole d’arte a Istituti chiudendo
definitivamente la stagione dei gruppi e delle diversificazioni. L’intervento
di maggior rilievo che secondo me stabilisce un nuovo punto fermo nell’evoluzione
degli ISA è l’estensione agli Istituti d’Arte della legge
27/10/1969, n.754 concernente l’avvio del Biennio Sperimentale (L. 14/9/1970,
n.692) che attraverso il conseguimento della Maturità d’Arte Applicata
permetterà l’iscrizione alle più diverse facoltà
universitarie. Il Biennio Sperimentale, che così ancora si chiama dopo
38 anni, aveva per la prima volta programmi ministeriali dettagliati e spingeva
sulla preparazione teorica sforbiciando leggermente quella pratica. Così
tale intervento chiuse col biennio del Magistero e lasciò il posto al
Perfezionamento che rilasciava un semplice attestato, percorso che la maggioranza
degli Istituti hanno lasciato cadere.
Nel secondo dopoguerra le metodologie di studio hanno, seppur parzialmente e
in maniera poco omogenea, accolto le grandi esperienze europee del Bauhaus e,
almeno conosciuta la famosa Scuola HFG di ULM (1955-68). Nel nostro Istituto
ad esempio tra la fine degli anni Sessanta e i primi del Settanta insegnanti
artisti come Mirco Casaril e soprattutto Franco Costalonga, impegnati sul fronte
dell’Arte Cinetica e Programmata, hanno cominciato ad applicare anche
a scuola metodologie innovative dove l’aspetto progettuale, come nelle
scuole di Design, diventa fondamentale. E’ l’epoca di un nuovo fermento
creativo sostenuto dal Preside dell’epoca, scultore e orafo, Giulio Viscione,
tra i vari personaggi che vennero a tenere degli incontri si ricorda Bruno Munari.
La storia dei rapporti con le realtà locali si fa sempre più frammentaria
e pur persistendo rapporti e relazioni con enti e attività produttive
(Comune, Provincia, Poste, Associazioni, ditte di Arredamento, tessuti, vetro
ecc.), molte delle nostre scuole faticano molto a tenere il passo con la realtà
esterna. Gli anni Ottanta e Novanta sono ormai storia recente. La tecnologia
e l’informatica hanno profondamente mutato la situazione, le metodologie
e gli obiettivi che erano stati il punto di riferimento di queste scuole, la
produzione industriale di oggi si è allontanata ancor più dall’artigianato
così l’aspetto progettuale diventa preponderante mentre il momento
realizzativo si allontana sempre più.
Seguirà un fervore sperimentale, nel 1988 si lancia il Progetto Leonardo
per i Licei Artistici, nel 1993 ecco apparire il Progetto assistito Michelangelo
che può essere adottato anche dagli ISA e dal 1997, si apre all’Autonomia
Scolastica. Il resto è storia di questi giorni. A guardarli ora gli ISA
sono un mosaico di soluzioni diverse, all’ordinamentale s’intrecciano
una miriade di sperimentazioni e soluzioni specifiche secondo le realtà
locali. Dopo cinquant’anni gli ISA sono triplicati arrivando al numero
di 187 circa che uniti ai LAS 137 diventano 324 scuole d’istruzione artistica
superiore in Italia. Nel Veneto ci sono 10 ISA e 9 LAS tutti statali e molti
col serale, nel Friuli 4 ISA e nessun LAS come nel Trentino che ha solo 5 ISA.
NOTA SUGLI ISTITUTI DI ISTRUZIONE ARTISTICA IN ITALIA
Si premette che tutte le sezioni del serale sono ufficialmente
conteggiate come fosse un altro Istituto, nel computo qui riferito si è
cercato di isolare le singole scuole, qualora fossero aggiunti i corsi serali,
il numero aumenterebbe.
Nel Veneto ci sono 10 ISA e 9 LAS tutti statali e molti col serale, nel Friuli
4 ISA e nessun LAS come nel Trentino che ha solo 5 ISA.
Il numero degli ISA in Italia oggi è di circa 187 mentre i LAS sono 137
per un totale di 324 istituti di istruzione artistica. Mediamente in ogni regione
ci sono più ISA che LAS salvo in 4 casi Lombardia (14 – 38), Piemonte
(6 – 16), Molise (1-2) e Basilicata (2-3). Particolare la situazione della
Sicilia che conta ben 25 ISA forse segno di una frantumazione delle esperienze
locali; complessivamente 37 istituzioni artistiche dunque la regione che per
numero segue la Lombardia e stacca tutte le altre regioni. La constatazione
numerica per la Lombardia e il Piemonte (l’altra regione dove gli istituti
sono quasi pari (10-9) è il Veneto) fa riflettere sulla loro storia dell’istruzione
artistica, forse le tradizioni artistiche locali e la spinta all’applicazione
industriale delle forme artistiche sono stati da subito accolti anche dai Licei
e dalle accademie che predisposero corsi e percorsi appositi al loro interno.
Infatti, nelle disposizioni legislative soprattutto del XX secolo l’elenco
degli istituti d’arte vede un numero minore in queste regioni, ma spesso
si trattava di scuole di notevole prestigio, tanto che in alcuni casi si trattava
di Accademie e Licei declassati a istituti d’arte.