STORIA
A scuola nel Ventennio tra direttori
caporali e maestri marmittoni
LIBRI: G. GABRIELLI, D. MONTINO, LA SCUOLA FASCISTA, CESP- OMBRE
CORTE, PP. 200, EURO 18
Il revisionismo va di moda, complice una cultura laica e illuminista che sembra
aver abbandonato il campo, più attenta a gestire quel po' di potere accademico
che si muove nelle università che a confermare una leadership che per
definizione dovrebbe appartenerle. Nella confusione ideologica dove qualunque
affermazione vive il suo momento elevato al rango di teoria è facile
giocare al revisionismo: basta rovesciare. Gianni Rodari con le favole al rovescio
faceva divertire: Biancaneve bastona sulla testa/ i nani della foresta,/la Bella
addormentata non si addormenta,/ il Principe sposa la brutta sorellastra,/ la
matrigna tutta contenta,/ e la povera Cenerentola,/ resta zitella e fa/ la guardia
alla pentola. Ma se il gioco favolistico invita al sorriso intelligente, l'esercizio
politico costringe al pianto una storia stupidamente violentata. La patente
ignoranza non frena chi dà aria a tutte le ubbie e può, nella
cacofonia generale, gridare che Garibaldi era un losco avventuriero, Pio IX
un santo e l'unità italiana una iattura. Solo Hitler, poveretto, rischia
di non essere revisionato: non è che non ci abbiano provato, ma a farlo
passare per uomo mite e per pittore ispirato proprio non si riesce. Il revisionismo
deve ancora esercitarsi.
Qualche risultato lo ha portato a casa: il fascismo oggi «sdoganato»
è al governo dopo sessant'anni di astinenza. Di fronte alle documentate
ricerche storiche che andavano a scavare negli archivi i nostalgici avevano
un po' di pudore e si fermavano alle benemerenze della bonifica; oggi il revisionismo
fascista ha salvato quasi tutto; unico neo del Regime le leggi razziali e al
più qualche sprovvedutezza nel fidarsi troppo di certe amicizie... Della
scuola poi non parliamo. Una riforma Gentile di quelle serie che piacciono ai
benpensanti, tenuta a battesimo da numi prestigiosi, come Giuseppe Lombardo
Radice che ci mise anni ad accorgersi che l'obbligo del saluto alla bandiera,
quello a palmo aperto dei servi, e il moschetto imbracciato da ridicoli scolari
in brache di orbace, avevano poco a che fare con «la schietta poesia,
la ingenua ricerca del vero, l'agile indagare dello spirito popolare»
dei Programmi del '23. Una scuola nella quale gli insegnanti potevano festosamente
inneggiare alle funeree ricorrenze di un fascismo mortuario dove caporali-direttori
vegliavano sui loro maestri-marmittoni: tutti iscritti ai Balilla? appuntate
le date fasciste sui registri di classe a cominciare dal natale di Roma? Certo
c'era quel neo degli alunni ebrei cacciati ma non è che gli italiani
si scaldassero poi molto per loro, lo sapeva bene anche il Papa...
Ricostruzioni vergognose, possibili oggi per quell'epocale tradimento degli
intellettuali che, loro sì, hanno saputo interpretare la gloriosa tradizione
italica di schierarsi col vincitore di turno. Ben vengano libri come La scuola
fascista, istituzioni, parole d'ordine e luoghi dell'immaginario di Gabrielli
e Montino che con serietà di storici hanno messo assieme un convincente
lemmario di quello che l'indagine si è incaricata di confermare: che
il fascismo era una dittatura e che la scuola era un settore funzionale al disegno
autoritario, classista, razzista di un regime dittatoriale. Con buona pace di
chi con tortuosi distinguo le accredita una certa neutralità nel Ventennio,
tesi che, come scrivono gli autori, «non regge al confronto con l'analisi
dettagliata di quella che si può giustamente definire la cultura materiale
della scuola».
Ecco: non regge. «...gli oggetti del fare scuola, i libri e i quaderni,
i cartelloni e i poster murali, le pagelle, gli strumenti didattici ma anche
gli spazi fisici (interni ed esterni) in cui si svolge l'insegnamento, così
come la scrittura maturata a scuola che è il segno che resta delle relazioni
di cui è composta la vita scolastica... tutti questi oggetti sono fonti
che restituiscono un'immagine ben differente della scuola di regime. Ci parlano
dell'assiduità e della ridondanza con cui il fascismo intendeva veicolare
i propri valori e la propria ideologia, ci mostrano una scuola in cui ogni spazio
disponibile veniva occupato dalla retorica di quell'Italia nuova che si voleva
costruire, anche a partire dalle aule e soprattutto dai bambini».
La scelta dei lemmi contenuti nel libro copre la vita scolastica del Ventennio
e lascia agli autori, come hanno promesso e speriamo, la possibilità
di tirar fuori altro materiale. Sapere che un gruppo di studiosi ha lavorato
trovando nel Cesp una casa editrice nata per iniziativa di lavoratori della
scuola, è motivo di fiducia soprattutto se tale attività potrà
contare su ricercatori di vaglia come il gruppo guidato da Davide Montino e
Gianluca Gabrielli, che è doveroso nominare: Adriano Andri, Silvia Bordoni,
Francesca Cesari, G. Giuseppe Contessa, Alberto Gagliardo, Monica Galfrè,
Giulio Mellinato, Matteo Pretelli, Rossella Ropa, Fabio Targhetta.
Tornare ai documenti: è una buona ricetta anche per la Sinistra.