Perché una raccolta firme
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Il 17 settembre nel centro di Kabul è stata provocata un’esplosione e sono rimasti uccisi sei soldati italiani e venti civili afghani.
In quest’occasione Mariastella Gelmini ha inviato una circolare a tutte le scuole comunicando la giornata di lutto nazionale deliberata dal Consiglio dei Ministri. La nota ministeriale, intitolata “Commemorazione dei sei soldati italiani morti a Kabul”, non si limitava però alla doverosa informazione; ad essa era aggiunto un “invito” rivolto ai dirigenti a “promuovere nelle scuole occasioni di riflessione e di solidale partecipazione, osservando alle ore 12,00 di lunedì p.v., in concomitanza con i funerali solenni, un minuto di silenzio”.
Un invito strano, contraddittorio, poiché un conto è riflettere e un altro è partecipare ad un rito civile attraverso un minuto di silenzio. Evidentemente si tratta di due pratiche diverse.
La prima, quella della riflessione, nella scuola pubblica del XXI secolo presuppone un dibattito approfondito che tenga conto della libertà di pensiero di tutti i soggetti coinvolti nella riflessione e del loro grado di maturazione psicologica e intellettuale; inoltre non può prescindere della complessità della situazione internazionale in cui è maturato l’evento che ha coinvolto i 6 militari e i 20 civili, che non a caso ha prodotto negli ultimi anni una bibliografia vasta e differenziata.
La seconda pratica, quella del minuto di silenzio, evidentemente fa parte di quei riti di “religione civile della politica” che costituiscono una delle principali forme della metamorfosi del sacro nel mondo contemporaneo. Il mondo moderno mentre si secolarizzava ha visto prodursi nella politica una propria autonoma dimensione religiosa, costituita di riti e miti funzionali a mantenere un controllo sulla società. Anche questo aspetto è ben studiato in corposi volumi e trova numerose esemplificazioni nel recente passato anche nazionale.
Come si possano combinare questi due aspetti è difficile comprenderlo: o si rinuncia al libero esame per aderire al rito, oppure si discute, si dibatte e si esercita la ragione storica, politica, antropologica per provare ad afferrare la complessità del reale. Metterli insieme, quasi che il silenzio del funerale solenne aiuti a comprendere l’evento, rimanda forse ad un’idea mistica di ragione; oppure, più semplicemente, al bisogno della sfera politica di utilizzare la scuola come veicolo per un rito di adesione comunitaria alla nazione.

In realtà, quando è uscito il testo della circolare, la formula dell’ “invito” sembrava perlomeno limitare la volontà di intervento del Ministero. Gli “inviti” si possono accettare oppure declinare. La scelta tra silenzio e riflessione ha fatto propendere molte scuole per la seconda e in questo modo si sono aperti percorsi di confronto e approfondimento che durano ad oggi e che sono una prova di grande rispetto per tutte le vittime, italiane e afghane, di quel luogo di guerra. Tante altre scuole dell’infanzia ed elementari hanno comprensibilmente ritenuto di non aprire neppure l’argomento, facendo già altri interventi di educazione alla pace calibrati sulle sensibilità e sull’età dei bambini e della bambine. Da nessuna parte, a quello che so, si è neppure lontanamente pensato che questo invito fosse in realtà un ordine, che l’ordine fosse esteso ai docenti e addirittura agli studenti di qualunque età. Infine, in molte scuole la circolare non è neppure arrivata in tempo, vanificata dall’ inadeguatezza dell’amministrazione.

Eppure, alcuni giorni dopo, abbiamo saputo che la macchina delle sanzioni disciplinari del ministero si era messa in moto. Ad oggi, in tutta Italia, sono due le dirigenti per cui sono scattate le contestazioni d’addebito. Entrambe romane, tutte e due hanno sempre mantenuto un’alta qualità professionale negli istituti in cui lavorano. Ciò di cui sono imputate è non aver obbligato docenti e discenti al minuto di silenzio. Non era un obbligo, ma il non averlo considerato tale è motivo di sanzione. Dobbiamo dedurne che gli inviti che ci giungono dall’alto devono essere considerati ordini?
E perché proprio loro? Qui è difficile dimenticare che entrambe hanno sempre dichiarato le loro critiche ai progetti di riforma che attualmente stanno devastando la scuola italiana. Come si fa a non pensare che il ministero voglia punire chi ha esercitato il diritto di critica?

Per questo vi invitiamo a raccogliere le firme su questo appello, in difesa delle due dirigenti, ma anche in difesa di una scuola della libertà di pensiero, della libertà di critica, dell’indipendenza dalla sfera politica.

Gianluca Gabrielli