Ancora sull'Invalsi, di Renata Puleo
Roma, 7 maggio 2010
Ieri si è svolta nelle scuole italiane la prima tornata
delle prove Invalsi. L’operazione valutativa ha preso rilievo mediatico,
non a caso, in un momento molto difficile per la scuola italiana che si trova
a sopportare uno dei più feroci tagli agli organici degli ultimi dieci
anni (parola di un funzionario del CSA di Roma, durante una conversazione privata)
e un ridimensionamento altrettanto feroce delle risorse finanziarie. Quindi,
provo a tornare sul tema con qualche commento. Intanto la situazione, ieri,
dal mio osservatorio: insegnanti che si sono rifiutati di somministrare i test,
collegi che hanno rivendicato le prerogative esclusive sulla valutazione, docenti
che hanno boicottato l’oggettività presunta aiutando i bambini,
genitori che hanno diffidato i dirigenti ad avviare e sostenere la procedura,
genitori che hanno tenuto i figli a casa. Disagio diffuso e risposte, in alcuni
casi, discutibili. Comunque, disagio.
Il problema che mi pare non sia chiaro nemmeno a livello sindacale (fra la tardiva
mossa dei Cobas a sostegno degli inadempienti e la consueta prudenza della CGIL)
riguarda il diritto, La somministrazione, come sostiene il Ministero, è
obbligatoria? C’è confusione fra gli obblighi istituzionali dell’INVALSI
e i comportamenti a cui sono tenuti dirigenti e docenti? I Cobas ritengono che
la risposta stia nel testo che regola l’autonomia (all’art 7 comma
2) e nel decreto che fissa le competenze dei collegi docenti. Di qui, un’altra
domanda: quale corpo dispositivo di vario genere si è frapposto nel lasso
di tempo trascorso fra le norme citate e le grida ministeriali sulla obbligatorietà?
Considerato che siamo nel classico ambito del diritto che vede la legge generale
applicata al caso, c’è una voce giuridicamente autorevole che sciolga
il nodo? Le minacce sul piano disciplinare ventilate dal Ministero, sono conseguenti
in termini di legge?
Tali minacce sono corroborate a monte dal testo tecnico dei consulenti dell’INVALSI
Ichino, Checchi, Vittadini che, come già è stato ricordato, prospetta
l’utilizzo delle prove anche per valutare docenti e dirigenti (attenti
colleghi!); a valle, esse sono un prodotto derivato della circolare dell’Ispettore
Ministeriale Dutto che invita e obbliga alla collaborazione (sic!) i docenti.
Ma come suggerisco più su, a generare confusione e preoccupazione nelle
scuole e fra le famiglie, è anche l’ambiguità delle stesse
organizzazioni sindacali, professionali, di categoria,. Tutti si sbracciano
a dire che la valutazione è importante, che va fatta, che è una
strategia molto europea quella che prevede la valutazione di sistema, e via
di questo passo. Non ci casca solo Stella quando dà dei pavidi e degli
ignavi ai docenti, ma la maggior parte dei commentatori, più o meno autorevoli.
Ma quel che io vorrei mettere sul tavolo politico e professionale non è
il merito (l’ampia, complessa, difficile, necessaria, pratica quotidiana
di qualsiasi docente che valuta gli apprendimenti, oppure, per il sistema-scuola,
quella che ne misura l’efficacia), ma la forma, la modalità con
cui si effettua questa operazione. Non interessa che piaccia o no, che stia
negli standard europei, che i quesiti siano ben tarati: se tutta l’operazione
non è obbligatoria è possibile – nel senso di legittimo
- sottrarsi. Sarà poi compito di un istituto di valutazione serio e di
una amministrazione oculata ed equa, indagarne i motivi, scovandovi elementi
interessanti, costruendo su questi delle alternative. In margine segnalo: se
i bambini sosterranno le prove come da manuale (esiste davvero, e la sua lettura
è istruttiva) molti di loro cadranno nella sindrome emotiva degli esami;
se verranno aiutati, non sarà oggettivo il risultato. E se gli insegnanti
correggessero male le prove? In tutti i casi la performance sarà distorta.
Ma forse per i soloni dell’Invalsi anche questa è una ingenuità:
tutto è stato previsto nella logica della misurazione efficace!
Chiudo tornando alle questioni sindacali. Non si poteva fare di quel diffuso
disagio - sconfinante nella rabbia impotente - che attraversa la scuola italiana
in questa vicenda, soprattutto nella fascia dell’obbligo, un pretesto
di lotta? Ben consapevoli che non si metteva in campo una sterile questione
“valutare si valutare no”, ma l’opportunità di chiedere
a docenti, personale amministrativo, dirigenti, un nuovo onere in un momento
contrassegnato da lacrime e sangue, in cui pesa come un macigno una manovra
chiaramente distruttiva di un settore pubblico, nevralgico. Nessuno farebbe
un check-up ad un morente o ad un uomo nel braccio della morte. A meno che non
si volesse, da parte del medico o del giudice, giustificare le cure sbagliate
o il diritto a decretare la morte.
Renata PULEO, dirigente scolastica del Primo
Circolo Didattico di Roma Pietro Maffi