Cultura militare

di Alberto Gagliardo

da La scuola fascista. Istituzioni, parole d'ordine e luoghi dell'immaginario, a cura di G. Gabrielli e D. Montino, Cesp - Centro Studi per la scuola Pubblica, Ombre corte, Verona, 2009.


Nel percorso di irregimentazione della scuola italiana durante il ventennio fascista un ruolo specifico riveste la militarizzazione dell’intera istituzione, che percorse strade a volte più nascoste altre volte più esplicite (saluto romano, picchetti d’onore, saluto alla bandiera, cerimonie in memoria di eroi nazionali, commemorazioni di Vittorio Veneto, fondazione dei fasci, marcia su Roma, parate, consegne di premi, ecc.).
A esserne investita per prima fu la scuola elementare, giacché sin dall’autunno del 1928, quando fu istituita la commissione per elaborare le direttive per la compilazione del libro di testo unico, Galeazzo Ciano e Italo Balbo ebbero l’incarico di occuparsi degli indispensabili contenuti militari del libro; ma ben presto argomenti e temi militari cominciarono a penetrare anche negli altri ordini dell’istruzione, tanto che già dal settembre del 1934 era stata creata la carica di ispettore capo per la preparazione premilitare e postmilitare della nazione (R.D.L. 20.09. 1934 n. 1862), e quello stesso anno vide i primi accordi tra Guf (Gruppi Universitari Fascisti) e Milizia, che andavano gettando le basi di un addestramento militare nell’istruzione media e secondaria.
Il 29 ottobre 1934, con la circolare n. 52 dal titolo Preparazione militare della Nazione, il ministro dell’istruzione Francesco Ercole (20 luglio 1932 – 21 gennaio 1935) affermò che «la scuola, la base più salda e la collaboratrice più efficace del regime, è chiamata dal Duce ad assolvere un nuovo, importantissimo e delicatissimo compito. In conformità delle nuove concezioni Mussoliniane della Nazione militare, basate sul principio che le funzioni di cittadino e di soldato sono inscindibili nello Stato fascista, ed in base alle nuove disposizioni sull’istruzione premilitare, resa obbligatoria per i cittadini dagli otto ai ventuno anni d’età, e sull’insegnamento della cultura militare introdotto nelle Scuole medie e superiori, la formula fascista, profondamente significativa “LIBRO E MOSCHETTO” trova nella Scuola italiana, dalla elementare alla universitaria, la sua piena e pratica applicazione» («Bollettino ufficiale» del Ministero dell’educazione nazionale, Roma, Libreria dello Stato, 1934, p. 2450).
La legge istitutiva, però, è la n. 2150 del 27 dicembre 1934 (Norme sull’istruzione pre-militare), cui fece seguito il 31 dicembre 1934 il decreto dell’Educazione nazionale n. 2152 Istituzione di corsi di cultura militare nelle Scuole medie superiori del Regno, che faceva dell’istruzione premilitare, praticata già in seno alle organizzazioni giovanili, uno dei compiti centrali del sistema dell’istruzione pubblica. Esso dichiarava l’istruzione militare, impartita sia nell’esercito che al di fuori di esso, elemento integrante dell’educazione nazionale, fissando gli obblighi militari dai 18 ai 55 anni. La legge prevedeva tre livelli di formazione, che comprendevano in totale un periodo di cinque anni con 20 ore di insegnamento annuali. Il primo grado, che iniziava nella terza classe della scuola media inferiore e durava un anno, doveva trasmettere agli alunni conoscenze sulla costituzione e le funzioni delle forze armate, sulla valutazione del terreno dal punto di vista militare e sulla cartografia, familiarizzandoli con gli eventi più importanti della prima guerra mondiale. La seconda fase durava due anni e iniziava per il liceo classico e per il corso superiore del conservatorio in prima classe; per tutte le altre scuole secondarie di secondo grado in seconda. Nel corso del primo anno le conoscenze teoriche venivano approfondite e ampliate con un esame comparativo delle Forze armate dei principali Stati moderni. Nel secondo anno si dovevano fornire nozioni elementari sulle armi e sul tiro, esporre i caratteri geografici e militari dei confini terrestri e marittimi dell’Italia, illustrare a grandi linee la funzione decisiva dell’Italia nel conflitto mondiale 1914-1918. Nel terzo ciclo, anch’esso biennale, gli studenti universitari dovevano trattare il problema della preparazione militare di uno Stato moderno, trovando una risposta alla questione: come si inizia, si svolge, e si risolve la guerra di oggi. Soltanto gli studenti medi e universitari in possesso di un attestato di partecipazione ai corsi, tenuti da ufficiali in servizio attivo o della riserva, potevano essere promossi o, rispettivamente, ammessi agli esami di diploma o di laurea.
Per le ragazze, che erano naturalmente escluse dall’ambito di interesse della nuova disciplina, c’erano delle alternative rispondenti alla concezione che il regime aveva del ruolo della donna nella società, quali ad esempio Lavori familiari o Puericultura.
Così l’anno scolastico 1934-35 fu quello che vide l’introduzione nel curricolo della nuova disciplina, per la quale si dovettero approntare in tutta fretta anche i libri di testo. Nella prefazione (di A[lberto] B[aldini] del 10 dicembre 1934) di uno dei primi libri di testo di questa disciplina, Elementi di cultura militare [per il cittadino italiano], edito dalla rivista «Nazione militare» già «Esercito e nazione» nel 1935, tra l’altro si dice: «Apprestate in poche settimane, le pagine che seguono si presentano - cronologicamente - come la prima manifestazione pratica del Comandamento del Duce di iniziare, senza indugio, nel campo culturale la marcia verso la formazione di una coscienza militare del Paese».
All’inizio del 1935, cioè ad anno scolastico già avviato da mesi, vi furono le solenni inaugurazioni dei Corsi di Cultura Militare nelle Scuole Medie, alla presenza delle autorità civili, politiche e militari, dei capi d’Istituto e delle scolaresche. In aule magne o in palestre adorne di tricolori, sotto lo sguardo dei due grandi ritratti del re e del duce, i presidi officiarono la liturgia presentando il nuovo insegnante della nuova disciplina, proveniente dai ranghi dell’esercito, prescelto dalle superiori Autorità militari e scolastiche per tali corsi. Ma leggiamone una cronaca giornalistica dell’epoca, proveniente dalla provincia del duce, in cui il capo d’istituto esordisce: «dicendosi lieto che un eletto rappresentante di quelle meravigliose forze armate che portarono l’Italia alla gloria di Vittorio Veneto entri a far parte di questa famiglia scolastica. Dopo d’aver porto anche a nome dei colleghi un cordiale saluto al nuovo insegnante, esprimendo la certezza che sotto la sua direzione il Corso di Coltura Militare darà copiosi frutti, raggiungendo pienamente gli alti fini per i quali esso fu istituito, il Capo dell’Istituto ha spiegato il grande significato del prezioso dono che il genio di Mussolini volle fare alla scuola italiana, la quale saprà senza dubbio corrispondere alla fiducia del DUCE. Il Comandante del Presidio […], ha illustrato quindi la figura dell’insegnante di materie militari ed ha espresso l’augurio che metodo, fede e valore d’insegnante e di allievi accenderanno ben presto il fuoco della passione alle discipline militari nei giovani. Poscia il magg. […] ha pronunciato la sua prolusione al Corso. Ha messo in rilievo con una chiara e magnifica sintesi i rapporti esistenti tra istituzioni militari e istituzioni civili, dopo d’aver rivolto un deferente saluto e un ringraziamento alle autorità che hanno voluto onorare di loro presenza la cerimonia, e un affettuoso e fraterno saluto ai giovani intervenuti. Ha tratteggiato i caratteri dell’organizzazione militare nei diversi periodi storici, con particolare riferimento al periodo romano, repubblicano ed imperiale. Ha detto della necessità di essere preparati sia moralmente che materialmente alla guerra, fenomeno questo ineluttabile, che talvolta supera la volontà degli uomini, e della utilità della preparazione militare delle giovani generazioni voluta dal Regime Fascista e dal suo grande Capo. Il magg[iore …] ha posto termine alle sue ispirate parole ricordando il sacrificio degli eroi che immolarono se stessi per riscattare l’Italia agli italiani e la vittoria all’Italia invitando i convenuti ad elevare il pensiero alla Maestà del Re e al DUCE. Viva il RE e A Noi! hanno echeggiato altissimi e solenni con aria di entusiasmo all’indirizzo dei massimi Artefici della Patria Fascista» («Il Popolo di Romagna», 16 gennaio 1935, A. XIII, p. 9).
La pompa magna con la quale questo nuovo capitolo della scuola fascista veniva aperto è esemplare di quanto stava avvenendo nella scuola e nella società italiane: l’annullamento della separazione tra vita civile e vita militare, oltre a denunciare l’aria di caserma che sempre più si andava respirando all’interno dell’istituzione scolastica, preannunciava quell’impegno militare crescente nella vita nazionale, che lutti immensi avrebbe portato al paese e al mondo. Posto di fronte alla crisi economica mondiale, Mussolini reagiva militarizzando ulteriormente la società per controllarla meglio, tenerla unita e prepararla alla guerra con la quale il suo regime imperialista tentò di gestire le proprie difficoltà.
Negli anni successivi, dal 21 gennaio 1935 al 15 novembre 1936, quando la Minerva fu retta dal rude quadrunviro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, si accentuò tale processo di svolta autoritaria degli Anni Trenta Il nuovo ministro, imprimendo alla gestione della scuola il suo piglio caporalesco, diede il suo personale contributo alla militarizzazione crescente attraverso l’istituzione del “sabato fascista” (RDL n. 1010 del 20 giugno 1935), che, liberando tutti dagli impegni lavorativi pomeridiani, destinava quel giorno alla preparazione politica e militare della nazione.
Sono gli anni dell’avventura imperialista in Africa orientale, per cui si insiste che l’insegnamento delle varie discipline, e in particolare quello della Storia, sia ispirato al nuovo clima imperiale e fascista e serva a porre in rilievo «l’iniziativa e la nobiltà del popolo italiano nel corso dei secoli, l’originalità del suo rinascimento e la grandezza della nuova civiltà Fascista».
Ma sono anche gli anni in cui i temi del razzismo cominciano a diffondersi, già prima dell’entrata in vigore di un compiuta legislazione, e in tale contesto matura la pubblicazione del libro di Stato per la Cultura militare.
Particolarmente efficaci per tratteggiare il nuovo clima, sembrano le parole di questo verbale di un collegio docenti d’epoca: «Oggi, 22 novembre 1938 XVII, si riuniscono i professori di questo liceo. Il Signor Preside […] indica gli scopi di questa adunanza determinata dal fine di provocare una intesa nel campo pratico e didattico ed una sempre più grande collaborazione fra i vari insegnamenti particolarmente per ciò che concerne i punti di interferenza delle diverse discipline: tutto per raggiungere quell’intima unità ed armonia delle varie parti del sapere che – come secondo il più profondo spirito informatore delle disposizioni vigenti – è condizione imprescindibile da cui dipende la formazione spirituale dei giovani per la realizzazione di quell’ideale totalitario della vita e della cultura che è insieme l’ideale politico del Fascismo.». Tra le “interferenze” più significative sono individuate quelle tra cultura militare e storia, cultura militare e fisica, cultura militare e scienze naturali. E per questa strada tutta la nostra scuola si avviava a passo di marcia verso il decennio successivo, quello della guerra e della nuova carneficina mondiale.
Ma, come in molte manifestazioni del regime, anche in questa della militarizzazione degli insegnamenti non mancava una buona dose di velleitarismo, se già nel settembre 1935 De Vecchi, constatato che la nuova disciplina non aveva dato i risultati che se ne attendevano, presentò al Consiglio dei Ministri una proposta di emendamento alla legge per l’insegnamento della cultura militare entrata in vigore solo nel gennaio precedente. Il conseguente decreto legge n. 1990, varato il 17 ottobre dello stesso anno, elevava la cultura militare al rango di regolare materia d’insegnamento e di esame, equiparando gli ufficiali responsabili dell’istruzione ai membri del corpo insegnante. Le lezioni, ora accresciute a 30 ore annuali, potevano essere impartite in linea di principio in tutte le classi della scuola secondaria. Il ministro aveva la facoltà di fissare con un’ordinanza, per ogni singolo istituto, in quale classe dovessero essere insegnati sia il primo che il secondo ciclo. Quest’ultima norma rendeva tuttavia difficile un controllo attendibile a livello nazionale dell’insegnamento, e nei programmi del settembre 1937, che per la prima volta ne fissavano in dettaglio i contenuti, essa fu perciò tacitamente lasciata cadere. I programmi inserivano l’insegnamento della cultura militare nell’ultima classe delle scuole secondarie inferiori e nelle due ultime delle superiori, mentre il terzo ciclo andava svolto nei primi due anni di università (R.D. 23.09.1937, n. 1711, Programmi per l’insegnamento della cultura militare nelle scuole medie e superiori). Un’introduzione sottolineava che tale disciplina aveva lo scopo di contribuire alla formazione del cittadino-soldato e di alimentare, rafforzare e rendere consapevole nei giovani lo spirito militare. Non si mirava quindi tanto a trasmettere conoscenze teoriche o capacità tecnico-pratiche, ma piuttosto alla formazione del carattere, e creare una disposizione spirituale e morale alla vita militare.

Alberto Gagliardo

J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1996; A. Gagliardo, La scuola in camicia nera. La fascistizzazione della scuola italiana nella storia del Liceo Classico di Cesena, Cesena, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», 2005.