Comunicato Stampa sulle dichiarazioni del sindaco (sic) Merola in merito al referendum
E' vero, noi siamo i marziani,
siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare rotta.
Delle ultime esternazioni sul referendum del
sindaco di Bologna Virginio Merola colpisce non poco il fatto che ancora una
volta non venga presa in considerazione la sua responsabilità, in quanto
sindaco, di garante della corretta consultazione della cittadinanza bolognese.
La sua discesa in campo militante per l'opzione B si affianca al palese e
crescente fastidio per una consultazione che pretende addirittura di coinvolgere
la cittadinanza in una discussione collettiva sul senso e sull'efficacia del
modello del sistema integrato di gestione della scuola materna.
Nessuno può disturbare il manovratore insomma, e i politici, anziché
fare un passo indietro e porsi in ascolto di ciò che si muove nella
società, scelgono prima di portare discredito sul referendum stesso,
poi di anticipare l'intenzione di non dare comunque alcun seguito alle richieste
di rivedere le convenzioni con le scuole private.
Le reazioni sembrano sempre più scomposte per un primo cittadino: "Chi
vuole votare lo faccia ma il programma di mandato non si tocca; "il sistema
integrato è la cosa giusta per Bologna", "se un giorno in
città ci sarà una scuola musulmana, sarà interesse del
Comune che firmi la convenzione se vuole farlo, proprio per garantire la qualità
educativa". "Nel referendum consultivo si parla genericamente di
scuola pubblica mentre qui stiamo parlando di scuola dell'infanzia, che è
un'altra cosa".
Il Comune ha il compito di finanziare e "controllare la qualità”
delle scuole private mentre non ha quello di garantire il massimo sforzo per
offrire una scuola pubblica.
E la scuola dell'infanzia per il sindaco non è una scuola come le altre,
ma chissà perché, verrebbe da dire, essa è la prima ad
essere nominata nella normativa nazionale sugli ordinamenti scolastici che
ne definisce - a differenza dei nidi - finalità, modalità di
accesso e attività educative.
Se c'è un effetto positivo della discesa in campo del sindaco è
la progressiva chiarezza con cui emerge pubblicamente sia la sua idea di scuola
che la sua idea di politica.
Ovviamente il referendum, come la scuola, è letto solo e unicamente
come spesa, perché non cancellarlo dunque dallo statuto comunale?
In realtà il problema dell’appuntamento del prossimo 26 maggio
dovrebbe essere quello di fornire il massimo di opportunità di partecipazione,
ma la richiesta presentata al Comune dal Comitato promotore referendario di
ampliare il numero delle sedi di voto concesse (64) e dei seggi (199), inadeguato
ad accogliere un voto potenziale di 300.000 persone, non è stata al
momento accolta.
Il sindaco rende bene l'idea di quella classe politica che non riesce a proporre
altro che se stessa e la propria impermeabile e immutabile gestione delle
scelte politiche in città. Sarebbe forse giunto il tempo di pensare
a una democrazia che non inizi e finisca il giorno delle elezioni, sarebbe
ora di pensare che chi ha ricevuto il mandato di sindaco di una città
dovrebbe avere come primo obiettivo l'ascolto dei bisogni della popolazione
e la partecipazione collettiva al dibattito sulla cosa pubblica. La domanda
del referendum è alta, come si conviene a questo strumento di consultazione,
essa invita alla discussione sulla questione del bene pubblico, in questo
caso la Scuola.
In futuro il finanziamento ai privati potrà purtroppo solo aumentare,
è il sistema di disinvestimento dalla gestione diretta che produce
questo effetto insieme al continuo immiserimento delle risorse destinate alla
scuola pubblica. Arriveremo al punto di ridurre la qualità delle scuole
pubbliche in modo tale da far emergere quella delle private, come avviene
nei paesi in cui la scuola di qualità c'è solo per chi se la
può comprare.
Vorremmo essere liberi di fare un bilancio del sistema integrato dopo quasi
due decenni di attuazione, di affermare che la qualità della scuola
in questo periodo è costantemente diminuita così come le risorse
in essa investite, che la realpolitik del finanziamento "perché
si spende meno" è la politica di ogni logica di subappalto che
ha attraversato le scuole così come gli altri servizi pubblici con
effetti nefasti sul piano della qualità.
Vorremmo essere liberi di dire che i bambini non possono essere costretti
ad iscriversi in una scuola privata per mancanza di posti pubblici così
come è successo e succederà sempre più.
Vorremmo portare avanti tutti insieme la richiesta di aumentare il numero
di scuole dell'infanzia statali a Bologna; il referendum, così come
il respiro nazionale che esso sta assumendo, sono la strada per porre il problema
nella sua giusta dimensione.
Vorremmo essere liberi di dire che siamo stanchi delle chiacchiere sul controllo
di qualità che il Comune continuerebbe ad esercitare dall'esterno.
Vorremmo poter dire che c'è stata anche una storia diversa di Bologna,
cancellata in questi anni dal pensiero unico privatizzante, quando la gestione
diretta delle farmacie, delle mense, delle pulizie non era considerata un
fardello e una spesa.
Vorremmo riaffermare l'idea che la scuola di tutti si fa con i soldi di tutti,
messi insieme per costruire qualcosa di comune e solidale, aperto e fruibile
da tutti, in cui sia rispettata la libertà di insegnamento e con essa
il pluralismo e che nessuna scuola priva di queste caratteristiche può
usufruire dei soldi delle tasse, anche se un alunno che la frequenta costituisce
una spesa in meno per le finanze pubbliche.
Vorremmo poter essere liberi di affermare che una scuola pubblica plurale
e solidale è oggi più che mai un obiettivo cruciale della nostra
società, che pone Bologna al centro di un dibattito molto ampio di
cui i cittadini bolognesi possono sentirsi fieri; lasciamo ai politici le
litanie sulle strumentalizzazioni e le ideologie (è davvero un disco
rotto, ogni volta qualche movimento fuori dal palazzo mette in discussione
lo status quo).
E' vero, noi siamo i marziani, siamo i cittadini bolognesi che vogliono cambiare
rotta.
Cobas Bologna