La lingua che ci amora

Esercizi di libertà per imparare con

incontro nazionale organizzato dall' Autoriforma Gentile
e dalla Società italiana delle Letterate

Un motivo ricorrente nei discorsi sulla scuola è lo sconcerto di fronte all'apparente rozzezza e povertà linguistica delle giovani generazioni. Spesso il mondo accademico la interpreta come un segnale "apocalittico" di crisi dei valori della cultura, a cui rispondere con una strategia di difesa e di restaurazione. Altre voci, specie nel campo della pedagogia, capovolgono la valutazione, esaltando le potenzialità espressive dei nuovi canali comunicativi a scapito del logocentrismo della cultura tradizionale. Noi pensiamo che, indipendentemente da questi giudizi unidirezionali, la distanza linguistica e culturale tra le generazioni possa diventare un'appassionante scommessa politica se la si considera in termini relazionali: dove c'è differenza tra esseri umani, lì c'è qualcosa di nuovo e di importante da scoprire.
Per questo pensiamo che oggi, come ai tempi di don Milani, la lingua sia un luogo cruciale di conflitto e di ricerca, ma in termini diversi. Allora la scommessa aveva caratteristiche collettive, riguardava classi sociali da emancipare socialmente, sentite come portatrici di una cultura materiale e di una ricchezza linguistica capaci di scardinare l'opacità e il potere della lingua delle classi dominanti. Oggi ci pare che la scommessa riguardi la libertà e tocchi la singolarità di ogni essere umano, giovane e adulto, messa a rischio dall'affermarsi di forme di linguaggio standardizzato e omologante. Prima di essere un problema di insegnamento, si tratta di noi come parlanti, della nostra umanità e della sua espressione libera in ogni ambito della vita associata.
A questa situazione la pedagogia linguistica ufficiale risponde con la proposta di modelli codificati, basati su una concezione funzionalistica e utilitaristica della lingua, ben inseriti nel pensiero aziendalistico dominante. Noi crediamo invece che dalle differenze possano nascere modi espressivi imprevedibili e multiformi, capaci di dar voce a quello che ciascuno e ciascuna vive, sa e vuole, nell'ambito di una relazione fondata sul piacere dello scambio: un grano di libertà che può cambiare ciascuna e ciascuno di noi, e il mondo che ci circonda. La storia della presa di parola femminile attraverso la quale molte di noi sono passate mostra come si possa diventare soggetti di discorso, trovando parole per dirsi fuori dalle categorie concettuali previste.
Tutto questo è accaduto non per caso. Noi intendiamo approfittare della crisi in atto per rovesciare i modi di strutturare il discorso che si pretendono esaustivi e negano così l'esistenza dell'altro da sé. In questo contesto, come si possono ridefinire in positivo le differenze tra le generazioni? Come liberarsi da una serie di modelli, come scartarli e giocarci? Fino a che punto convergere verso un italiano comune e fino a che punto dare spazio a una lingua meticcia? Come dare forza a una scommessa politica sulla lingua viva per cui le parole sappiano dare la libertà di inventare mediazioni indipendenti dal denaro e dal potere, e affermino il valore impagabile di essere al mondo con un senso libero di sé e dell'esperienza che si vive?

Università degli Studi Roma 3

via Madonna dei Monti 40, sala Urbano VIII

sabato 4 ottobre 2003 ore 15-19

domenica 5 ottobre 2003 ore 9.30-14