Gentile Sig. Iadaresta,
definire la scuola statale in regime di monopolio mi sembra eccessivo: la scuola
di Stato, nonostante la sua denominazione, è stata da sempre rappresentata da
un coacervo di soggetti (non è difficile immaginare chi) i cui interessi erano
(e sono) molto vari. Lo Stato Italiano avrebbe dovuto regolamentare (cosa che
non è mai stata fatta) ed obbligare all'adozione di uno standard morale, legale,
educativo anche le scuole non statali. In realtà si è gradualmente costituito
un oligopolio che sta permettendo la prosperità della
"scuola di mercato"
e il cui controllo
è fuori da ogni legge.
Le mancanze dello Stato Italiano - Lo Stato avrebbe dovuto accentuare
il proprio ruolo di istituzione a difesa degli interessi della collettività
(la Costituzione è esplicita) ed in questo ha fallito. Hanno fallito nello stesso
modo anche le politiche dei sostegni a favore dell'agricoltura e della forestazione
nelle zone disagiate del nostro Paese nell'immediato dopoguerra che non hanno
risolto i reali problemi.
Interventi di sostegno (a pioggia) del genere (in non pochi settori del nostro
sistema economico) non hanno prodotto alcuna crescita sociale e culturale nella
nostra popolazione e, insieme ad altri fattori, hanno dato luogo a una società
senza regole in cui i più furbi hanno approfittato dei "venti favorevoli" per
speculare sui bisogni dei soggetti meno abbienti. Non è un caso che l'Italia
sia da sempre in vetta alle classifiche per quanto riguarda la
corruzione
politica, la collusione fra lecito e illecito, l'evasione fiscale, le speculazioni
finanziarie a carico dei risparmiatori, lo sperpero del denaro pubblico e il
degrado ambientale.
Quali fini, per quale democrazia? - Si sono affermate le
"pseudo-culture"
dell'ignoranza, della televisione, dello stadio e degli
indottrinamenti di
vario genere come mezzi per annebbiare le coscienze e manovrarle. La scuola
pubblica avrebbe dovuto rappresentare l'antidoto per questi mali.
La nostra società
"benpensante" ha affossato
"culturalmente" la
nostra scuola pubblica perché ha immaginato che, pagando, avrebbe potuto ottenere
un servizio migliore. Non si è chiesto come mai le scuole più povere del mondo
sono quelle che funzionano meglio? È solo una questione di denaro oppure la
nostra beneamata Italia non ha ancora colto il vero senso della democrazia?
È lecito riconoscere il diritto di tutti i cittadini a un'istruzione migliore,
ma tale diritto deve essere esercitato in ambito istituzionale. Purtroppo, quando
l'istruzione da
diritto civile si trasforma in un
bisogno economico,
si innalzano ancora di più gli steccati fra la
scuola dei privilegiati
(non quella permessa dai buoni scuola) e quella della
"massa" abbandonata
a sé stessa
(noi, lei, tutti).
Ciò che ritengo immorale è che lo Stato debba sovvenzionare i privati affinché
si
"cerchino" l'istruzione migliore e, cosa ancora più grave, che lo
Stato non tuteli questi cittadini dagli speculatori.
La scuola "obiettivo sensibile" - La scuola e l'istruzione nel suo complesso
sono
obiettivi sensibili (al pari di una centrale nucleare) nel senso
che dalla qualità dei suoi servizi e dei suoi risultati dipenderà la continuità
del nostro futuro e la moralità dei suoi abitanti.
Lo Stato Italiano deve garantire il pluralismo delle esigenze, delle confessioni
e delle a-confessioni ma non disperdendo il
già misero gettito fiscale.
Deve anche tutelare la sicurezza nazionale intesa come continuità della nostra
cultura, come conservazione dell'eredità del nostro passato e del nostro presente.
La scuola istituzionale - pluralista - non è che uno nuclei fondanti della nostra
futura sicurezza sociale.
Scuole istituzionali "locali", pubbliche ma con finalità etiche. - Ben
vengano quindi le scuole pubbliche organizzate su base locale, finanziate con
i soldi del gettito fiscale (tutto e di tutti) e controllate istituzionalmente
ma senza commistioni fra interessi pubblici (di lungo periodo - continuità dei
nuclei sociali) e privati (di brevissimo periodo - speculativi).
Nel mio scritto non vi era nessuna intenzione di denigrarvi ma di richiamare
l'attenzione su di un problema cruciale di natura etica: i
diritti e i doveri
uguali per tutti. Come lo dovrebbe essere la legge. L'appello a guardarsi
bene dai contratti e dalla natura dei servizi offerti dalle scuole non statali
non intendeva ferire ma solo avvertire i genitori-lettori che nel settore dell'istruzione
offerta dai privati spesso si celano delle vergognose e umilianti (per tutti,
tranne che per i gestori) speculazioni.
Prima l'etica o l'economia? - Nessuno intende negare il diritto delle
scuole non statali ad esistere; purché ciò non comporti oneri ulteriori per
la società. Questa affermazione la ritengo valida anche per le (non poche/i)
associazioni, enti, partiti politici italiani che sperperano denaro pubblico
e lo sottraggono risorse allo Stato senza un reale vantaggio per la collettività.
In un mercato
"eticamente competitivo" i gestori delle scuole non statali,
i cui profitti netti
"viaggiano" a ritmi del 25-30% all'anno, dovrebbero
rinunciare a una buona fetta dei loro introiti (fatta lucrose speculazioni nei
confronti dei dipendenti e degli utenti),
pagare le imposte e le tasse
reali.
I diritti non sono bisogni. - I diritti dei cittadini non possono essere
trasformati in bisogni economici che devono essere pagati due volte. In una
società
"eticamente vincente" lo Stato e le istituzioni che lo rappresentano
dovrebbero tutelare i diritti delle fasce sociali più deboli (in realtà lo siamo
tutti, anche coloro che pensano di non esserlo) e proteggerle dai
"commerci"
che si svolgono sui diritti fondamentali delle persone e dei cittadini. Se la
scuola statale non ci soddisfa, abbiamo il
dovere-diritto di
chiedere
il conto allo Stato. Se ammettiamo di far parte di una società civile dobbiamo
contribuire individualmente e in gruppo affinché si concretizzino le premesse
per la sua realizzazione.
Se fossero costruite queste premesse, magicamente, non ci sarebbe più bisogno
del buono scuola da
"spendere" presso la scuola di
"fiducia".
L'utente medio italiano che fruisce di questi servizi privati (anche quello
che utilizza i servizi pubblici) non è a conoscenza di questi fatti e, anche
se li conosce, non sa come difendersi e li accetta. Sopravvive, non reagendo,
e subisce uno "stile di vita" che verrà poi ereditato dalla collettività intera
con le immaginabili conseguenze. In Italia, come è noto, non esiste una
"Class Action" che tuteli i singoli cittadini
dalle speculazioni delle banche e dei fornitori di servizi in generale.
La tragica realtà è che in uno Stato come quello attuale è stata fallimentare
anche la realizzazione del federalismo impositivo fiscale (proprio quello che
avrebbe dovuto far pagare le tasse e le imposte a tutti), il solo in grado di
garantire l'individuazione e la raccolta della ricchezza a livello locale e
la sua corretta ed equa spendibilità "sociale".
Le pseudo-politiche (sociali, scolastiche, economiche) condotte anche da questo
governo hanno approfondito il baratro fra il Paese che vive di rendita e quello
che sta faticosamente cercando di sopravvivere dinnanzi all'imbarbarimento morale
e materiale che avanza. Senza una scuola che privilegi le finalità educative
e morali di lungo periodo potremo sperare ben poco ed avremo sempre di più dei
futuri soggetti sociali che privilegieranno la speculazione e l'immoralità,
esattamente come sta accadendo oggi - se non peggio.
Le associazioni come quella di cui lei è responsabile dovrebbero battersi proprio
per l'eticità dei principi fondanti la società del domani
(senza l'educazione
alla moralità - prima di quella alla legalità - e al solidarismo si farà ben
poca strada) e non per quelli di brevissimo periodo come lo sono i
"contentini"
profferti dagli (s)governanti di turno per accaparrarsi qualche voto in più.
Mi auguro che queste mie considerazioni non siano state da lei fraintese come
"lezioncine moraleggianti" o
"libertà alla rovescia".
Cordiali saluti, Davide Suraci.
Pubblicato con il permesso dell'autore,
Davide Suraci, in data.....
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