rete nazionale studentesca Sempre Ribelli
La
RiFORmA MORATTi
Piccola Guida per non annegare nelle bugie della Moratti, per
conoscere i veri contenuti della controriforma, per essere pronti a ribellarsi
ISTRUZIONE PUBBLICA SOTTO ATTACCO | LA RIFORMA MORATTI | ||
IL DIRITTO ALLO STUDIO | DUE PAROLE SUL DDL FINI | SEMPRE RIBELLI |
In un’Italia in cui l’informazione è sempre più monopolizzata
e distorta, in cui la Moratti moltiplica i propri monologhi a Porta a Porta
e diffonde bugie di Stato su libricini e manualetti distribuiti un po’
ovunque, ci è sembrato doveroso spiegare a tutti, con semplicità
(anche se in modo certamente un po’ schematico a causa dell’esigenza
di non scrivere un poema), la disastrosa direzione che sta prendendo l’istruzione
in Italia.
Leggete con attenzione, perché, se il progetto del Ministro Moratti diventerà
realtà, a pagare le conseguenze di questo sfacelo saremo non solo noi
tutti, studenti di oggi, ma anche i nostri fratellini e i nostri figli in quanto
studenti di domani.
ISTRUZIONE PUBBLICA SOTTO ATTACCO
Privatizzazione dell’istruzione e mercificazione dei saperi nella globalizzazione
neoliberista
>>>Globalizzazione e scuola
Nell’ambito dei processi di apertura dei mercati e di liberalizzazione
dei servizi, il settore dell’istruzione riveste una grande importanza.
Da anni infatti organismi sovranazionali come OCSE e WTO fanno pressione sui
governi nazionali perché si impegnino nella direzione della privatizzazione
dell’istruzione.
Il principio alla base dell’intero processo è rendere il sapere
una merce come tutte le altre, subordinata alle logiche del mercato e accessibile
solo a chi può permetterselo.
I GATS (accordi generali sul commercio dei servizi), con cui il WTO (organizzazione
mondiale del commercio) proponeva ai paesi membri una liberalizzazione totale
del commercio di beni fondamentali come l’acqua e di servizi pubblici
come la sanità e appunto l’istruzione, si sarebbero inseriti perfettamente
in questa logica, portandola all’estremo con conseguenze potenzialmente
devastanti. Nel vertice di Cancun (Settembre 2003), alcune divergenze tra i
rappresentanti dei vari stati e, soprattutto, un grande movimento di contestazione,
hanno impedito l’approvazione degli accordi GATS, ma va detto che nel
settore dell’istruzione processi di privatizzazione sono in atto da tempo,
in Italia come in molti altri stati. I GATS rischiavano di rappresentare la
spallata definitiva con cui sancire e rafforzare processi già partiti
e spazzare via le ultima resistenze di chi sostiene che l’istruzione sia
un servizio pubblico da garantire a tutti e non una merce.
>>>I primi attacchi alla scuola pubblica
E’ innegabile che in Italia i primi passi nella direzione della svendita
della scuola pubblica siano stati compiuti dai governi di centro-sinistra.
La legge di Parità Scolastica approvata nell’estate ’99 ha
sancito due concetti molto semplici ma di estrema gravità: l’inserimento
nel sistema dell’istruzione pubblica delle scuole private parificate (il
famoso sistema integrato) e i finanziamenti diretti e indiretti a queste ultime.
Il tutto in aperto contrasto, di merito se non di forma, con l’articolo
33 della Costituzione secondo cui istituti privati hanno il diritto di esistere,
ma “senza oneri per lo stato”.
Pochi mesi dopo veniva approvata la legge di Autonomia Scolastica, sbandierata
da molti come riforma progressista se non addirittura come “vittoria dei
movimenti studenteschi”. Sull’Autonomia una riflessione è
ancora necessaria, perché molti degli odierni attacchi all’istruzione
pubblica si fondano anche su tale provvedimento.
Innanzitutto l’Autonomia ha aperto le porte all’ingresso dei privati
nel mondo dell’istruzione pubblica, dando la possibilità alle scuole
di stipulare convenzioni con enti privati di ogni genere, quindi anche e soprattutto
con le imprese circostanti. Inoltre l’autonomia finanziaria e gestionale,
unita alla diminuzione dei finanziamenti statali, metteva le scuole in condizione
di poter/dover cercare finanziamenti aggiuntivi (tramite convenzioni e sponsorizzazioni
con soggetti privati o aumentando i contributi d’iscrizione richiesti)
o di essere costrette a ridurre la qualità dell’offerta formativa.
Va ricordato che poco prima della legge di Autonomia fu approvato il decreto
che attribuiva funzioni dirigenziali ai presidi, aumentandone sensibilmente
i poteri e ponendo le basi per la gerarchizzazione dei rapporti tra le varie
componenti scolastiche.
Qual era quindi la concezione di scuola di Berlinguer? Un sistema con scuole,
pubbliche e private, in concorrenza tra loro, gestite sempre più sul
modello aziendale dai presidi-manager, legate, quando non subordinate, alle
esigenze del mercato e delle singole imprese. Una scuola tutta finalizzata all’inserimento
nel mondo del lavoro e non alla formazione dei futuri cittadini, dove i valori
di collaborazione, collegialità e solidarietà andavano persi in
nome di un modello efficientista e produttivista, tutto ispirato alla società
della libera concorrenza.
>>>Contro la Moratti, per un’altra idea di scuola
In questo contesto si va ad inserire la Riforma Moratti (intesa come l’insieme
dei provvedimenti del ministro e non solo in riferimento alla legge delega),
una controriforma che è stata giustamente definita come il più
grande attacco alla scuola pubblica che sia mai stato portato avanti.
Sulla riforma troverete nelle pagine successive analisi, riflessioni e commenti,
ma ciò che qui ci preme sottolineare è come l’opera di demolizione
della scuola pubblica che il ministro Moratti sta portando avanti non sia altro
che il punto più avanzato di un processo iniziato da tempo e non certo
circoscritto al nostro paese.
Da questa consapevolezza deve partire un movimento studentesco che si ponga
l’obiettivo di difendere l’istruzione pubblica da ogni processo
di privatizzazione, ma che sappia anche iniziare a immaginare, discutere e sperimentare
un modello di scuola radicalmente contrapposto alla concezione della Moratti
ma anche realmente alternativo al sistema attuale.
Un’altra idea di scuola che non deve nascere, quindi, da una teorizzazione
astratta ma dalle esperienze reali dei collettivi e dei laboratori sociali,
delle scuole occupate, autogestite e cogestite, cioè dalle esperienze
quotidiane di chi ogni giorno si oppone con le parole e con i fatti alla svendita
della scuola pubblica.
LA RIFORMA MORATTI
Breve sintesi
>>>Una precisazione
La distruzione della scuola pubblica che il governo Berlusconi sta portando
avanti e che per comodità chiamiamo genericamente “riforma Moratti”
in verità è composta, oltre che dal testo vero e proprio della
legge Moratti approvato in Parlamento, anche da tutta un’altra serie di
provvedimenti ad esso correlati: decreti, circolari ministeriali, articoli di
finanziaria. Quello che faremo qui di seguito è una sintesi di tutte
le novità in tema di istruzione introdotte dalla Letizia ministro, già
attuate, in procinto di essere attuate o previste
>>>Le novità
Ecco le principali novità inerenti la scuola superiore:
-ritorna il 7 in condotta come discrimine fondamentale tra promozione e bocciatura
-gli Organi Collegiali (Consiglio di Istituto e di Classe) verranno pesantemente
ridimensionati nel proprio ruolo di gestione democratica e collegiale della
scuola. Gran parte dei poteri verranno accentrati della mani del preside-manager,
che diventerà in pratica il padrone dell’istituto senza alcuna
possibilità di influire sulle sue decisioni. I Consigli di Classe, oggi
luoghi di discussione e confronto tra studenti, insegnanti e genitori, verranno
cancellati, senza alcuna spiegazione logica. La composizione del Consiglio di
Istituto, che perderà tra l’altro parte dei propri poteri, verrà
ridefinita nel senso di un’ulteriore riduzione della presenza della componente
studentesca (e della cancellazione della presenza del personale ATA)
-sparirà l’attuale distinzione tra istituti tecnici, professionali
e licei. Dopo la terza media ogni studente dovrà irrimediabilmente scegliere
tra due opzioni, senza poi possibilità reale di passare da un percorso
all’altro: o iscriversi ad un “liceo”, o frequentare una scuola
professionale, molto probabilmente in un meccanismo di alternanza scuola-lavoro
(un po’ di ore studi, un po’ lavori in qualche azienda, logicamente
non pagato perché viene considerata “formazione”).
Quelli che finiranno il liceo potranno (anzi dovranno, perché i licei
non rilasceranno alcun titolo di studio realmente spendibile sul mercato del
lavoro) iscriversi all’università, cosa che invece quelli che avranno
frequentato un istituto professionale non potranno in pratica fare. Questi ultimi,
per tentare di proseguire gli studi, dovranno frequentare un anno integrativo,
sempre che tutte le scuole lo istituiscano, e poi cercare di passare il test
di ingresso all’università, visto che quasi tutte le facoltà,
con la strada spianata dalle riforme del centro-sinistra, stanno introducendo
il numero chiuso. Peccato che i programmi della scuole professionali saranno
stati talmente indirizzati alla spendibilità sul mondo del lavoro (facendo
sparire tutta una serie di “inutili materie” teoriche, come italiano,
storia ecc. ecc.), che sarà un’impresa ardua competere con chi
avrà frequentato un liceo.
Dunque, a 13 anni, finite le scuola medie, sceglierai subito il tuo futuro,
con pochissime possibilità effettive poi di cambiare: o liceo + università
(sempre più costosa e a numero chiuso), o scuola professionale e poi
lavoro (tendenzialmente precario e sottopagato)
-ogni scuola assicurerà a tutti soltanto 25 ore di lezione settimanali
in alcune materie definite come “fondamentali” (tra le quali la
religione cattolica).
Le altre saranno “facoltative” (ossia non sarà obbligatorio
per te sceglierle né per la scuola offrirle), ed in parte a pagamento.
La valutazione verrà fatto poi in base a tutti i corsi frequentati. Logicamente
più corsi frequenterai, anche messi a disposizione in altri istituti,
più la tua valutazione sarà alta.
-l’istruzione verrà svenduta al mercato e alle aziende, nel senso
che le scuole dovranno reperire parte dei fondi per il proprio funzionamento
da sponsor privati, che in cambio avranno un proprio rappresentante in Consiglio
di Istituto e potranno condizionare il piano di studi
Questi sono soltanto una minima parte degli sconvolgimenti che attendono la
scuola pubblica o che, in parte, la stanno già interessando. Ad essi
poi si aggiungono tutta una lunga serie di modifiche dell’organizzazione
di tutto il sistema d’istruzione, dei programmi di studio, del ruolo dei
professori e della loro indipendenza didattica.
Il quadro che si ottiene è preoccupante e mostra nel nostro immediato
futuro una scuola che, se tutto va come vorrebbe la Moratti, sarà senza
eccessi identificabile come
-autoritaria e non democratica, con gli studenti che non avranno più
voce nella gestione della scuola e saranno ridotti a semplici fruitori, per
di più sotto il costante ricatto di vari strumenti di repressione (tra
cui il 7 in condotta e il portfolio); i professori, sempre più precari,
che perderanno la propria autonomia didattica; il preside che diventerà
padrone e manager della scuola in strettoo contatto con qualche azienda locale
-integralista, dove la multietnicità, il laicismo e la conoscenza e il
rispetto di tutte le confessioni religiose saranno sacrificati di fronte al
potenziamento della centralità della religione cattolica (viene ribadito
l’obbligo inderogabile del crocefisso in classe, vengono stabiliti dei
canali privilegiati di assunzione degli insegnati di religione cattolica e quest’ultima
viene definita ufficialmente “materia fondamentale di insegnamento”)
-classista, ossia che non aiuta a superare le differenza sociali ma che le sedimenta.
Non solo l’istruzione diviene sempre più cara, l’università
sempre più costosa e si comincia a parlare di lezioni a pagamento, ma,
fatto ancor più grave, si istituisce una divisione netta tra chi sceglie
(a 13 anni, con chissà quanta consapevolezza…) la scuola professionale
e avrà quindi davanti a sé soltanto la possibilità di un
lavoro di basso livello e chi, più fortunato, potrà permettersi
10 anni e più di studi non certo gratuiti, prima al liceo e poi all’università
>>>Due parole sui finanziamenti
I soldi per la scuola pubblica non ci sono, mentre per la scuola privata sì
Mentre i finanziamenti nazionali, regionali e locali alle scuole private aumentano
costantemente, il Governo dichiara che, vista la mancanza di fondi per la scuola
pubblica, sono necessari tagli negli investimenti e nei posti di lavoro. Ecco
qualche dato.
Se il 2000 si era chiuso con un finanziamento di 347 miliardi di lire per le
scuole paritarie e private, nel 2002 le suddette voci hanno subito un incremento
del 134%.
Con la finanziaria dello scorso anno è stato poi introdotto uno sconto
fiscale di 90 milioni di euro destinato alle famiglie che iscriveranno i loro
figli alle scuole private.
Tutto questo mentre, per esempio, nonostante la legge 23/96 disponeva il finanziamento
di 60 miliardi di lire annui per l’adeguamento degli edifici scolastici,
nel 2002, tale finanziamento è stato azzerato. Eppure dai dati forniti
dal Ministero si evince che delle 41.698 scuole statali presenti in Italia il
64,53% è privo di certificazione di conformità per le norme antincendio
e il 42,32% è privo del certificato di agibilità statica.
Parallelamente i finanziamenti destinati ad alunni portatori di handicap calano
complessivamente del 12,6%, mentre la quota per alunno diminuisce del 18% scendendo
a 118 euro.
Il Piano programmatico finanziario per l’attuazione della (contro)riforma
Moratti prevede poi uno stanziamento complessivo di 8.320 milioni di euro per
il quinquennio 2004/2008, ossia uno stanziamento medio-annuo di circa 800 milioni
di euro. Per il 2004 però, lo stanziamento previsto è soltanto
di 90 milioni, cioè il 2,2% dell’intera somma da stanziare nel
quinquennio. Il Ministro smantella la scuola pubblica, ma non è nemmeno
in grado di trovare i fondi per ricostruirla secondo i propri progetti. Certo
è che, visto che i soldi da qualche parte dovranno saltar fuori, non
possiamo che aspettarci aumenti delle tasse scolastiche e ulteriori tagli nei
finanziamenti all’istruzione pubblica.
A tutto ciò bisogna inoltre sommare i tagli nel personale docente e non
docente: 33.500 posti di insegnanti in meno in tre anni e 9.600 bidelli in meno,
a fronte di un aumento costante di iscritti
>>Il decreto sulla scuola primaria
Ovvero l’avvio della riforma Moratti nella scuola elementare e media
Il primo decreto attuativo della legge delega sulla scuola ha interessato la
scuola primaria e causato un’autentica sollevazione tra insegnanti e genitori
delle scuole elementari.
Almeno 4 sono i punti fondamentali:
• L’abolizione del tempo pieno, strumento di grande utilità
sociale ma anche straordinaria esperienza pedagogico-educativa.
• La diminuzione del monte ore obbligatorio e garantito (da 40 a 27 ore
settimanali, più 10 di mensa e 3 facoltative), secondo una tendenza riscontrabile
anche nei progetti di riforma delle superiori.
• La “personalizzazione dei percorsi formativi”, concetto
estremamente ambiguo che rischia di concretizzarsi nei gruppi di livello (i
più bravi divisi dai meno bravi), metodologia discutibile e pericolosa
anche riferita alla scuola superiore, ma semplicemente aberrante per bambini
tra i 6 e i 10 anni.
• L’introduzione del Tutor, figura assimilabile al vecchio maestro
prevalente e valutata negativamente da pedagogisti e educatori di ogni scuola
di pensiero.
Fin dai primi anni di scuola il bambino viene quindi “schedato”
e incanalato verso il percorso che altri scelgono per lui. La coerenza di tali
proposte con l’impianto generale della Riforma Moratti, ed in particolare
con il meccanismo di selezione insito nel doppio canale istruzione liceale/formazione
professionale, è evidente.
>>Devolution e regionalizzazione
La frantumazione della scuola pubblica
Altro tema centrale per la difesa della scuola pubblica è quello della
regionalizzazione.
La Devolution di Bossi prevede infatti un ulteriore aumento delle competenze
assegnate alle regioni in materia di ordine pubblico, sanità e, appunto,
scuola. Anche in materia di regionalizzazione va ricordato che è stato
il governo di centro-sinistra ad aprire la strada, approvando la modifica al
Titolo V della Costituzione
La regionalizzazione, sia nella forma “temperata” proposta dall’Ulivo,
sia a maggior ragione in quella più spinta proposta da Bossi, ci trova
totalmente contrari per almeno due motivi.
Innanzitutto spaventa la possibile disgregazione del sistema scolastico nazionale:
nell’ipotesi estrema in cui ogni regione dovesse approvare una propria
legge regionale sulla scuola si potrebbe arrivare ad avere 20 sistemi scolastici
diversi per altrettante regioni.
In secondo luogo al processo di regionalizzazione rischia di seguire a breve
distanza, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale, quello
della privatizzazione, tramite esternalizzazione dei servizi (la scuola non
gestisce più direttamente tutte le funzioni, ma ne affida alcune ad aziende
e ditte private) e convenzioni tra regioni e enti privati.
Per questo riteniamo importante non solo schierarsi contro il principio della
regionalizzazione, ma anche opporsi localmente ad ogni tentativo di legge regionale
sull’istruzione che vada nelle direzioni della frammentazione e della
privatizzazione del sistema scolastico.
I BUONI SCUOLA
Soldi di tutti al privilegio di pochi
>>>Incipit
Cos’è il buono scuola
Il buono scuola è un provvedimento, inventato qualche anno fa da Formigoni,
presidente della Regione Lombardia (ma subito esteso a molte altre regioni,
tra cui il Veneto) destinato al rimborso delle spese sostenute dalle famiglie
per mandare i propri figli a scuola. Per accedere a tale finanziamento bisogna
dimostrare di spendere più di una soglia minima (155 euro in Veneto,
206 in Lombardia), ma dal conteggio delle spese sono escluse quelle relative
a libri di testo, mense, trasporti, materiale didattico e gite d’istruzione.
In fin dei conti, quindi, le uniche cose rimborsabili sono le tasse e le rette
di iscrizione alle scuola private. Ciò determina il fatto che, visto
che difficilmente (per fortuna) le tasse di iscrizione delle scuole pubbliche
non sono così alte da raggiungere la soglia minima definita per il rimborso,
ad essere finanziate sono solamente le rette di iscrizione alle scuole private.
>>>Veneto: breve storia del buono scuola
Il 6 ottobre 2002 in Veneto si è tenuto un referendum (ahimé mal
riuscito) per l’abrogazione della legge regionale dei buoni scuola, riportando
al centro del dibattito la questione. Per dare un’idea approssimativa
dell’entità dei problema, basti citare il fatto che a seguito della
promulgazione di questa legge sono state presentate 15.928 domande per l’erogazione
di buoni scuola; per 15.391 di esse è stato deliberato un contributo
medio di 567 euro per famiglia, pari ad un totale complessivo di oltre 9 milioni
di euro. Ma di questi buoni scuola solo 247 sono stati destinati a studenti
che frequentano la scuola pubblica (1,6%). Nel 98,6% tali contributi sono andati
ad istituti privati.
Le cifre sono analoghe anche nel caso della legge regionale lombarda: 55.040
domande presentante, 46.935 domande ammesse, di cui solo 600 provenienti da
famiglie con figli che frequentano le scuole statali (1,27%). Il 99,73%, anche
in questo caso, è finito a scuola private, con un contributo medio pari
a 649 euro per studente. Oltre 30 milioni di euro di soldi pubblici dei cittadini
lombardi finiti alle scuola private
Come se non bastasse, poi, i buoni scuola sono stati erogati senza alcun controllo
sulla qualità delle scuole (basta che siano private, diplomifici e Cepu
compresi) e sul reddito delle famiglie. Il tetto di reddito massimo, infatti,
per essere considerato “bisognoso di aiuto pubblico” e quindi ricevere
il buono scuola è, in Lombardia, di circa 30.000 euro lordi annui procapite.
Ciò significa che, senza calcolare i possedimenti immobiliari, materiali
e i depositi bancari, una famiglia di 4 persone che guadagna annualmente 120.000
euro (ossia una media di 30.000 euro testa) riceve lo stesso i buoni scuola.
Due modelli di erogazione ma con un fine comune: quello di sostenere nella loro scelta le famiglie che mandano i figli alle scuole private. Inoltre, alcune dichiarazioni della “nostra” ministra della pubblica istruzione lasciano ritenere che questo Governo si orienterà sempre più verso un ampliamento del ricorso a questa misura di politica scolastica (già quest’anno sono stati varati i buoni nazionali per rimborsare parte delle spese delle scuole private, per uno stanziamento pari a 30 milioni annui).
Quello che ci chiediamo è perché, di fronte a una scuola pubblica che cade a pezzi e che è sempre più costosa, si decida, anche a livello regionale, di destinare decine di milioni di euro non al diritto di tutti di frequentare la scuola di tutti, ma al privilegio di pochi di frequentare la scuola privata. Una scuola privata elitaria, costosissima, spesso semplice posto dove si va, si paga e si riceve in diploma (magari facendo pure 2 o 3 anni in uno), talvolta decisamente poco democratica e assolutamente non aperta a tutti (in ben poche scuole private esiste il Consiglio di Istituto, molte rifiutano gli studenti portatori di handicap perché troppo costosi da seguire, tantissime sono di stampo confessionale cattolico e quindi non accettano coloro i quali professano diverse religioni). Quello che vogliamo è la cosa più semplice e logica: che i fondi destinati ai buoni scuola vengano invece utilizzati per finanziare la legge regionale 31, quella che dovrebbe garantire (e invece non lo fa per mancanza di fondi) il diritto allo studio di tutti gli studenti, comprendo le spese di libri di testo, trasporti, gite e materiale didattico.
Il 6 ottobre si è quindi tenuto in Veneto questo referendum che purtroppo è andato male per scarsa affluenza alle urne (non si è raggiunto il quorum), mala informazione e tante divisioni sul fronte del SI. Il movimento studentesco, nonostante varie difficoltà, il 1 ottobre ha organizzato una grandiosa manifestazione regionale che ha visto 10.000 e più studenti sfilare tra le calli di Venezia a ribadire che la legge dei buoni scuola è ingiusta, poiché chi si può permettere una scuola privata può benissimo fare a meno di questi soldi pubblici “rubati” ingiustamente a chi frequenta una scuola pubblica, sempre più degradata, sempre meno finanziata (Regione e Governo i soldi preferiscono darli alle private), sempre più costosa. Ma come sappiamo tutti il mondo sta andando alla rovescia: rubano ai poveri per dare ai ricchi ed il nostro Robin Hood si chiama Letizia Moratti.
IL DIRITTO ALLO STUDIO
Chi potrà andare a scuola?
>>>Incipit
Cosa intendiamo per diritto allo studio
Diritto all’istruzione significa, in termini generali, la possibilità
per ogni individuo di poter formare una propria coscienza critica come strumento
per poter affrontare la realtà. In termini pratici ciò si concretizza
nel diritto di ciascuno, indipendentemente dalle proprie condizioni di reddito,
ad accedere a tutti i gradi di un’istruzione di qualità, dall’asilo
fino all’università. L’unico modo per garantire tale diritto
è quindi rendere effettiva la gratuità dell’istruzione.
Diritto allo studio significa quindi diritto ad un reddito sociale studentesco
(come già esiste in molte nazioni europee): trasporti pubblici gratuiti,
libri in comodato d’uso (ossia forniti gratuitamente dalla scuola a ciascuno,
da restituire poi a fine anno), niente tasse scolastiche ed universitarie, mense
studentesche a prezzi agevolati, finanziamenti per coprire le spese di gite
d’istruzione e materiale didattico. Perché l’unico modo per
rendere l’istruzione veramente pubblica è far sì che sia
realmente gratuita.
>>>Cosa c’è sotto
Perno del progetto revisionista e reazionario della Moratti è quello
di ritornare al concetto di scuola, o meglio istruzione, come privilegio per
pochi: selezionare gli studenti in base al reddito della famiglia da cui provengono.
Questo è indubbiamente il concetto di base di tutta la manovra: subordinare
l'istruzione al liberismo, ridurre la scuola pubblica ad azienda anticamera
della precarietà del mondo del lavoro.
Sfornare piccoli e solitari robot che si arrangino meccanicamente nell’adattarsi
al mondo del lavoro, pronti già a 16 anni ad entrare in fabbrica, senza
la pretesa, anzi la possibilità, di una formazione culturale completa
ed approfondita. Quest’ultimo sarà il privilegio di pochi, di quelli
che se lo possono permettere pagando. Il tutto delineando un’istruzione
mercificata, asservita cioè alle esigenze del capitalismo.
Chiaro che in tal ottica, oltre che eliminare tutte le sacche di resistenza,
occorre stringere le maglie della selezione scolastica, utilizzando come preferito
metro di misurazione il reddito. Ecco dunque aumentare nel complesso il costo
di tasse, libri, trasporti, mense e materiale scolastico, non più garantiti
dallo stato a tutti ma solo a chi se li può permettere. Selezione sociale:
chi ha i soldi può andare avanti a studiare fino all’università
e anche oltre, chi non ce li ha è destinato alla formazione professionale
per poi essere gettato subito nel mondo del lavoro precario e sottopagato.
Ecco ora qualche esempio, per liberare il campo da tutti gli equivoci usati
per farci credere nell'impossibilità dello stato di erogare ulteriori
finanziamenti.
Negli ultimi anni i (poco) buoni scuola sono stati prima concessi da singole
regioni alle scuole private. Aumentati esponenzialmente di anno in anno e diffusisi
di regione in regione, siamo arrivati addirittura con l’attuale ministro
alla concessione su scala nazionale di bonus dell’ordine di 30 milioni
di euro all’anno per i prossimi tre anni alle scuole private.
Cosa spetta alle scuole pubbliche, e più nello specifico al diritto allo
studio? Ovviamente nulla.
Il Lombardia, ad esempio, esiste una legge, la numero 31, che riconosce il diritto
ad un’istruzione gratuita come un diritto da assicurare a ciascun cittadino.
Questa legge, l’anno scorso, è stata finanziata con 7 milioni di
euro, ossia con una quota procapite per i quasi 1 milione di studenti lombardi,
di 7 euro a testa. Per i buoni scuola sono stati invece stanziati oltre 30 milioni
di euro, destinati a 46.000 studenti di scuole private (650 euro a testa). Perché
non spostare, visto che i soldi ci sono, i fondi destinati ai regali per le
private (buoni scuola) al diritto allo studio di tutti?
Una proposta di legge del gruppo consiliare lombardo di Rifondazione Comunista
in proposito dimostra che, se ciò fosse fatto, si potrebbero concretamente
coprire buona parte delle spese di libri di testo e trasporti pubblici per tutti
gli studenti.
Alcune esperienze locali
>>>La lotta di Mantova
Fatte le dovute considerazioni sulla natura privatistica e mercificatrice dei
provvedimenti liberisti sull’istruzione, può essere utile riportare
un caso in cui la battaglia per il diritto allo studio ha affrontato la questione
con impostazione e metodo lucidi.
Partendo dal presupposto che lo sgretolamento del diritto allo studio è
dovuto, materialmente, all’inaccessibilità all’istruzione
pubblica per via di costi esorbitanti, la campagna avviata a Mantova sta mirando
al rimborso totale di tutte quelle spese che non dovrebbero pesare sugli studenti:
trasporti, libri, tasse scolastiche, mense, gite…
La campagna è cominciata, con l’inizio dell’anno scolastico,
con la divulgazione nelle scuole di un semplice questionario in cui si spiegavano
in poche parole le intenzioni e si chiedevano l’ammontare delle diverse
spese.
In questo modo si è incominciato il coinvolgimento all’iniziativa
di una base che per forza di cose, per esercitare una forte pressione, deve
essere più estesa possibile. Si è proceduto rielaborando i dati,
in modo da essere supportati da una visione complessiva della questione.
A questo punto è da decidersi su quale dei costi incentrare le rivendicazioni,
ma solitamente i bilanci delle istituzioni sono sufficientemente elevati da
poter coprire interamente tutti i costi.
Nel frattempo si è cercato di consolidare il radicamento nelle scuole
con una serie di assemblee aperte e l’istituzione di un cineforum tematico.
Con la prima manifestazione, sono state consegnate le richieste in Comune Regione
e Provincia. Le trattative si sono aperte con quest’ultima (tra l’altro
senza la pressione di alcun consigliere in quanto rappresentante di partito).
A questo punto, la soluzione più efficace che si presenta è la
richiesta dell’istituzione di una carta per gli studenti pubblici, che
verrebbe consegnata all’iscrizione all’istituto, evitando tutta
una serie di burocrazie per la consegna e la certificazione dei dati ad un organismo
che dovrebbe essere creato ad hoc, che rallenterebbe i procedimenti. Inoltre,
in questo modo, è possibile una scaglionatura dei rimborsi in base ai
redditi, privilegiando le famiglie in condizioni economiche disagiate rispetto
a quelle benestanti
>>>Consigli da Arezzo: lo sciopero del biglietto
Anche ad Arezzo è nata una vertenza sul diritto allo studio. Tale campagna
prende il nome di “diritto d’accesso” e consta di una serie
di azioni di disobbedienza ed iniziative varie su tematiche quali: tariffe dei
trasporti, libero accesso alla cultura, spazi per l’autogestione, droghe
leggere.
Come prima azione, abbiamo deciso di attuare lo “sciopero del biglietto”.
L’ azione si proponeva di sensibilizzare gli utenti del servizio ATAM
sull’esigenza di tariffe calmierate per studenti, sulla difesa di un servizio
pubblico che rischia di cadere anch’esso in mano ai privati, sulla lotta
degli autoferrotranvieri per un salario dignitoso.
Quindi, siamo saliti su varie vetture distribuendo volantini ed invitando gli
utenti a non obliterare il biglietto per i motivi sopra descritti.
L’azione, se da una parte non ha sortito a pieno gli effetti desiderati,
dall’altra ha comunque riscontrato il consenso favorevole e del pubblico
e dei conducenti. Ed è per tale motivo che abbiamo deciso di insistere
su questa battaglia!
Di seguito diamo dei consigli utili per coloro che volessero praticare, anche
nella propria città, uno “sciopero del biglietto”. Esso deve,
prima di tutto, raccogliere consensi ed essere comunicativo.
**Prima dello sciopero del biglietto:
1- stabilite una relazione con uno o più conducenti informandoli dell’
azione che avete in mente di fare. Ricordatevi sempre che il loro parere è
assolutamente vincolante.
2- riflettete bene sugli orari: se volete avere un target studentesco, l’azione
dovrà essere fatta nell’orario di uscita dalle scuole!
3- Avvertite la stampa, perché l’azione ha spesso anche grosso
eco sui media
**Durante lo sciopero del biglietto:
1. spiegate con calma ad ogni utente e particolarmente al conducente cosa state
facendo e perché lo state facendo
2. distribuite ed attaccate volantini
Un’azione più radicale può prevedere anche
1. La distribuzione di biglietti falsi, stampati a colori e in tutto e per tutto
simili agli originali, magari con qualche simpatica variazione
2. L’ostruzione delle macchinette obliteratrici con volantini, nastro
adesivo o gomme da masticare..
In questi due ultimi casi, in particolare nel secondo, sappiate che si può
incorrere in denunce, tipo danneggiamento, per cui è sempre preferibile
valutarne l’opportunità in base ai rapporti di forza e al “clima”.
**Dopo lo sciopero del biglietto
1 mandate comunicati stampa a giornali e televisioni locali
2 rivendicate l’azione con volantinaggi nelle scuole..
LA MORATTI E LA DROGA
(la moratti si droga?)
Riforma Moratti, proibizionismo e repressione
>>>Strane coincidenze
Settembre: Letizia Moratti, ministro dell’istruzione, incontra De Gennaro,
capo della polizia, per mettere a punto un piano congiunto contro le occupazioni
e il consumo di droghe nelle scuole e, poco dopo, in molte scuole d’Italia,
cominciano gli incontri, più o meno segreti, tra digos e presidi, mentre
finanzini e forze dell’ordine stazionano sempre più spesso fuori
dalle nostre scuole (e talvolta anche dentro, magari travestiti, come insegnano
gli incredibili avvenimenti di Roma), pronti a fermare e perquisire ogni soggetto
sospetto.
Parallelamente si moltiplicano iniziative varie, come quella di Prosperini,
vicepresidente della regione Lombardia, che propone di somministrare a tutti
gli studenti delle scuole superiori una pillola capace di segnalare se lo studente
ha fatto uso di droghe, qualsiasi esse siano, negli ultimi mesi.
Dulcis in fundo la presentazione del disegno di legge Fini sulle droghe
>>>La Moratti e le droghe
Dove nasce tutta questa ansia repressiva, tutta questa smania criminalizzatrice
verso le droghe leggere? E perché noi studenti siamo tra gli obiettivi
preferiti di questa campagna?
Difficile pensare che sia una semplice fissa della Moratti, quella delle droghe.
Per comprendere le motivazioni di tale iniziativa, bisogna considerare un l’obiettivo
della Letizia ministro è quello di costruire un nuovo modello di scuola,
radicalmente diversa da quella che conosciamo, nell’organizzazione, nei
programmi e nelle finalità, non solo aziendalista e privatista, ma anche
e soprattutto NORMALIZZATA. Normalizzata: tutto quanto non è “normalmente
accettato”, ogni comportamento bizzarro o ribelle, ogni atteggiamento
che turbi l’immagine pulita e tranquilla dello studente modello va represso
e cancellato. Per le anomalie non c’è posto nella scuola perfetta
della Moratti. Ed ecco allora il 7 in condotta, per chi è troppo agitato,
troppo impertinente, troppo ribelle; ed allora ecco gli accordi per reprimere
immediatamente le occupazioni, inaccettabile elemento di critica al sistema;
ed allora ecco cancellato il potere decisionale degli organi collegiali (consiglio
di istituto e di classe), affinchè le decisioni possano essere tenute
tutte sotto controllo da una persona di fiducia (il preside); ed allora ecco
ribadito l’obbligo del crocifisso in classe, contro il terrore della multiculturalità
e della tolleranza; ed allora ecco la legge Fini, che si accanisce in particolar
modo contro i fumatori di cannabis (non a caso un apposito articolo della legge
definisce l’obbligo dell’insegnate di segnalare alla famiglia comportamenti
anomali, che si suppongono –anche senza nessuna prova- legati all’uso
di droghe, da parte dello studente). Tutto quadra, anche troppo perfettamente.
Dobbiamo averlo ben chiaro: batterci contro la legge Fini significa batterci
anche per un altro modello di scuola. Batterci contro la riforma Moratti significa
anche rifiutare quest’assurda legge sulle droghe.
DUE PAROLE SUL DDL FINI
U na breve parentesi, giusto per sapere cosa ci aspetta…
Proponiamo qui una stringata sintesi degli articoli più “interessanti”
della proposta di legge di Fini sulle droghe. Nel giudicarne la “ponderatezza”,
tenete presente che, attualmente, le pene previste per l’associazione
di tipo mafioso raggiungono un massimo di quindici anni per i casi più
gravi, o che la pena prevista per il delitto di violenza sessuale è,
nel peggiore dei casi, di dieci anni di reclusione; che dieci anni di reclusione
è la pena massima anche per i delitti di rapina e di estorsione; mentre
cinque anni di reclusione è la pena massima per la corruzione e otto
anni è il massimo per la concussione. Per il possesso di qualche grammo
di marijuana, con questa legge, si rischierebbero fino a 20 anni di carcere.
ARTICOLO 14: viene sancita l’equiparazione tra droghe leggere e pesanti.
Nelle allegate tabelle vengono poi definiti i valori oltre i quali scatta l’accusa
di spaccio (relativamente al principio attivo): 0,25 grammi di THC (ossia circa
3-4 grammi di hashish o marijuana), 0,5 grammi di cocaina, 0,3 grammi di MDMA
ecc. ecc.
ARTICOLO 73: chi coltiva, trasporta, vende, invia, procura, passa, detiene quantità
di sostanze superiori a quelle definite nelle tabelle è punito con la
detenzione da 6 a 20 anni e con una multa da 26.000 a 260.000 euro. Se i fatti
sono giudicati di lieve entità la detenzione è da 1 a 6 anni +
multa da 3000 a 26000 euro (in definitiva tutto questo se ti beccano con qualche
grammo di erba o hashish)
ARTICOLO 75: per i casi di possesso di sostanze al di sotto delle dosi sopra
definite, le pene saranno la sospensione della patente o del passaporto da 1
a 12 mesi, il ritiro immediato del veicolo a motore a disposizione dell’interessato,
l’obbligo di seguire percorsi terapeutici e socio-riabilitativi (tutto
questo la prima volta che ti beccano con una canna)
ARTICOLO 76: per i casi in cui, pur non essendo riconosciuta l’accusa
di spaccio, il soggetto sia considerato “pericoloso per la sicurezza pubblica”
(ad esempio se hai un qualsiasi altro reato pendente o se sei già stato
trovato in possesso di stupefacenti), scattano le seguenti sanzioni per una
durata massima di 2 anni:
-obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso i locali della Polizia
-obbligo di rientrare a casa entro una determinata ora
-divieto di frequentare determinati locali pubblici
-divieto di lasciare il comune di residenza
-divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore
-obbligo di presentarsi al comando di polizia negli orari di entrata e di uscita
da scuola
In caso di violazione di queste disposizioni scatta l’arresto da 3 a 18
mesi
(tutto questo se, ad esempio, ti beccano una seconda volta con una canna)
ARTICOLO 82: chiunque istiga pubblicamente o privatamente all’uso di droghe
è punito con la carcerazione da 1 a 6 anni e con una multa da 1000 a
5000 euro (tutto questo in definitiva se ti salta in mente di opporti a questa
legge)
Il presente manualetto è stato realizzato da alcuni nodi della rete nazionale Sempre Ribelli. Sempre Ribelli è un’esperienza in formazione, nata da qualche mese, che cerca di connettere i collettivi studenteschi autorganizzati che, in tutt’Italia, da nord a sud, da est a ovest, si sono mossi e si stanno muovendo contro la distruzione della scuola pubblica, sotto qualsiasi forma essa si presenti (riforma Moratti, buoni scuola, autonomia e parificazione ecc. ecc.), contro la guerra, senza se e senza ma, contro la precarietà e la repressione, per una scuola libera, democratica, multiculturale, pubblica, gratuita.
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Si ringraziano
Cobas Scuola, Arci,
Rifondazione Comunista e Giovani Comunisti
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Ne è incoraggiata la distribuzione e la riproduzione, purché a
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