La regionalizzazione non aiuta il Tempo Pieno
Attenzione alle mistificazioni sulla sentenza dela Corte Costituzionale
Pubblichiamo sul sito una interessante riflessione di Bruno Moretto sul senso della recente sentenza della corte Costituzionale in merito al ricorso della regione Emilia Romagna contro alcuni commi della finanziaria. La sostanza del contendere è la divisione di competenze tra Stato e Regioni. Alcuni giornali hanno plaudito alla sentenza ingenerando un fraintendimento: infatti la bocciatura della Consulta non riguarda nè i tagli del Tempo Pieno nè la Riforma Moratti nei suoi contenuti, bensì i commi 3 e 4 della legge finanziaria del 2001, in merito alla suddivisione di poteri tra livello nazionale e livello locale... e questa sottolineatura della Consulta non ci avvicina agli obiettivi per cui ci battiamo da mesi!
Il CoordTempoPieno ha sempre lottato per affermare il diritto "nazionale"
di veder riconosciute e adeguatamente finanziate le sezioni di tempo pieno richieste da
genitori e insegnanti. La sentenza invece riconosce, sulla base di un federalismo che si
spinge oltre ai principi della Costituzione, una serie di competenze alle Regioni e
suffraga la prospettiva, davvero preoccupante, di 20 sistemi di istruzione regionali
collegati strettamente ai risultati elettorali locali. E' quindi evidente che, vista
in questa prospettiva, la recente sentenza non aiuta per nulla il nostro percorso di lotta
ma pone nuovi problemi nel difficile percorso verso una scuola pubblica di tutti e di
tutte.
Gianluca Gabrielli
La sentenza della Corte Costituzionale sul conflitto Stato
Regioni e la voglia di devolution in campo scolastico.
di Bruno Moretto, segretario del Comitato bolognese Scuola e Costituzione
La Corte Costituzionale con la sua sentenza n. 13, depositata il
13/01/2004, interviene sul contenzioso fra Lo Stato e Regione Emilia Romagna, che ha
impugnato i commi 3 e 4 dellart.22 della Legge finanziaria del 2001 (n. 448).
La Corte ha dichiarato lillegittimità della Legge "nella parte in cui non
prevede che la competenza del dirigente scolastico regionale venga meno quando le Regioni,
attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale
docente."
La Corte afferma che, in base alla riforma costituzionale del Titolo V, la ripartizione
del numero dei posti a livello regionale spetta alle Regioni e non agli Uffici scolastici
regionali, articolazione del Ministero dellIstruzione.
Nel contempo la Corte specifica che tale competenza, pur legittima, si potrà esplicitare
compiutamente solo quando "le singole Regioni si saranno dotate di una disciplina e
di un apparato istituzionale idoneo
" in modo da "evitare soluzioni di
continuità del servizio", visto che "alla erogazione del servizio scolastico
sono collegati diritti fondamentali della persona".
La stessa Corte ha respinto come manifestamente infondata la questione sollevata dalla
Regione sulla legittimità costituzionale del comma 4 dellart. 22 della L. 448/2001,
che interviene sullorario di lavoro dei docenti.
La sentenza non mette in discussione, anche perché non impugnata, lassoluta
competenza statale sui principi generali dellistruzione e quindi sulla legislazione
ordinamentale, sulla gestione del personale e sulla determinazione nazionale del numero
dei docenti ( di cui ai commi 1 e 2 della L. 448).
La regione Emilia Romagna ha dato della sentenza uninterpretazione
"rivoluzionaria" con diverse prese di posizione, che di volta in volta
accreditavano a se stessa competenze esclusive sulla gestione del personale, sulla
definizione degli indirizzi didattici e di una parte dei programmi, ecc
Linterpretazione forzata della sentenza da parte della Regione induce a due
importanti riflessioni:
Occorrerà aprire un dibattito serio sulla questione del regionalismo scolastico.
La recente indagine dellOCSE PISA ha evidenziato che gli studenti di tutti i paesi a
gestione regionale (ad esempio la Germania) ottengono risultati scarsi e soprattutto molto
diversificati, a seconda della provenienza sociale degli alunni.
Il grande merito della scuola italiana è proprio quello di essere di tutti e per tutti,
una scuola nella quale lo scarto nei risultati fra gli studenti migliori e peggiori é
sotto la media dei paesi più sviluppati.
Il tempo pieno è uno dei fiori allocchiello della scuola italiana: un modello
significativo di integrazione sociale e culturale proprio perché permette lo sviluppo
dellapprendimento con tempi distesi e si rivolge anche a fasce sociali di basso
livello culturale di partenza.
Per i bambini provenienti da un ambiente poco acculturato è più difficile raggiungere
certi livelli di apprendimento. Il movimento di lotta in difesa del tempo pieno è
consapevole di difendere non solo un modello di scuola, ma di società.
Questo movimento vuole affermare il modello del tempo pieno in tutta Italia, non solo in
alcune regioni.