COORDINAMENTO NAZIONALE IN DIFESA DEL TEMPO PIENO E PROLUNGATO
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Articolati motivi per la difesa delle compresenze

TEMPO PIENO, GRUPPO CLASSE E COMPRESENZA
(Bruna Sferra, maestra, Roma)

Lo smantellamento del Tempo Pieno, determinato dalla Legge n.53/03, ne ha probabilmente costituito anche la sua rivalutazione. Conquista delle lotte operaie della fine degli anni '60, istituzionalizzato con la Legge n.820 del 1971, agli occhi dei genitori e degli insegnanti di questo ventennio, prima che la Moratti facesse il suo ingresso, il Tempo Pieno era ormai un modo di fare scuola acquisito, consolidato e quasi scontato. Era considerato, probabilmente, parte dell'ossatura, se non proprio l'ossatura stessa, della scuola elementare italiana.
Concepire la scuola elementare senza il Tempo Pieno sembrava cosa impossibile, tanto che quando il nascente Coordinamento Nazionale in difesa del Tempo Pieno e Prolungato, cominciò, nel 2003, la sua campagna di controinformazione, la reazione più comune fu quella dell'incredulità. Poi, grazie ad un lavoro costante e capillare, di tutti i coordinamenti locali e cittadini che via via si venivano a formare, il mondo della scuola, e non solo, si è come risvegliato da un autentico torpore, ha finalmente capito il grave attacco che la scuola stava per subire e ha deciso di ribellarsi.
Scriveva nel 1973 Giovanni Alasia: "Il tempo pieno alle elementari è stato già nel 1969-70 un momento di lotta che ha visto impegnati gli operai di alcuni quartieri e i maestri più avanzati sul piano politico e didattico. La richiesta di tempo pieno serviva a coagulare e qualificare altre richieste che del tempo pieno erano le condizioni essenziali…..Alla Nino Coste (scuola elementare di Torino) si giunse anche all'occupazione quando il Provveditore , all'inizio del '70, non aveva concesso il numero di insegnanti sufficienti perché le classi potessero funzionare con 25 alunni."
In quegli anni ero una bambina e ovviamente non ho potuto respirare quell'aria di cambiamento e non ho potuto vivere quegli incredibili momenti di grande crescita culturale e politica. Penso che non possano essere paragonati al fenomeno del movimento, nato oggi, contro la Riforma Moratti. Il contesto storico-politico è completamente diverso e le realtà sociali anche.
In ogni caso, avere la consapevolezza che, dopo 30 anni, migliaia di persone, soprattutto genitori, sono di nuovo scese in piazza, hanno occupato scuole e hanno comunque impegnato il proprio tempo in riunioni, assemblee e ogni altro tipo di attività che servisse per contrastare la Riforma Moratti, fa comunque bene al cuore!
I genitori e il personale della scuola si sono dovuti fermare a riflettere e a valutare cosa il Tempo Pieno ha offerto, in questi trent'anni, alle bambine e ai bambini tutti.
Il risultato che ne è scaturito dal confronto, dalla discussione e dalla condivisione di princìpi basilari è stato sorprendente: anche i "non addetti ai lavori" o i genitori generalmente meno sensibili hanno compreso il valore pedagogico di un'organizzazione scolastica come quella del Tempo Pieno.
È ormai diventato patrimonio comune considerare Il Tempo Pieno un modello di scuola che , anche grazie ai suoi tempi distesi, rende possibile:

- una maggiore omogeneità di stimoli e strumenti culturali da fornire agli alunni le cui condizioni socio-familiari sono invece caratterizzate da netti dislivelli;
- una didattica che renda possibile l'insegnamento individualizzato affinché ciascuno possa operare con ritmo personale e/o si possano affrontare particolari problemi di recupero e di approfondimento;
- costruire significativi rapporti sociali e affettivi che costituiscono la base di tutto l'apprendimento;
- una reale motivazione all'apprendimento che passi attraverso attività ludiche, espressive e creative ed esperienze di tipo scientifico.
Questi quattro punti sono indissolubilmente legati l'uno all'altro, una buona scuola non può rinunciare a nessuno di essi anche perché gli altri diventerebbero impraticabili e sarebbero destinati al fallimento.
Come è possibile creare e stabilire significativi rapporti, privi di autoritarismo, tra insegnante e discente o pensare di curare la socializzazione tra coetanei se viene a mancare il rispetto della personalità e delle diversità che caratterizzano ogni singolo alunno?
Come è possibile pretendere di rispettare i tempi d'apprendimento dei bambini se non gli si offre la possibilità di agire le proprie esperienze attraverso il gioco e la comunicazione, senza trascurare nessun tipo di codice poiché sono tra loro complementari?
Come è possibile offrire a tutti gli alunni gli stessi stimoli senza prevedere una individualizzazione della didattica mirante al raggiungimento dello stesso sapere per mezzo di strategie e metodologie diverse?
Come è possibile pensare alla formazione dell'individuo ignorando che il pieno sviluppo della persona si realizza, laddove sia necessario (e sappiamo che lo è sempre di più), anche con interventi di decondizionamento sistematici e intenzionali?
L'uomo è una struttura unitaria e dinamica e la sua integrazione sociale si realizza attraverso l'azione combinata di tutte le componenti costituzionali della personalità: somatiche, affettive-emozionali, intellettive.
La scuola, se vuole farsi promotrice di cultura, deve porre come prima e fondamentale condizione di partenza l'uguaglianza delle opportunità.
In realtà questa strada era stata intrapresa…
Dopo l'istituzione del Tempo Pieno, è stata la Legge n.517 del 1977 a dare un'ulteriore svolta al sistema scolastico. La L.517 aboliva il voto di profitto e di condotta; introduceva le attività "integrative" allo scopo di realizzare interventi individualizzati; aboliva le classi differenziali e inseriva gli alunni portatori di handicap nelle classi comuni; trasferiva la scelta degli obiettivi didattici ed educativi dagli organi politico-amministrativi centrali a quelli di gestione democratica della scuola (Programmazione).
I Programmi del 1985 (da considerare tuttora in vigore poiché le Indicazioni Nazionali allegate al Decreto non sono ancora legge) hanno poi dato un contributo sostanziale per la definizione di una scelta politica in favore di una scuola elementare organizzata in modo da poter offrire una "prestazione efficace", fruibile da tutti gli alunni, qualunque sia il tipo e il grado della loro "diversità".
Sulla base di questi princìpi, una condizione importante per la realizzazione del diritto allo studio, che è poi diritto all'apprendimento, è la possibilità per gli insegnanti di organizzare il proprio lavoro grazie all'utilizzo di ore di compresenza. Il Tempo Pieno ne prevede quattro settimanali ma la Legge n.53/03, con il suo modello di scuola 27+3+10, ha cancellato tale possibilità.
Disagio, svantaggio, handicap, insuccesso, dispersione. E di risposta: decondizionamento, insegnamento individualizzato, lavoro di gruppo, attività creative ludico-espressive, recupero, successo. Parole ormai consuete nel mondo della scuola, che comportano una messa in atto di procedure che non possono esimersi dal lavoro svolto durante le ore di compresenza.
Scrive Marco Rossi Doria a proposito di dispersione:…si può compiere la scelta di partire dalle competenze esistenti, per esempio quelle incentrate sulla manualità o sul canto o sulla danza o sullo sport o sull’uso della telecamera per costruire e poi manipolare immagini decise attivamente anziché subite solamente. Da queste e molte altre possibili cose si può partire per poi arrivare alle competenze richieste per lo scrivere, leggere e far di conto. Ma intanto si sono iniziate a costruire altre competenze, quali quelle del corpo, della manualità, della multimedialità, che, come è nel mondo contemporaneo, estendono la capacità di presenza e di comunicazione dei ragazzi ben oltre il modello trasmissivo verbale tradizionale…
Credo che questo modo di intendere il fare scuola possa essere un'ottima risposta ai problemi legati ad ogni forma di disagio e credo che nella scuola tali esperienze vadano condivise con i propri insegnanti e compagni di classe con cui si è stabilita una relazione affettiva. L'affettività è un elemento fondamentale della personalità e non va mai scissa dall'area cognitiva. Per questo va mantenuto il valore pedagogico del gruppo-classe", in quanto la sua scomposizione, citando Massimo Bontempelli; "moltiplica i problemi logistici di una scuola, senza altro risultato che quello di indebolire un punto di riferimento psicologico essenziale per la socializzazione degli allievi adolescenti e preadolescenti, quale è sempre stata la classe come comunità, anche nel suo legame con la fisicità di un'aula".
È dentro il gruppo- classe che si sviluppa la dimensione relazionale-emotiva ed è in essa che Gioachinpaolo Tortorici invita a porre l'attenzione nel programmare interventi di prevenzione e contrasto verso i principali fattori di rischio che causano i fenomeni del disagio, dell'aggressività e della violenza. Il Tortorici riconosce che tale dimensione "permea la quotidianità dei processi educativi e che comunque esercita una precisa influenza sugli alunni in termini di atteggiamenti, di motivazioni, di modalità relazionali, di immagine di sé e di percezione dell'autostima".
Bisogna fare molta attenzione, quindi, a tutti quei tentativi di smembramento, iniziati con la legge Bassanini, la relativa autonomia organizzativa e didattica e la didattica modulare, e terminati con la controriforma Moratti, i suoi laboratori (LARS) e le attività opzionali. Il CNPI stesso nell'esprimere il suo parere nei confronti della Riforma afferma: "... non si condivide il fatto che, nelle Indicazioni Nazionali, la personalizzazione venga presentata come una risposta data dalla scuola all'individuo. Ciò comporterebbe un insegnamento personalizzato, con una diversificazione dei percorsi e dei risultati e la relativa costruzione di laboratori di recupero e sviluppo, i quali farebbero pensare ad un ritorno alle "classi differenziali".
Difendiamo quindi la classe e la compresenza tra docenti.
La compresenza, oltre che favorire la gestione degli alunni in tutte quelle attività che non sono svolte "seduti al banco", dà la possibilità di organizzare piccoli gruppi di lavoro, di realizzare interventi individualizzati, di porre maggiore attenzione al singolo, di gestire in ogni caso in modo più agevole la vita della classe stessa.
Attraverso le ore di compresenza, è quindi possibile la realizzazione dei laboratori, cioè di quei luoghi vivi dell’ordinarietà del fare scuola, ambienti in cui si mettono alla prova ipotesi, si costruiscono percorsi, in cui siano congruenti progetto e gestione del gruppo che apprende. Quindi assolutamente non intesi, come vuole il Ministro Moratti, come aule speciali in cui si esplicano progetti straordinari ed aggiuntivi e in cui i gruppi operano per livelli di competenza.
Per un singolo insegnante, praticare alcune attività con l'intero gruppo classe è molto complesso. Mi riferisco, per esempio, alle attività manipolative per il controllo della motricità fine, per la coordinazione oculo-manuale, e non meno importante, per lo sviluppo della creatività espressiva utile alla rimozione delle difficoltà comunicative. Oppure alla drammatizzazione, essenziale anch'essa per il superamento di tutti i problemi legati alla comunicazione verbale; o ancora ai giochi sensoriali e alle attività psicomotorie propedeutici all'apprendimento della lettura, della scrittura e della matematica. Inoltre, gli alunni, divisi per gruppi, possono più agevolmente realizzare lavori di approfondimento, di ricerca, di osservazione e sperimentare in modo diverso la relazione con i compagni.

La moderna pedagogia suggerisce di giungere allo stesso sapere attraverso approcci diversi, secondo le diverse capacità. Tutto ciò è realizzabile grazie all'insegnamento individualizzato poiché può tenere conto dei ritmi di lavoro e dei tempi di apprendimento propri di ogni alunno.
Il principio didattico della individuazione è valido per tutti gli alunni, ma lo è, a maggior ragione, per tutti quelli svantaggiati o portatori di handicap, che hanno difficoltà ad adattarsi al contenuto delle richieste scolastiche. L'individuazione dell'insegnamento è quindi la regola principe per il recupero, e secondo le idee del Bloom, il quale ha espletato serie ricerche sull'individualizzazione dell'insegnamento, esso ha successo se tiene conto delle reali condizioni iniziali dell'alunno e, insieme, dei caratteri e delle esigenze dell'apprendimento successivo. L'insegnamento individualizzato presuppone quindi un percorso differenziato, altamente stimolante, tanto più praticabile quanto più l'alunno potrà ricevere l'attenzione del docente spesso in un, non rinunciabile, rapporto di uno a uno. Risulta evidente di quanto si renda necessario, in questi frangenti, la contemporaneità di più insegnanti in una stessa classe.

Se si pensa alla scuola come luogo di educazione le ore nelle quali i docenti si trovano in compresenza sono indispensabili.
Scrive il Piaget: "l'educazione non è soltanto una formazione, ma una condizione formatrice necessaria allo sviluppo naturale stesso.(…) affermare il diritto della persona umana all'educazione significa assumersi una responsabilità molto più gravosa che non assicurare a ciascuno l'acquisizione della lettura, della scrittura o del calcolo; significa veramente garantire a ciascun bambino l'intero sviluppo delle sue funzioni mentali e l'acquisizione delle conoscenze, come pure dei valori morali che corrispondono all'esercizio di queste funzioni, fino all'adattamento della vita sociale attuale (…). In una parola, l'evoluzione interna dell'individuo fornisce soltanto un numero più o meno grande di abbozzi suscettibili di essere sviluppati, distrutti o lasciati ad uno stadio incompleto. Il diritto all'educazione è dunque, né più né meno, il diritto dell'individuo a svilupparsi normalmente, in funzione delle possibilità di cui dispone, e l'obbligo, per la società, di trasformare queste possibilità in realizzazioni effettive e utili".