L’ISTRUZIONE IN CARCERE: NORME E REALTA’. Inizio
la stesura di questa voce con un ‘furto’:“rubo” infatti
letteralmente il titolo a quello scelto dai miei alunni “ristretti”
nel carcere di Rebibbia per l’apertura del numero zero della rivista “
Fuori-classe. Carceri in rete” (un periodico di informazione e cultura
della sezione tecnica dell’IIS “J.von Neumann” di Roma, operante
nella sezione penale e giudiziaria del carcere romano). Una rivista fortemente
voluta da un gruppo di insegnanti che operano da alcuni anni a Rebibbia - per
dare ‘significato’ a questa esperienza tanto particolare dell’insegnamento
in carcere - e da un gruppo di studenti che volevano “lasciare traccia”,
fare della propria esperienza qualcosa di utile anche per coloro che –
purtroppo - verranno dopo, ma che in questa rivista, come in tutte le altre
già esistenti nelle carceri italiane, potranno trovare un punto di riferimento.
Le prime tracce di un diritto all’istruzione come attività obbligatoria
tesa alla “rieducazione” dei detenuti è contenuta nel “Regolamento
generale degli stabilimenti carcerari”del 1891 e da allora, passando anche
attraverso il fascismo, con il “Regolamento carcerario” del 1931,
l’istruzione viene considerata mezzo per recuperare i reclusi ai valori
sociali comuni. La Costituzione non fa eccezione e stabilisce, nell’art
27, che le pene devono “tendere alla rieducazione del condannato”,
mentre nell’art 34 afferma che “l’istruzione inferiore è
obbligatoria e gratuita”, guardando alla scuola non più come a
un fatto coercitivo, ma come a un elemento di promozione sociale. All’alba
degli anni Sessanta l’istituzione effettiva di scuole elementari carcerarie
viene vista ancora come contributo “all’educazione e redenzione
sociale e civile” (L.503/58) e si può accedere all’insegnamento
attraverso ruoli transitori speciali, che vengono però soppressi nel
1972, in quanto si ritiene che non “speciali” debbano essere tali
ruoli, ma “ordinari” e che gli stessi programmi debbano seguire
quelli ministeriali previsti per le scuole pubbliche (L. 354/75 “Norme
sull’Ordinamento penitenziario; CM del 14 luglio 1976). Non è un
caso che proprio negli anni Settanta si faccia avanti un nuovo concetto di istruzione
carceraria, intesa come risocializzazione positiva del detenuto in vista del
suo reinserimento nella società, insieme al lavoro, alla partecipazione
ad attività culturali, religiose, ricreative e sportive. Accanto ai corsi
di alfabetizzazione, assimilati ai corsi per adulti che si tengono nelle scuole
pubbliche e ne prevedono le stesse condizioni per sostenere gli esami, viene
peraltro riconosciuto il diritto di istituire scuole di istruzione secondaria
di secondo grado negli istituti di pena e viene agevolato il compimento dei
corsi degli studi universitari (art.19 L.354/1975).
Le direttive successive, dalla Legge Gozzini (L.663/1986) alla legge Smuraglia
(L.193/2000), dalla CM 253 dell’agosto1993 al DPR 230/2000 non sono altro
(rispetto all’istruzione negli istituti penitenziari) che una riedizione
della normativa precedente e nessun passo ulteriore in avanti è stato
più fatto nella riconsiderazione del diritto allo studio come diritto
eguale per tutti e da tutti esigibile, indipendentemente dal trattamento rieducativo
intrapreso dal singolo ristretto. Un diritto che non dovrebbe essere sottoposto
alla discrezionalità dell’amministrazione carceraria, ma frubile,
indipendentemente da qualunque carattere ‘premiale’, da tutti coloro
che ne fanno richiesta, così come obbligatoria dovrebbe essere l’istituzione
delle classi indipendentemente dal numero minimo per la formazone delle classi
stesse (in realtà non è formalmente prevista alcuna deroga alla
norma generale, ma semplicemente concessa - e non sempre - ‘per gratia
et amore dei’, dall’ amministrazione scolastica).
Questi i dati, oltre i dati una realtà difficile, anche per la semplice
applicazione di diritti sanciti (si pensi solo al fatto che l’attuale
corso di studi della sezione tecnica dell’ Istituto Neumann - nel quale
mi trovo ad operare dal settembre del 1997 - è stato istituito dall’ITC
“Gaetano Martino”nel 1986 ed è stato il secondo d’Italia,
il primo è stato quello del carcere di Alessandria, a più di dieci
anni dalla norma che ne prevedeva l’attuazione). Spesso, tra l’altro,
si riesce ad ottenere ciò che sarebbe normativamente previsto o perché
il risultato costituisce un’utile “vetrina” o per “pietismo”
più che perché si persegua una coerente politica del diritto dei
detenuti ad avere comunque una vita dignitosa anche in carcere .Quando si parla
di carcere è infatti difficile non percorrere la lunga strada della retorica
del recupero del disagio attraverso la buona azione volontaristica di pochi
che spendono il proprio tempo per rendere meno gravosa la condizione della carcerazione.
Il senso dell’insegnamento in carcere dovrebbe invece essere quello di
fornire strumenti di analisi e di indagine, momenti di riflessione e di confronto
tra punti di vista differenti, in relazione ad una condizione che costituisce
un buco nero, una voragine infernale da indagare anche attraverso gli strumenti
propri dell’esperienza scolastica carceraria. Una modalità strettamente
legata al ‘fare’ proprio della scuola, nella consapevolezza dell’importanza
che la cultura e l’istruzione hanno nella vita di un individuo. In realtà,
di fronte ad una popolazione detenuta che ha alle proprie spalle (nel 90% dei
casi) un percorso scolastico difficile, costellato da abbandoni precoci, disaffezione
totale, semianalfabetismo e che al posto della scuola ha avuto agenzie formative
da deriva televisiva, l’esperienza dell’insegnamento in carcere
dimostra sempre più l’importanza e l’urgente necessità
(contro il dilagare di una concezione aziendalistica della scuola e il tentativo
di mercificare l’istruzione) di dare a tutti gli studenti più cultura
e non semplicemente “più addestramento al lavoro”. Certo,
la nostra rimane una scuola segnata dal carcere, istituzione forte, dalle grandi
ombre e dalle poche luci, nella quale spesso tutti sono lasciati soli a risolvere
problemi che dovrebbero invece essere risolti in modo sinergico, attraverso
quel confronto costante che elimini la sgradevole sensazione della solitudine
della propria condizione, che metta in rete e ponga a confronto problemi che
a volte sono problemi di semplice, drammatica sopravvivenza.
Bibliografia e riferimenti normativi
- Lucia Scarcia Breve storia della scuola in carcere
in "Ristretti Orizzonti", Rivista del carcere di Padova, ripresa anche
da “Fuori-classe. Carceri in rete”, Periodico di informazione e
cultura della sez.tecnica della casa Circondariale di Rebibbia dell’IIS
“J. Von Neumann” di Roma.
- Monia Coralli “ L’altro diritto”, Università di Bologna
- Regolamento generale degli stabilimenti carcerari-1891-art.23
- L.354/1975 “Norme sull’Ordinamento Penitenziario”e successive
modificazioni e integrazioni contenute nelle Leggi: 663/1986 (Gozzini); 296/1993;
193/2000 (Smuraglia)
- CM 14 luglio 1976-CM 253/93
- DPR 230/2000
Vedi anche: educazione,