DARWIN / EVOLUZIONE
Marcello Sala ha insegnato nella scuola superiore

Galileo sosteneva che la Terra gira attorno al Sole, la Chiesa di Roma che il Sole gira attorno alla Terra.
La cosa interessante è che tutta la vicenda di Galileo, costretto ad abiurare con la minaccia della tortura, co-sì emblematica dal punto di vista storico, culturale e politico, non sarebbe cambiata se, nel merito, le due opinioni fossero invertite. Basta infatti domandarsi “quale delle due teorie è più (o meno) compatibile con la credenza in un Dio creatore?” per rendersi conto della totale non pertinenza della questione (del resto Gali-leo, credente, intendeva dare maggior vigore alla Chiesa ponendo a sua disposizione una teoria più vera, cioè più adeguata come spiegazione della realtà, e la Chiesa di Roma ne converrà, benché tre secoli e mez-zo dopo).
Credere in un Dio creatore ha molto a che fare con la vita intellettuale (lo testimonia il linguaggio con cui i grandi pensatori medioevali scrivono delle “prove” dell’esistenza di Dio); con la vita umana nella sua interez-za e pregnanza esistenziale ha molto più a che fare la possibilità, che passa attraverso la fede nella resurrezione del Cristo, di dare una soluzione al problema finale e irrisolto dell’umanità, quello della morte. Rispetto a questo ancor meno pertinente appare la differenza tra le due teorie astronomiche. Tuttavia per gli uomini del tempo di Galileo dalla scelta di una teoria astronomica dipendeva la permanenza all’interno della comunità della Chiesa Cattolica (e, in alcuni casi, la sopravvivenza fisica).
Newton e Leibniz, quasi un secolo dopo Galileo, furono protagonisti di un’altra disputa attorno all’ordine na-turale: se il mondo è testimonianza dell’opera di un artefice divino, ci si domanda se esso opera intervenen-do continuamente e dovunque a regolare il meccanismo o se una volta per tutte esso incorpori nel meccani-smo le “leggi” del suo funzionamento. Rispetto alla struttura del sistema solare questa disputa è di ben più vasta portata e soprattutto si riferisce in modo esplicito alle funzioni del Creatore. Eppure in questo caso tracce della disputa le ritroviamo solo nei libri di storia della filosofia. Perché la Chiesa Cattolica non minac-ciò di tortura nessuno dei due protagonisti? aveva forse perso quella capacità di riconoscere l’eresia nelle teorie scientifiche che le aveva permesso di scegliere con tanta sicurezza tra Tolomeo e Copernico? era en-trato in crisi il suo criterio di “verità”? Oppure era diverso il contesto politico di questa dicotomia culturale?
Appare evidente che il nesso tra fede religiosa e teorie scientifiche non trova spiegazione nel loro merito co-gnitivo, ma in relazioni di potere storicamente determinate.
Nel caso di Darwin la questione si ripropone. Non è in discussione se Dio abbia o no creato il mondo, né tanto meno (lo ribadisco perché dal punto di vista antropologico questo sarebbe il nodo religioso) se Cristo con la sua resurrezione dà una risposta al Problema della morte. Darwin si occupa di come funziona l’ordine del mondo vivente, ovvero, se ci teniamo a questa terminologia, si occupa di dare un contenuto ad una pa-rola come “creazione”.
La dicotomia tra “creazionisti” ed “evoluzionisti” sembra avere una notevole rilevanza nella Storia, quella in cui la relazione tra cultura e politica condiziona la vita delle popolazioni umane. Il punto è che ne ha ben po-ca nel contesto da cui si è soliti pensare che provenga.
Tra i biologi la grande questione oggetto di dibattito è se l’origine dell’ordine sia da cercarsi nell’adattamento dell’organismo all’ambiente (la funzione determina la forma) o nei vincoli interni (la forma condiziona la fun-zione). Potrebbe essere interessante valutare la differenza tra le varie teorie dal punto di vista della cultura religiosa (magari delle varie religioni storiche oltre che di quella Cattolica), ma difficilmente questa ricerca coinvolgerebbe i biologi. Tra i “funzionalisti” che attribuiscono l’ordine essenzialmente all’adattamento tro-viamo tanto Darwin quanto il capofila dei suoi avversari “creazionisti”, William Paley (per il quale l’adattamento era la migliore testimonianza della sapienza del Creatore). Gli schieramenti rispetto a questa questione fondamentale, che si può etichettare come “funzionalismo/strutturalismo”, attraversano il campo degli anti-evoluzionisti o pre-evoluzionisti tanto quanto quello degli evoluzionisti, e arriva ai giorni nostri.
Dunque, se la contraddizione creazionismo/evoluzionismo non ha rilevanza là dove dovrebbe nascere, e cioè nel merito delle teorie sulla origine e sul dispiegarsi nel tempo dell’ordine della natura, significa che la vera ragione della permanenza ed estensione di tale contraddizione nello spazio della comunicazione me-diatica sta altrove: nella relazione tra cultura e politica e nelle relazioni di potere all’interno della società.
Se qualcuno vuole fare di Darwin un pretesto, la cosa migliore da fare, dal punto di vista di un’ecologia della cultura, è quello di difendere la possibilità di farne un testo, un oggetto da studiare e discutere nel merito. Ne va della sopravvivenza del pensiero critico, che è indispensabile alla sopravvivenza dell’Umanità.
Il luogo primario dove ciò può accadere è naturalmente la scuola. Si dice però che la teoria dell’evoluzione sarebbe inaccessibile alle capacità di comprensione dei bambini della scuola primaria. È evidente che que-sta idea può essere funzionale alla strategia politica di cui sopra, ma a me interessa discuterla nel merito.
Anche il gioco del nascondino può essere inaccessibile, persino per la maggioranza degli adulti scolarizzati, se vi si accede attraverso la lettura di una tesi su “la struttura nomotetica del gioco del nascondino attraverso l’esegesi della sua variazione storico-geografica”. L’accessibilità dipende dal livello di approfondimento, dal contesto disciplinare e quindi linguistico, oltre che dall’intenzionalità formativa.
Ma la gerarchia dei livelli non corrisponde ad una scala di qualità, che anzi è ortogonale ad essa. Me lo di-mostra il confronto tra la lettura di ciò che trovo scritto sull’evoluzione in contesti che si presentano come “pedagogici” e ciò che mi viene dalle conversazioni di bambini della scuola elementare.
È interessante quello che emerge dalle conversazioni dei bambini purché si verifichino due condizioni: a) che l’ascolto parta dal presupposto che i bambini siano rappresentanti di una cultura i cui significati non ci appartengono e che vogliamo capire (una specie di osservazione etnografica) e b) che ascoltiamo in conte-sti in cui i bambini co-costruiscono spontaneamente le loro conoscenze a partire dal riferimento alla realtà e dal bagno di linguaggio (e di informazioni) in cui sono immersi, contesti di apprendimento auto-organizzato (l’adulto garantisce le condizioni della conversazione, ma non vi entra dicendo la sua nel merito).
Un primo esempio mi viene da bambini di sei anni:
INSEGNANTE: Prima l’aria o prima noi?
MATTEO – Prima l’aria e poi noi.
NADIA – No, guarda che Gesù prima ha creato gli animali, poi le scimmie, poi i babbuini e poi siamo venuti noi…
INSEGNANTE – Ma se non veniva l’aria, dice Matteo, non potevano esserci gli animali…
MATTEO – Perché, prima che esistevamo noi, ha creato i dinosauri qui, che poi ci sono le ossa.
Dunque i bambini, quando provano a spiegare come avverrebbe la creazione (qualunque cosa significhi per loro questo termine) manifestano un pensiero evolutivo, nel senso di una dimensione di sviluppo storico, di un ordinamento nel tempo.
La discriminante introdotta da Darwin, il punto di discontinuità epistemologica, è la dimensione storica: la va-rietà dei viventi e la loro trasformazione è un prodotto della storia. Ma è stata proprio la cultura giudaico-cristiana, a partire dalla Bibbia, a introdurre la storia, successione di irreversibile di eventi, come struttura fondamentale nel rapporto tra uomo e Dio.
In una terza elementare discutono di evoluzione bambini che non hanno mai “studiato” l’argomento a scuola e si portano da casa informazioni ricavate da trasmissioni televisive, videocassette e pubblicazioni.
Posso riportare qui solo alcuni punti significativi, come la fondamentale distinzione di livello tra organismo e specie:
LEONARDO - Filippo ha ragione: da bambino diventi adulto e cresci, quando ti evolvi cambi specie, cambia la specie degli uomini, come l’australopiteco e poi il sapiens, la specie uomo.
MARCO - Crescita ed evoluzione sono due cose diverse, se no perché hanno inventato due parole, se fossero la stessa cosa; e poi quando cresci, va beh, diventi più alto - che ne so?- però il nome non lo cambi e dopo muori ed è una cosa tua, invece l’evoluzione riguarda tutti gli esseri viventi.
Ancora:
AKIRA - Noi siamo una specie evoluta, una specie umana, come ha detto Marco… se non si era evoluta la Ter-ra, non c’eravamo noi: da quand’era incandescente si è dovuta evolvere e siamo arrivati noi.
C’è qui l’idea di una continuità tra storia della Terra e storia umana e della fondamentale unità della vita, ma anche la consapevolezza della contingenza della storia e della stessa presenza della specie umana :
LEO - Io non sono d’accordo con Nicolò: la Terra forse si è freddata per un caso.
MAESTRA - Tu dici che nell’evoluzione c’entra il caso?
AKIRA - Io sono d’accordo con Leo: è un caso; poteva raffreddarsi in altri modi, quando c’è stato il terremoto che ha fatto raffreddare tutto era un evento, cioè per caso.
Il riferimento al caso significa possibilità e imprevedibilità:
LEO - Potevamo evolverci in una maniera tale che potevamo vivere nel fuoco.
LEONARDO - Può darsi che ci evolviamo ancora, in certi casi ci evolviamo.
AKIRA - Non è che c’è una specie di uomo e poi è finita la vita dell’uomo: per adesso dal primo essere vivente c’è stata la vita fino a qui, adesso possiamo diventare - che ne so?- elettronici, robot… però quello anco-ra non è successo; allora per evolversi tocca aspettare del tempo.
In questa conversazione i bambini incontrano il paradosso del cambiamento: il soggetto di un cambiamento cesserebbe di essere quel soggetto, di esistere nella sua identità. L’espressione “diventare un altro” è para-dossale, sia riferita all’individuo sia alla specie (“quando ti evolvi diventi sempre altre cose”, “nell’evoluzione diventa un’altra persona, non è sempre… non ha lo stesso nome, cambia, con l’evoluzione non è la stessa persona”, “l’evoluzione è così: una specie diventa un’altra”, “Ma un rinoceronte non si può evolvere in un pappagallo!” - “No: ti evolvi in una cosa che non esiste ancora”). Su questo percorso i bambini poi incontrano la morte come elemento chiave dell’evoluzione (e quindi della vita) e arrivano a comprendere il ruolo della morte degli individui per la vita della specie (“un giorno moriremo e nascerà un’altra cosa”); questo li porta a riformulare una descrizione del fenomeno (“… la crescita è che cresci, l’evoluzione è che cambi di persona, muore uno e quello che rinasce è un po’ diverso”) che permette di uscire dal paradosso: l’evoluzione è un cambiamento che si sviluppa tra una ge-nerazione e la successiva di individui viventi.
Dunque, riassumendo, attorno all’evoluzione i bambini elaborano spontaneamente una conoscenza che comprende le seguenti idee: distinzione di livello tra organismo individuale e specie, continuità tra storia della Terra e storia umana, contingenza, possibilità e imprevedibilità, paradosso dell’identità e del cambia-mento, cambiamento che si sviluppa tra una generazione e la successiva di individui viventi.
Una articolazione e profondità di idee sufficienti a convincermi che i bambini della scuola elementare sono in grado di affrontare lo studio dell’evoluzione.

Vedi anche: storia