L’economia aziendale si insegna negli Istituti tecnici
commerciali e in alcuni istituti professionali per il commercio e per il turismo
e nasce dalla fusione di due discipline Ragioneria e Tecnica commerciale e bancaria.
È una delle tre i (impresa), con inglese e informatica, sulle quali si
è fondata la campagna elettorale sulla scuola della CdL .
Per l’importanza che riveste come insegnamento fondamentale e professionalizzante
dei corsi di studi tradizionali e nei corsi Igea (indirizzo giuridico aziendale)
e per ragionieri programmatori dispone di un grande numero di ore di lezione
(dalle due ore nel biennio alle undici ore settimanali nelle classi quinte programmatori).
Al contrario, quindi, di chi sosteneva la necessità di un potenziamento,
le esigenze di intervento non sono mai state in ordine alla quantità.
Negli ultimi anni si sono andate sempre più accentuando una perdita di
interesse per la disciplina da parte degli studenti e conseguenti difficoltà
da parte dei docenti. (Sarebbe interessante avere i dati sulle percentuali dei
debiti e delle bocciature relative ad ogni disciplina). Le ragioni della diffusa
demotivazione sono tante; alcune investono la scuola nel suo complesso, altre
gli Istituti tecnici in particolare. Questo tipo di scuola ha di fatto perso
il valore professionalizzante (v. riforma universitaria) ) che la caratterizzava
e dunque anche a causa di ciò - ma qui le ragioni andrebbero analizzate
all’interno dei più ampi cambiamenti sociali - i diplomati ragionieri
hanno perduto la prospettiva di un lavoro definito e la speranza di mobilità
sociale.
La demotivazione allo studio dell’E.A. si iscrive, dunque, in problematiche
che riguardano la trasformazione della società italiana, prime tra tutte
l’incertezza e la precarietà del lavoro, ma è favorita anche
dalle modalità, dai contenuti, e dall’organizzazione dell’insegnamento.
Il programma ministeriale è vasto e riguarda materie in continua evoluzione:
dalla struttura del sistema economico all’attività economica dell’impresa,
dal sistema tributario e i connessi adempimenti, alle società per azioni,
alle aziende industriali, al sistema finanziario, all’organizzazione del
lavoro, dalla contabilità all’analisi dei bilanci e altro ancora.
Il ministero non ha mai provveduto a istituire seri interventi di aggiornamento
e i docenti hanno sempre dovuto far fronte alla mole di innovazioni (si pensi
solo ai cambiamenti del sistema fiscale) attingendo alla propria iniziativa
affidandosi spesso e volentieri alle revisioni apportate dai libri di testo
e ai contributi (pochi) delle associazioni professionali e delle case editrici.
Il risultato di tali modalità di aggiornamento è che i contenuti
oggetto della disciplina, l’ottica dalla quale gli stessi vengono analizzati
e i modelli economici di riferimento non sono mai stati dibattuti all’interno
della classe docente né confrontati con quanto emerge dagli studi economici
più recenti, ma, come congelati, vengono riproposti anno dopo anno al
di fuori di ogni contestualizzazione storica e politica. In definitiva non è
mai stato proposto o realizzato un serio approfondimento di natura epistemologica.
Agli studenti viene presentato un sistema economico come dato e immodificabile,
costruito su un “pensiero unico”, che solo incidentalmente avrà
a che fare con la loro vita e le cui “disfunzioni” sono di volta
in volta attribuite alla responsabilità personale, (raramente alle incapacità
manageriali), alla corruttela politica, agli interessi corporativi dei sindacati.
Si immiserisce da un lato un campo della conoscenza ricco di prospettive di
cambiamento e dall’altro si contribuisce a determinare l’atteggiamento
di qualunquismo, di sfiducia, di insensibilità sociale che poi viene
rimproverato agli stessi giovani che frequentano questo tipo di scuole.
Altro punto che determina difficoltà e disaffezione è la didattica
che in alcuni istituti è ancora formalizzata nella tenuta della contabilità
a mano della Partita Doppia: mancano le risorse necessarie all’allestimento
dei laboratori di computer, si diffida dei pacchetti applicativi e, anche in
questo caso, manca l’aggiornamento per i docenti. Allo sforzo quotidiano
degli insegnanti nel proporre, analizzare, rilevare, correggere sul libro-giornale
in PD i mille casi riguardanti i fatti della gestione aziendale, corrispondono
le incomprensioni, le frenate, le riottosità degli studenti che vagamente
intuiscono di essere rimasti forse i soli al mondo a portare avanti un simile
esercizio. Alcuni docenti avvertendo questa situazione come insostenibile riservano
spazio alla comprensione della contabilità solo per quanto riguarda le
tecniche di base e sperimentano per il resto percorsi di insegnamento-apprendimento
basati su metodi didattici più coinvolgenti quali ad esempio lo studio
dei casi, il gruppo di lavoro, il problem solving, il confronto con le realtà
economiche del loro territorio.
Sui contenuti si pone attenzione ai contesti, si propongono temi che aprono
a visioni molteplici della realtà economica, che vanno a indagare sul
rapporto tra etica e impresa e finanza, sui fini sociali dell’impresa,
sul capitale umano e i beni relazionali. Assieme agli studenti ci si interroga
sugli sviluppi del settore no profit, delle cooperative sociali, si discute
sulle critiche all’economicismo, sul concetto di crescita, sul Pil come
unico strumento di misurazione del benessere di una società; si elaborano
domande che non hanno risposte preconfezionate. Chi affronta questo tipo di
lavoro lo fa ancora una volta in solitudine non potendo neanche più contare
sulla gratificazione che viene dal poter seguire anno dopo anno i cambiamenti
e la crescita intellettuale delle ragazze e dei ragazzi che gli sono stati affidati.
Infatti la riconduzione a 18 ore ha di fatto azzerato l’importanza della
continuità didattica perché - come è stato recentemente
risposto alle mie rimostranze per una mia classe assegnata ad altro docente
- “non contano né competenza né didattica, contano solamente
i numeri”.
Vedi anche: precario/a-precarizzazione