INTERCULTURA
Luigina Perosa, insegnante elementare, Pordenone
Quello di intercultura è ancora un concetto poco esplorato
e che sicuramente non credo di saper definire io. E’ un termine però
ambiguo, che rimanda nella maggior parte dei casi, a un’idea di “cultura”
come qualcosa di dato, di immutabile, di perfettamente delimitabile e che determina
i comportamenti di chi vi appartiene; rimanda a rivendicazioni identitarie,
a volte nazionalistiche, ad appartenenze che comunque differenziano e collocano
gli individui in quel certo posto nella divisione del lavoro, della ricchezza,
della società, del mondo.
Non vi sono culture date, descrivibili con generalizzazioni e con confini netti
e tracciati una volta per tutte; credo invece che le culture siano da sempre
meticce, dinamiche perchè continuamente rinegoziate, in divenire perché
fatte da persone, da individui concreti che vivono, pensano, si spostano, sperimentano,
si relazionano, apprendono…
In quest’ottica, non posso considerare di certo, come quasi sempre viene
fatto, l’”intercultura ponte tra le culture”, ma anzi, proprio
l’educazione interculturale può diventare un percorso formidabile
di decostruzione delle culture, la propria e quella altra. E’ in questa
direzione che credo fortemente che si debba lavorare anche nella scuola.
Educazione interculturale intesa però non come nuova disciplina didattica,
ma come atteggiamento e pratica trasversalei sottesi alle varie relazionalità
e attività, dovuta a tutte e tutti allo stesso modo, proprio perché
ogni bambina e ogni bambino sono unici ed irripetibili, tutti bambini, tutti
cittadini.
Per educazione interculturale intendo quindi un percorso complessivo, personale
e didattico, che vuole costruire una scuola realmente aperta a tutti, una scuola
che sappia farsi luogo privilegiato dello scambio e del confronto, della scoperta
della somiglianza e dell’alterità, e della crescita e sviluppo
del pensiero critico; che sia disponibile a rivisitare pregiudizi, luoghi comuni
e nozioni di base quali razza, culture, integrazione, diversità, migrante,
confine, nord e sud…. Un percorso infine, ma non ultimo, che sviluppi
negli alunni il senso di ricchezza e potenza che la cultura della pace, della
solidarietà, del rispetto e dell’accoglienza, portano con sé.
Dopodichè credo sia importante per un insegnante che partendo da sé,
sappia lasciare spazio a itinerari, tappe e mete aperti che hanno a che fare
con quanto detto nella mia breve premessa, capire come si fa (o se sta già
facendo) intercultura.
Dimora in divenire anche per me, ci sto provando da diversi anni.
Penso comunque che si faccia intercultura ogni volta che si lavora sul far prendere
coscienza al bambino della pluralità, intesa come ricchezza di modelli,
espressioni e relazioni; ogni volta che lo si mette a contatto con realtà
che lo aiutino a superare i luoghi comuni e le paure che spesso la diversità
suscita; ogni volta che si da spazio e ascolto a punti di vista che aiutino
ad uscire da un modello culturale, il proprio, che per forza di cose sembra
egemone, unico; quando infine, ma ancora non ultimo, si attuano percorsi didattici
che puntano all’acquisizione di uno spirito critico costruttivo, che aiuti
a “disimparare il razzismo”, in tutte le sue forme e manifestazioni.
Si fa però intercultura anche quando, ad esempio, si chiede al collegio
docenti di istituire una Commissione Interculturale, che avrà la funzione
di stendere un Protocollo di Accoglienza per progettare e poi gestire, una più
adeguata accoglienza ed integrazione degli alunni stranieri e che è sicuramente
un segnale importante dell’impegno della scuola in questo campo e ne evidenzia
l’assunzione collegiale di responsabilità.
Lo stesso dicasi per quando si ricorda al proprio dirigente scolastico che il
diritto allo studio è riconosciuto indistintamente a tutti, quindi anche
ai minori “clandestini” privi di permesso di soggiorno (art. 36,
L. 40/98) e che anche una dichiarazione prodotta (sotto la propria responsabilità)
dal genitore o da chi esercita la patria potestà del minore, in caso
di documenta-zione mancante, è sufficiente per iscriversi ed essere accettati
in qualsiasi scuola. Oppure quando si deve con forza ribadire ai colleghi che
ogni bambino ha diritto ad essere iscritto nella classe pertinente alla sua
età anagrafica; solo in situazioni di particolare “difficoltà”
o di frequenza pregressa irregolare o manchevole, potrà essere assegnato
alla classe immediata-mente precedente. La non conoscenza della lingua italiana,
non potrà costituire in nessun modo motivo di retrocessione a classi
inferiori (C.M. 301/89 fino alla C.M. 11/95).
Ancora: si fa intercultura quando ci si rifiuta di lasciar formare classi di
soli alunni stranieri, ma si cerca di ripartirli, possi-bilmente non superando
un certo numero di unità per classe (“consigliato” max 4-5,
C.M. 205/90) perché si possa lavorare nella direzione indicata sopra,
all’interno di un progetto educativo che non lasci indietro nessuno, straniero
e non che sia.
E’ educazione interculturale anche l’obbligare la scuola ad avere
una/un referente che si occupi del primo incontro della famiglia migrante con
l’istituzione;
una famiglia quasi sempre isolata e confusa di fronte a una legge che la considera
necessaria come forza lavoro a tempo determinato, ma non soggetto di diritti,
sola di fronte a degli obblighi incomprensibili, quasi sempre con difficoltà
mate-riali (casa, permesso di soggiorno, lavoro…) che rendono ancora più
difficile anche l’assunzione di un ruolo parentale, spesso con figli cresciuti
che non si vedono da anni. La/il referente dovrebbe sostenere la famiglia nell’espletamento
delle varie formalità iniziali (con l’eventuale aiuto di un mediatore
linguistico-culturale, pagato dalla scuola, comune, regione…) e delle
scelte scolastiche più adeguate ai suoi bisogni: mensa, organizzazione
della giornata, religione, colloqui, possibilità di accedere al fondo
di solidarietà della scuola ecc.. Dovrà informarla anche sui suoi
diritti a scuola e fuori (i suoi doveri glieli ricordano già in troppi)
e rispondere alle sue richieste; occuparsi inoltre di accoglierla attraverso
un colloquio che faccia emergere una biografia personale e scolastica del bambino,
al fine di comprendere meglio il suo attuale profilo e poter quindi assumere
decisioni in merito al percorso di inserimento didattico, affettivo e sociale.
Potrà essere la/il facilita-tore linguistico del nuovo arrivato: lo aiuterà
ad “imparare” la nuova scuola e a portarvi le sue esperienze e competenze
nel periodo del primo inserimento, lavorando con l’insegnante della classe
a cui è stato assegnato, per la predisposizione di percorsi didattici
“amichevoli”, linguistici e non.
Naturalmente va nella stessa direzione, il far attivare alla scuola percorsi
di alfabetizzazione in lingua italiana (in orario scolastico e/o extrascolastico),
per poter dare al nuovo arrivato, le competenze minime nella lingua della comunicazione,
quella che gli serve per entrare in relazione, per esprimere i suoi bisogni
e per comprendere le consegne più semplici. I modelli di alfabetizzazione
in italiano L2 sono svariati, mi piace però ricordare che il nuovo alunno
(ma varrebbe ovvia-mente per tutti) apprenderà a parlare, leggere e scrivere
in italiano quanto più saprà essere motivante ed accogliente il
contesto scolastico-relazionale in cui si troverà inserito.
Fare intercultura è per me tutto questo. Ovviamente non solo. Ci sono
un sacco di altre cose; cose anche molto più quoti-diane di quelle esposte,
sicuramente così banali, da non vedersi. Proprio per questo forse ci
sono più difficili, perché estra-nee alla visione eurocentrica
che la scuola ci ha dato e che la cultura dominante ha rinforzato, estranee
a un punto di vista che abbiamo sedimentato negli anni e che solo (e non sempre
basta) attraverso una crescita culturale e politica personale, possiamo veramente
aprire ed ampliare. Un unico esempio piccolo piccolo, per far capire a cosa
mi riferisco: parlando degli Egiziani, potremmo dire che l’Egitto sta
nel continente africano, invece che nel nostro mare Mediterraneo, come la stra-grande
maggioranza degli insegnanti fa. Sicuramente alcuni bambini che abbiamo in classe,
potrebbero sentirsi un po’ meno invisibili!
Il nominare le cose, come sempre, le fa esistere.
Vedi anche: silenzi,
straniero