Paolo O. era un piccolo ragazzino “fieramente” 
  sardo, di poche parole. Qualche insegnante, prima che arrivassi io nella scuola, 
  aveva deciso che “pocheparole” non era maturo, non era pronto per 
  passare alla classe successiva, la seconda media. Paolo O. fu quindi “ 
  non ammesso”. Nessuno della famiglia volle sapere o venne a protestare; 
  perdita di tempo, fatalismo, atavica sfiducia nelle Istituzioni, convinzione 
  che nella vita del figlio Paolo altre erano le cose importanti?
  Paolo con i libri, con quei tanti e impegnativi libri, non se la cavava bene: 
  li teneva, li sopportava, ma non li amava ancora. Faticava a leggere da solo 
  e, davanti agli altri quasi sillabava. La scrittura era fragile, precaria, come 
  si conviene a un “pocheparole”. Messa sul piano scolastico Paolo 
  era, come si direbbe oggi, un “perdente”.
  Ma fuori della scuola, nella vita di tutti i giorni, nelle responsabilità 
  familiari, nell’essere già un piccolograndeuomo, nei ricordi e 
  nei ritorni al suo paese di Sardegna, con la sua storia e le sue tradizioni 
  ancora forti, Paolo ne aveva di cose da dire, che potevano fare scuola e cultura 
  e scambio di informazioni e conoscenza. Solo chiedeva il rispetto. Il rispetto 
  per i suoi silenzi, per i suoi tempi lenti a scuola, per la sua riservatezza. 
  Aspettandolo, avrebbe aperto i suoi forzieri e avrebbe incrociato i suoi saperi 
  storici, geografici, naturalistici, economici personali con quelli dei libri, 
  tanti e impegnativi, che era stato costretto a comprare, di seconda mano. Quante 
  cose mi ha insegnato, quell’anno, quel piccolo sardo di poche parole… 
  ascoltare il silenzio, in silenzio, distinguere i silenzi, capire che nel nostro 
  lavoro di insegnanti e di educatori, dovremmo imparare a convivere bene e felicemente 
  con questa dimensione esistenziale e comunicativa.
  “Ragazzi, fate silenzio!” sta spesso scritto nelle nostre aule, 
  come in quelle dei tribunali “La giustizia è uguale per tutti”.
  Dovremmo convocare un Collegio dei docenti straordinario per parlare di questo, 
  dovremmo buttarla in filosofia quando è tempo di redigere gli ineffabili 
  POF…….
  La riflessione a mente aperta e a scuole aperte che c’è stata durante 
  tutto il movimento di lotta in difesa del Tempo Pieno ha fatto sì che 
  migliaia di persone, insegnanti, genitori, studenti, educatori ed opinione pubblica, 
  dopo tanti anni, abbiano riproposto il tema centrale del “fare scuola 
  quotidiano”, della relazione docente/alunno-a, dell’importanza dei 
  tempi distesi e dilatati per costruire relazioni significative sotto il profilo 
  umano, didattico e pedagogico. Oggi questo è ancora più necessario, 
  dal momento che la nostra scuola, negli ultimi anni, si è popolata di 
  altri “senzaparole” che vengono direttamente o sono figli/e di persone 
  provenienti da tanti altri paesi con lingue, culture, abitudini diverse dalle 
  nostre. Perché questa Babele contemporanea, che richiede da parte nostra 
  notevole impegno ed intelligenza, si risolva in positivo, in nuove frontiere 
  culturali condivise, “prestare orecchio” e praticare l’ascolto 
  devono essere atteggiamenti costanti di chi, poi, vuole insegnare agli altri.
Vedi anche:comunicazione efficace, intercultura, silenzi, straniero