Negli anni di Berlinguer e De Mauro, la parola modulo
attraversava ogni discorso didattico-pedagogico e organizzativo sulla scuola,
essa costituiva una vera e propria parola chiave per descrivere i cambiamenti
proposti con la riforma. Basta dare un’occhiata alle modifiche –
seppure quasi sempre di facciata – delle edizioni dei libri di testo per
rendersi conto di quanto fosse divenuta assillante il richiamo alla modularità
dell’insegnamento. Che ne è ora della modularità?
Cambiano i governi e cambiano le riforme, dei moduli si sente parlare sempre
meno e altre parole occupano gli spazi vuoti…tutor, portfolio…e
le edizioni scolastiche si aggiornano nuovamente (quale nuova edizione non contiene
una proposta di modello operativo per il portfolio?).
Il problema è capire se tale alternanza delle parole rappresenti una
discontinuità reale e quali spostamenti eventualmente rilevi.
Nei documenti che hanno accompagnato i testi della riforma Moratti un mutamento
di Weltanschaung sembra presente, in particolare per il frequente riferimento
alla “centralità della persona” e al sistema di valori che
la scuola deve veicolare. Se a ciò si aggiungono gli accordi con la CEI
sull’insegnamento della religione cattolica che mirano a riconoscere un
valore trasversale all’insegnamento di religione che attraverserebbe tutte
le materie scolastiche e i richiami alla religione che si infiltrano qua e là
nelle Indicazioni nazionali il quadro sembrerebbe chiaro: siamo di fronte a
una riforma che si ispira a un modello tradizionalmente forte di trasmissione
di valori che contrasta con un modello apparentemente scevro di dogmi contenutistici
come quello modulare-berlingueriano, il cui unico credo era quello dell’efficienza,
dell’efficacia e dell’educazione alla flessibilità. In qualche
modo si potrebbe dire che il modello modulare di Berlinguer mettesse da parte
la soggettività per lasciare spazio a un reticolo di competenze certificabili,
- si valutano competenze, non persone – mentre ora si vuole affermare
la centralità della persona, come un modello unitario e organico fondato
culturalmente sulle tradizioni, prima fra tutte quella cattolica. Era questa
l’obiezione di fondo che il Cardinale Ruini poneva alla riforma Berlinguer:
“Che ne è della persona?”.
Pur tenendo presente questa elemento di novità da approfondire, il quadro
ideologico conservatore nel quale vuole inserirsi la riforma non mette in discussione
la struttura didattico-organizzativa introdotta con la Legge sull’autonomia
scolastica, che ha portato all’affermazione del modello aziendale.
Solo per ricordare alcuni dei punti più significativi, non sfuggirà
che proprio la Riforma Moratti ha dato un chiarissimo impulso alla destrutturazione
modulare del sistema scolastico introducendo un monte ore annuale opzionale
e la figura del tutor come perno organizzativo al posto del Consiglio di classe.
L’alunno viene affidato a un tutor che predispone insieme alla famiglia
il suo iter scolastico personalizzato che non prevede se non in parte un gruppo
classe di riferimento. Gli insegnanti titolari dei moduli diverranno semplici
collaboratori dei tutor cui forniranno le certificazioni delle abilità
e competenze raggiunte da inserire nel portfolio.
Il docente tutor è una figura chiave nell’organizzazione modulare
e dovrà permettere di gestire la frammentazione del tempo-scuola e l’aumento
delle discipline di studio introdotte dalla riforma assumendo il ruolo che fino
ad ora competeva al Consiglio di classe.
Infine, anche attraverso l’introduzione del portfolio come modello per
le certificazioni, la riforma Moratti non fa che seguire il sentiero già
tracciato della riorganizzazione modulare.
Vedi anche: modularità;
personalizzazione-individualizzazione, portfolio, tutor.