MODULARITA’
Luca Castrignanò (Bologna)

La modularità costituisce uno degli elementi di novità più significativi introdotti dalla legge sull’autonomia scolastica (DPR 275/99) per modificare l’impianto didattico-organizzativo della scuola italiana. L’articolo 4 prevede infatti che le “istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l’altro: a) l’articolazione del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; […] d) l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso”. Il richiamo alla progettazione modulare ricorre costantemente nella normativa e nei documenti che hanno accompagnato e seguito il DPR 275/99 durante gli anni del governo del Centro-sinistra.
Partiamo da una semplice definizione. Il modulo è una unità compiuta di apprendimento, che può essere considerata indipendente dal percorso formativo in cui si inserisce, e si prefigge il raggiungimento di obiettivi (conoscenze e competenze) verificabili e certificabili.
Il modulo è quindi una parte del tutto che può essere condiderata separatamente, un elemento di una struttura componibile – pensiamo ad esempio ad un mobile-libreria – che può essere tolto o aggiunto. La caratteristica di un percorso di apprendimento modulare è dunque innanzitutto quella di non avere forme né sequenze prestabilite, ma di essere il frutto variabile della combinazione di vari elementi senza una vera e propria struttura portante. Anche se alcuni moduli possono essere considerati propedeutici per l’accesso ad altri, l’idea di fondo è quella di assicurare un’estrema flessibilità nella combinazione dei moduli disponibili.
E’ neccessario ora cercare di capire quali possono essere le ricadute sul piano della didattica e dell’organizzazione delle scuole.
Partiamo dalla didattica. Il modulo è un pacchetto formativo con un contenuto specifico e uno scopo: produrre conoscenze e competenze. Il momento della verifica è assolutamente centrale perché da esso dipende quella certificazione dei risultati raggiunti che serve allo studente come credito acquisito, e serve, come vedremo, alla scuola(-azienda) come criterio per valutare la produttività dell’offerta formativa. Il ruolo essenziale svolto dalla certificazione determina una serie di conseguenze importanti sull’attività di insegnamento. Innanzitutto la scelta di prove di verifica tendenzialmente oggettive, in grado di dare risultati attendibili e non contaminati dalla variabile soggettiva. La valutazione dovrebbe insomma funzionare come un dispositivo tecnico che misura quantità di apprendimento nel modo più neutro possibile. Ma come misurare la capacità critica, comunicativa o creativa? Il modello sembra portare a un appiattimento e a un immiserimento delle finalità della scuola. Il momento valutativo pervade infatti tutto il processo di insegnamento, si realizza cioè una inversione mezzi-fini, perché il momento della verifica finisce per orientare l’intero percorso didattico in vista delle prove da superare. I saperi e le competenze dovranno assumere la forma di standard verificabili in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale attraverso prove somministrate dall’INVALSI. Il processo di standardizzazione delle certificazioni e quindi degli insegnamenti-apprendimenti è necessario per permettere il riconoscimento del credito e dunque la sua spendibilità. Da un lato c’è dunque la libertà di scelta dello studente di fronte all’offerta di pacchetti formativi modulari, dall’altro la definizione di unità di sapere standard da certificare. La contraddizione tra personalizzazione e omogeneizzazione è solo apparente; pensiamo ancora all’esempio della libreria, ognuno può costruire il mobile in modo personale proprio perché i moduli sono standard e non viceversa. L’unicità è incompatibile con la modularità.
La relazione con gli insegnanti e con i compagni, che è lo spazio vissuto in cui si realizza l’esperienza dell’apprendimento fatto di bisogni, paure, desideri, conflitti, viene così mortificata e negata.
Ciò risulta tanto più evidente se si approfondiscono gli aspetti della modularità più legati all’organizzazione scolastica. Essa infatti determina la rottura dell’unità del gruppo-classe e la formazione di un sistema di gruppi flessibili in cui gli alunni avranno compagni che cambiano a seconda della tipologia del modulo scelto.
La rottura del gruppo classe implica la perdita di un punto di riferimento essenziale per lo sviluppo della personalità degli allievi nella loro globalità. In particolare mina la possibilità di pensare una progettualità che si riferisca alla dimensione socio-affettiva riproponendo il primato della sfera cognitiva.
Una conseguenza inevitabile della dissoluzione del gruppo classe è il venire meno della centralità del suo organo correlato, il Consiglio di classe. Esso rappresenta il nucleo primario della collegialità, il luogo in cui la valutazione individuale di ogni insegnante deve misurarsi con quella degli altri, assumere un punto di vista superiore che riguarda la globalità del percorso di ogni alunno. L’organizzazione modulare, per quanto possa prevedere progetti pluridisciplinari, si fonda sulla scomposizione del percorso scolastico in unità chiuse perdendo il senso del movimento complessivo e del confronto aperto tra colleghi. Quel “sano buon senso” che imponeva a qualsiasi insegnante di tenere conto della discrezionalità e della parzialità del suo punto di vista valutativo di fronte ad un fenomeno complesso come la relazione di apprendimento, viene sostituito dalla pretesa di una valutazione oggettiva e per questo insindacabile, che ciascuno può formulare per proprio conto attenendosi ad un piano mistificante di neutralità tecnica.
A questo punto è chiaro che la centralità del momento della valutazione-certificazione non riguarda solo la didattica ma l’intero assetto organizzativo del sistema scolastico. Lo standard richiesto agli alunni serve proprio per misurare la produttività raggiunta dalle scuole, la cosiddetta qualità del servizio. Sulla valutazione come criterio di produttività si fonda il dispositivo di comparazione-competizione che coinvolge i singoli docenti e le scuole e che, in prospettiva, potrà determinare la distribuzione delle risorse.
Infine è necessario rilevare un ultimo aspetto dell’organizzazione modulare. Il termine modulo risulta pressoché incomprensibile senza il riferimento al progetto di una radicale trasformazione dell’istituzione scolastica che assicuri la compresenza di vari gradi di istruzione, di vari indirizzi di studio, della formazione professionale e dell’ apprendistato e l’interscambio tra momenti di formazione e momenti di lavoro. La struttura modulare assicura infatti il transito da un settore all’altro del sistema attraverso l’accreditamento delle competenze certificate. Seppure con modalità differenti non c’è divergenza qui tra l’ipotesi del sistema integrato del Centro-sinistra e il progetto dell’attuale maggioranza di governo: la necessità di superare la separazione tra cultura e lavoro, la successione tra un momento di studio che precede e un momento di lavoro che segue, per assicurare l’interscambio continuo tra i due momenti. La certificazione, oltre ad essere una misura dell’efficacia del lavoro svolto, rappresenta il “titolo” di accesso a moduli successivi, di iscrizione in una scuola di diverso indirizzo, nella formazione professionale o nell’apprendistato. Le conoscenze e le competenze certificate devono corrispondere a un criterio di equivalenza generale che permetta la loro scambiabilità, cioè il loro riconoscimento in contesti diversi, sia scolastici che extrascolastici . Da questo punto di vista il sapere è misurato e vale come capitale, spendibile non solo nel percorso scolastico, ma anche in quello lavorativo. Come ripetutamente affermato dall’OCSE, per l’impresa la formazione rilancia l’investimento produttivo e riveste dunque altrettanta importanza, se non maggiore, del capitale fisico. L’investimento nell’educazione presenta dei vantaggi economici e sociali poiché permette di arricchire lo stock di conoscenze e competenze disponibili, ciò che viene oggi definito il capitale umano. Bisogna comprendere in questa ottica il sistema dei crediti, l’alternanza scuola lavoro, il nuovo significato economico che il territorio assume nella scuola dell’ autonomia, la creazione di un portfolio-carta d’identità che accompagna l’intero percorso di vita certificando il cumulo di crediti scolastici e lavorativi acquisiti e il nuovo concetto di educazione permanente sempre più legato all’idea di interscambio flessibile tra formazione e lavoro.
Il tema della modularità quindi, nonostante la sua apparenza tecnico-pedagogica si iscrive nella deriva privatistica che la scuola ha assunto sotto due aspetti : il sapere al servizio del mercato e il sapere come mercato. Il mercato definisce le competenze richieste, il mercato si offre di produrle. Non siamo ancora a questo punto, ma la consapevolezza del portato ideologico dell’organizzazione modulare ci fa capire che ciò a cui stiamo andando incontro è il business dei pacchetti formativi e il modello della concorrenza tra i suoi produttori per accapparrarsi studenti-clienti. (E’ il caso di ricordare che la possibilità di assumere personale con contratto Co.co.co. per le materie opzionali non è che una applicazione dell’organizzazione modulare prevista dall’Autonomia).
Il sapere insomma come merce di consumo accompagnato dalla consueta retorica liberista sulla sovranità del consumatore e della sua libertà di scelta appena mascherata dietro paraventi pedagogici (quelli davvero non mancano mai). In nome di questa libertà la scuola dovrà attrezzarsi a recepire le aspettative del cliente.
La libertà di scelta delle famiglie-clienti è incompatibile con una scuola pubblica di tutti e di ciascuno. Altro è il ruolo istituzionale che i genitori hanno come rappresentanti all’interno dell’istituzione scolastica e altro è il ruolo di clienti individuali. Non solo determinare i percorsi scolastici sulla scelta dei genitori significa ricostruire una scuola delle differenze sociali, ma questa libertà di scelta dell’utenza è solo libertà di fruizione delle chances offerte dal mercato sui generis della formazione, libertà di consumo, che presuppone e produce isolamento e cinico individualismo cancellando lo spazio comune.

Vedi anche: apprendistato, autonomia scolastica; classe (vista dallo studente); classe (vista dall'insegnante); formazione professionale; long life learning; modularità-personalizzazione; portfolio;relazione; valutazione.