La modularità costituisce uno degli elementi di
novità più significativi introdotti dalla legge sull’autonomia
scolastica (DPR 275/99) per modificare l’impianto didattico-organizzativo
della scuola italiana. L’articolo 4 prevede infatti che le “istituzioni
scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono
opportune e tra l’altro: a) l’articolazione del monte ore annuale
di ciascuna disciplina e attività; […] d) l’articolazione
modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o
da diversi anni di corso”. Il richiamo alla progettazione modulare ricorre
costantemente nella normativa e nei documenti che hanno accompagnato e seguito
il DPR 275/99 durante gli anni del governo del Centro-sinistra.
Partiamo da una semplice definizione. Il modulo è una unità compiuta
di apprendimento, che può essere considerata indipendente dal percorso
formativo in cui si inserisce, e si prefigge il raggiungimento di obiettivi
(conoscenze e competenze) verificabili e certificabili.
Il modulo è quindi una parte del tutto che può essere condiderata
separatamente, un elemento di una struttura componibile – pensiamo ad
esempio ad un mobile-libreria – che può essere tolto o aggiunto.
La caratteristica di un percorso di apprendimento modulare è dunque innanzitutto
quella di non avere forme né sequenze prestabilite, ma di essere il frutto
variabile della combinazione di vari elementi senza una vera e propria struttura
portante. Anche se alcuni moduli possono essere considerati propedeutici per
l’accesso ad altri, l’idea di fondo è quella di assicurare
un’estrema flessibilità nella combinazione dei moduli disponibili.
E’ neccessario ora cercare di capire quali possono essere le ricadute
sul piano della didattica e dell’organizzazione delle scuole.
Partiamo dalla didattica. Il modulo è un pacchetto formativo con un contenuto
specifico e uno scopo: produrre conoscenze e competenze. Il momento della verifica
è assolutamente centrale perché da esso dipende quella certificazione
dei risultati raggiunti che serve allo studente come credito acquisito, e serve,
come vedremo, alla scuola(-azienda) come criterio per valutare la produttività
dell’offerta formativa. Il ruolo essenziale svolto dalla certificazione
determina una serie di conseguenze importanti sull’attività di
insegnamento. Innanzitutto la scelta di prove di verifica tendenzialmente oggettive,
in grado di dare risultati attendibili e non contaminati dalla variabile soggettiva.
La valutazione dovrebbe insomma funzionare come un dispositivo tecnico che misura
quantità di apprendimento nel modo più neutro possibile. Ma come
misurare la capacità critica, comunicativa o creativa? Il modello sembra
portare a un appiattimento e a un immiserimento delle finalità della
scuola. Il momento valutativo pervade infatti tutto il processo di insegnamento,
si realizza cioè una inversione mezzi-fini, perché il momento
della verifica finisce per orientare l’intero percorso didattico in vista
delle prove da superare. I saperi e le competenze dovranno assumere la forma
di standard verificabili in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale attraverso
prove somministrate dall’INVALSI. Il processo di standardizzazione delle
certificazioni e quindi degli insegnamenti-apprendimenti è necessario
per permettere il riconoscimento del credito e dunque la sua spendibilità.
Da un lato c’è dunque la libertà di scelta dello studente
di fronte all’offerta di pacchetti formativi modulari, dall’altro
la definizione di unità di sapere standard da certificare. La contraddizione
tra personalizzazione e omogeneizzazione è solo apparente; pensiamo ancora
all’esempio della libreria, ognuno può costruire il mobile in modo
personale proprio perché i moduli sono standard e non viceversa. L’unicità
è incompatibile con la modularità.
La relazione con gli insegnanti e con i compagni, che è lo spazio vissuto
in cui si realizza l’esperienza dell’apprendimento fatto di bisogni,
paure, desideri, conflitti, viene così mortificata e negata.
Ciò risulta tanto più evidente se si approfondiscono gli aspetti
della modularità più legati all’organizzazione scolastica.
Essa infatti determina la rottura dell’unità del gruppo-classe
e la formazione di un sistema di gruppi flessibili in cui gli alunni avranno
compagni che cambiano a seconda della tipologia del modulo scelto.
La rottura del gruppo classe implica la perdita di un punto di riferimento essenziale
per lo sviluppo della personalità degli allievi nella loro globalità.
In particolare mina la possibilità di pensare una progettualità
che si riferisca alla dimensione socio-affettiva riproponendo il primato della
sfera cognitiva.
Una conseguenza inevitabile della dissoluzione del gruppo classe è il
venire meno della centralità del suo organo correlato, il Consiglio di
classe. Esso rappresenta il nucleo primario della collegialità, il luogo
in cui la valutazione individuale di ogni insegnante deve misurarsi con quella
degli altri, assumere un punto di vista superiore che riguarda la globalità
del percorso di ogni alunno. L’organizzazione modulare, per quanto possa
prevedere progetti pluridisciplinari, si fonda sulla scomposizione del percorso
scolastico in unità chiuse perdendo il senso del movimento complessivo
e del confronto aperto tra colleghi. Quel “sano buon senso” che
imponeva a qualsiasi insegnante di tenere conto della discrezionalità
e della parzialità del suo punto di vista valutativo di fronte ad un
fenomeno complesso come la relazione di apprendimento, viene sostituito dalla
pretesa di una valutazione oggettiva e per questo insindacabile, che ciascuno
può formulare per proprio conto attenendosi ad un piano mistificante
di neutralità tecnica.
A questo punto è chiaro che la centralità del momento della valutazione-certificazione
non riguarda solo la didattica ma l’intero assetto organizzativo del sistema
scolastico. Lo standard richiesto agli alunni serve proprio per misurare la
produttività raggiunta dalle scuole, la cosiddetta qualità del
servizio. Sulla valutazione come criterio di produttività si fonda il
dispositivo di comparazione-competizione che coinvolge i singoli docenti e le
scuole e che, in prospettiva, potrà determinare la distribuzione delle
risorse.
Infine è necessario rilevare un ultimo aspetto dell’organizzazione
modulare. Il termine modulo risulta pressoché incomprensibile senza il
riferimento al progetto di una radicale trasformazione dell’istituzione
scolastica che assicuri la compresenza di vari gradi di istruzione, di vari
indirizzi di studio, della formazione professionale e dell’ apprendistato
e l’interscambio tra momenti di formazione e momenti di lavoro. La struttura
modulare assicura infatti il transito da un settore all’altro del sistema
attraverso l’accreditamento delle competenze certificate. Seppure con
modalità differenti non c’è divergenza qui tra l’ipotesi
del sistema integrato del Centro-sinistra e il progetto dell’attuale maggioranza
di governo: la necessità di superare la separazione tra cultura e lavoro,
la successione tra un momento di studio che precede e un momento di lavoro che
segue, per assicurare l’interscambio continuo tra i due momenti. La certificazione,
oltre ad essere una misura dell’efficacia del lavoro svolto, rappresenta
il “titolo” di accesso a moduli successivi, di iscrizione in una
scuola di diverso indirizzo, nella formazione professionale o nell’apprendistato.
Le conoscenze e le competenze certificate devono corrispondere a un criterio
di equivalenza generale che permetta la loro scambiabilità, cioè
il loro riconoscimento in contesti diversi, sia scolastici che extrascolastici
. Da questo punto di vista il sapere è misurato e vale come capitale,
spendibile non solo nel percorso scolastico, ma anche in quello lavorativo.
Come ripetutamente affermato dall’OCSE, per l’impresa la formazione
rilancia l’investimento produttivo e riveste dunque altrettanta importanza,
se non maggiore, del capitale fisico. L’investimento nell’educazione
presenta dei vantaggi economici e sociali poiché permette di arricchire
lo stock di conoscenze e competenze disponibili, ciò che viene oggi definito
il capitale umano. Bisogna comprendere in questa ottica il sistema dei crediti,
l’alternanza scuola lavoro, il nuovo significato economico che il territorio
assume nella scuola dell’ autonomia, la creazione di un portfolio-carta
d’identità che accompagna l’intero percorso di vita certificando
il cumulo di crediti scolastici e lavorativi acquisiti e il nuovo concetto di
educazione permanente sempre più legato all’idea di interscambio
flessibile tra formazione e lavoro.
Il tema della modularità quindi, nonostante la sua apparenza tecnico-pedagogica
si iscrive nella deriva privatistica che la scuola ha assunto sotto due aspetti
: il sapere al servizio del mercato e il sapere come mercato. Il mercato definisce
le competenze richieste, il mercato si offre di produrle. Non siamo ancora a
questo punto, ma la consapevolezza del portato ideologico dell’organizzazione
modulare ci fa capire che ciò a cui stiamo andando incontro è
il business dei pacchetti formativi e il modello della concorrenza tra i suoi
produttori per accapparrarsi studenti-clienti. (E’ il caso di ricordare
che la possibilità di assumere personale con contratto Co.co.co. per
le materie opzionali non è che una applicazione dell’organizzazione
modulare prevista dall’Autonomia).
Il sapere insomma come merce di consumo accompagnato dalla consueta retorica
liberista sulla sovranità del consumatore e della sua libertà
di scelta appena mascherata dietro paraventi pedagogici (quelli davvero non
mancano mai). In nome di questa libertà la scuola dovrà attrezzarsi
a recepire le aspettative del cliente.
La libertà di scelta delle famiglie-clienti è incompatibile con
una scuola pubblica di tutti e di ciascuno. Altro è il ruolo istituzionale
che i genitori hanno come rappresentanti all’interno dell’istituzione
scolastica e altro è il ruolo di clienti individuali. Non solo determinare
i percorsi scolastici sulla scelta dei genitori significa ricostruire una scuola
delle differenze sociali, ma questa libertà di scelta dell’utenza
è solo libertà di fruizione delle chances offerte dal mercato
sui generis della formazione, libertà di consumo, che presuppone e produce
isolamento e cinico individualismo cancellando lo spazio comune.
Vedi anche: apprendistato,
autonomia scolastica; classe (vista dallo studente); classe (vista dall'insegnante);
formazione professionale; long life learning; modularità-personalizzazione;
portfolio;relazione;
valutazione.