“E’ vergognoso che i maestri debbano entrare e
uscire per la stessa porta in cui entrano e escono i bidelli. Facciamo una porta
per loro”. Così si esprimeva l’insegnante di quarta classe
nel Maestro di Vigevano di Mastronardi mettendo in scena la percezione
del ruolo separato dei bidelli così come veniva vissuto nella scuola
degli anni Sessanta. Ruolo talmente separato che era meglio sottrarlo dallo
sguardo degli insegnanti, essendo troppo distanti gli status e le funzioni.
Questa condizione e percezione è stata messa in discussione e si è
modificata a partire dal decennio successivo. Prima di tutto l’ingresso
nella scuola delle istanze democratiche di partecipazione da parte di tutti
i soggetti senza nessuna discriminazione. La novità arriva sulla spinta
delle lotte per la gestione democratica della scuola. Genitori e lavoratori
furono i protagonisti e l’esito fu la nascita degli organi collegiali
con rappresentanza anche dei personale ausiliario. La seconda spinta a rivedere
le gerarchie consolidate viene dal riconoscimento di un ruolo educativo anche
al personale che non trasmette “sapere” ma che ha un ruolo importante
in molti snodi della giornata scolastica e della relazione tra adulti e studenti.
Questo secondo aspetto si accompagna soprattutto alla diffusione della scuola
materna e dei nidi (spesso su iniziativa degli enti locali) in cui gli elementi
di cura dei bambini venivano acquisendo quell’importanza che meritano
nel quadro complessivo della vita scolastica.
Così, anche lessicalmente si passa dalle “bidelle” come servitrici
e addette alle pulizie alle “collaboratrici scolastiche” che partecipano
ad importanti momenti di cura, di relazione educativa, entrano nell’organizzazione
di importanti attività scolastiche come le uscite didattiche, feste,
assemblee genitori-lavoratori. In esperienze avanzate degli Enti locali si arriva
ad attivare percorsi comuni di aggiornamento (centrati sulla relazione) e di
partecipazione democratica (i collettivi, tuttora esistenti nei nidi bolognesi).
La quotidiana vita scolastica è ricca di momenti che coinvolgono i collaboratori
in attività di cura. Prendiamo il momento del pasto; in questa attività
il rapporto dei bambini con il cibo avviene con la mediazione dei collaboratori:
paure, gusti diversi passano attraverso il sorriso o lo scherzo di chi serve
il pasto e sdrammatizza situazioni che i bambini possono vivere anche con sofferenza.
Altri momenti fondamentali sono quelli dell’emergenza: ad esempio la cura
delle ferite rimediate in giardino, o cambi improvvisati in situazioni particolarmente
imbarazzanti... E oltre questi momenti più evidenti, esistono tanti altri
momenti di quotidianità in cui la relazione con i bambini e con le classi
è certamente importante. Anche a livelli successivi di scuola, in cui
il tempo di permanenza con l’insegnante subisce la dittatura della campanella,
i collaboratori scolastici diventano spesso interlocutori dei tempi intermedi,
prima e dopo la lezione, ai margini di essa, nelle interferenze… Non solo
pulizia quindi.
Questa evoluzione negli ultimi quindici anni si è però interrotta
e in molti casi ha lasciato il campo ad altre situazioni. Sono le istanze di
risparmio e di privatizzazione che producono l’idea che le funzioni lavorative
possono essere frammentare e redistribuite a personale esterno alla scuola.
Partono le cosiddette “esternalizzazioni”: appalti di mansioni ai
lavoratori delle cooperative; si interrompono le esperienze più avanzate
di cooperazione didattica; partono le privatizzazioni delle mense. Nelle scuole
è ormai normale la convivenza di lavoratori (statali, comunali, dipendenti
di cooperative) che sono impegnati fianco a fianco nelle stesse attività
di pulizia o servizio al pasto, ma che sono caratterizzati da diversi livelli
di retribuzione e di diritti. Diviene sempre più difficile mantenere
vive le buone abitudini di cooperazione e di relazione che erano cresciute nel
recente passato.
Vedi anche: aziendalizzazione
della scuola, relazione,