AZIENDALIZZAZIONE DELLA SCUOLA
Piero Bernocchi, ha insegnato matematica, Roma

Istruzione-merce e scuola-azienda: fin dall’inizio degli anni Novanta i soggetti collettivi più lucidi e le menti più avvertite hanno fotografato in questi due binomi (e nello stesso tempo combattuto) il micidiale processo di disgregazione e di corruzione imposto negli ultimi anni alla scuola pubblica italiana dalle forze economi-che e politiche dominanti.
Trasformare l’istruzione - da diritto di tutti/e ad acquisire gli strumenti per “leggere il mondo da soli” e sapersi muovere adeguatamente in società dominate dalle leggi spietate del profitto e del mercato - in una nuova merce da mettere in vendita; comprimere la scuola, i suoi lavoratori/trici e la didattica nelle distruttive forme del meccanismo aziendale, imperniato sulla competizione, sulle gerarchie, sulle differenze salariali, sul conflitto permanente, cancellando collaborazione e solidarietà: questi due imperativi, purtroppo già prevalenti nelle scuole di tanti paesi del mondo, sono piombati addosso alla scuola italiana sopratutto durante i governi di centrosinistra e di centrodestra dell’ultimo decennio, ed hanno fatto esplodere in essa il più lungo ed aspro conflitto di tutta la storia della nostra istruzione pubblica.
Mercificazione e aziendalizzazione: i due termini sono strettamente intrecciati e possono sembrare pressoché equivalenti. E’ però opportuno sottolineare come essi corrispondano a due processi dotati di differenti pesi specifici e con una gerarchia interna. L’elemento primario e dominante è il tentativo di ridurre l’istruzione a merce. Il mercato capitalistico, che doveva estendersi – nelle promesse dei suoi “laudatores” – fino a coprire tutto il pianeta, portando ovunque benessere e sicurezza, si è invece rivelato nell’ultimo decennio tremendamente asfittico, più insicuro e spietato che mai. I tre quarti dell’umanità praticamente non vi hanno accesso, nel senso che non hanno possibilità di acquistare o vendere alcunchè, neanche la propria forza-lavoro. Una quantità sempre crescente di merci si riversa, fino a saturarli, nei mercati “ricchi” e i gruppi capitalistici più forti lottano ferocemente tra loro per averne l’egemonia e per convincere il restante quarto dell’umanità a non smettere di comprare anche merci già abbondantemente diffuse o per lo più superflue.
In questo contesto la ricerca di nuove merci da imporre ai cittadini del mondo “benestante” diventa spasmodica: e in particolare dilaga il tentativo dei “padroni del globo” di mutare in merce ciò che fino ad oggi non lo era, ed in prima fila quei beni collettivi primari che sono l’istruzione e la salute. I quali beni, una volta trasformati irreversibilmente in merci, avrebbero il vantaggio, per coloro che se ne impossesserebbero, di vedere spalancarsi di fronte a sé un mercato enorme e pressoché illimitato. In quanto merce, soprattutto l’istruzione muoverebbe cifre ed interessi colossali: basti pensare che attualmente per essa – nel ciclo didattico che copre approssimativamente la fascia di età tra i 6 e i 18 anni – i paesi dell’OCSE (più o meno i 29 paesi più ricchi del globo) spendono in media circa 2500 miliardi di euro l’anno (5 milioni di miliardi di vecchie lire). Ed in più l’istruzione (come in generale la cultura, la conoscenza, l’informazione) degradata a merce risulterebbe rapidamente deperibile (e dunque va costantemente rinnovata, “ricomprata”) e pressoché inesauribile (chi può dire di possedere tutta l’istruzione, la conoscenza, l’informazione necessarie?), in un contesto nel quale, anche dal punto di vista puramente produttivo, la conoscenza è oramai unanimemente considerata bene cruciale.
Per la vittoria irreversibile dell’istruzione-merce la trasformazione della scuola in azienda è supporto fondamentale. Aziendalizzare la scuola significa creare strutture che abbiano come obiettivo primario non già la “produzione” di reale sapere critico, la “distribuzione” di libera conoscenza, la crescita culturale, sociale e psicologica degli allievi/e, ma la realizzazione del massimo profitto economico, in un regime di concorrenza spietata che lascerebbe fuori i più deboli socialmente, economicamente, fisicamente: una scuola fondata su gerarchie ben definite, dove collaborazione e solidarietà sarebbero bandite, ove dominerebbe la legge feroce dell’”homo homini lupus”, della lotta per emergere a scapito degli altri/e, dove si insegnerebbe che i criteri propri dell’azienda capitalistica (arricchimento individuale, potere e successo a tutti i costi) sono gli unici accettabili e premiati nella società umana.
Avremmo una scuola dove i primi a dover accettare il dominio della merce, del profitto, della concorrenza e delle gerarchie sarebbero proprio quei docenti a cui una scuola veramente pubblica dovrebbe assegnare il compito di educatori/trici disinteressati, imparziali, “collaborativi” e solidali: una scuola dalla quale verrebbero brutalmente espulsi i meno abbienti, i meno forti socialmente, i portatori di handicap e svantaggi di ogni genere, insomma proprio quelli/e che una scuola di tutti/e e per tutti/e dovrebbe in sommo grado aiutare a recuperare i “ritardi” accumulati.
In una scuola-azienda non si fa cultura né libera ricerca, ma indottrinamento “liberista”, ideologia del mercato e della concorrenza; non si approfondiscono le materie né tantomeno si fonda una ampia e creativa “visione del mondo” ma si propinano frammentati “moduli didattici” che diano un’infarinatura di conoscenze al servizio delle aziende esterne. In una scuola-azienda non si lavora collegialmente né si collabora solidalmente e fraternamente: si compete sia tra lavoratori/trici sia tra studenti, ci si “nasconde” reciprocamente le conoscenze, si usa il sapere per battere i “concorrenti” nella gara per emergere e scalare posti in “azienda”, da una parte e dall’altra della cattedra. In una scuola-azienda non c’è eguaglianza, ma differenze artificiali e imposte, divisione permanente, gerarchizzazione, diversi salari: in essa non c’è umanità, valori collettivi, aiuto reciproco ma spietata lotta per “un posto al sole”, “allenamento” alla brutalità del liberismo dominante all’esterno.
Ma per fortuna la partita tra la scuola pubblica e la scuola-azienda è tutt’altro che chiusa, in particolare in Italia. Molti/e docenti ed ATA, e i Cobas in prima fila, studenti, genitori e cittadini hanno in questi anni combattuto strenuamente affinché la istruzione-merce e la scuola-azienda non vincessero, sia quando a farsene paladini erano i Berlinguer-De Mauro sia, e tanto più, oggi che i Moratti-Berlusconi, più sfacciatamente ancora dei loro pessimi predecessori del centrosinistra, sono i massimi propagandisti della sottomissione della scuola alla cultura mercificante e aziendale.
Dalla ignobile legge di parità scolastica al “concorsaccio”, dalla sedicente autonomia scolastica alla regionalizzazione della scuola, dall’immiserimento salariale di docenti ed ATA all’espulsione selvaggia dei precari, dalle controriforme Moratti e Berlinguer al tentativo di distruggere il tempo pieno e di imporre il “tutor”, abbiamo dato vita ad una vera e propria “guerra epocale” tra due concezioni opposte del sapere, della conoscenza e dell’istruzione, con alcune fondamentali “battaglie campali” e tanta faticosa e logorante “guerriglia” o “lotta di trincea” nelle singole scuole, combattendo contro i paladini, di ogni apparente colore politico, della sottomissione della cultura alla “divinità” del profitto aziendale.
E’ uno scontro storico: i suoi esiti influenzeranno enormemente i destini delle nostre società e le possibilità di costruire un nuovo modo collettivo di vivere che si fondi sull’eguaglianza sostanziale tra gli esseri umani, sulla giustizia sociale, sulla democrazia reale, sul benessere economico per tutti gli abitanti del pianeta. Di sicuro, in questo scontro noi resteremo in prima fila.

Vedi anche: autonomia scolastica, gerarchizzazione, mercificazione dell'educazione, modularità.