L’insegnamento non sfugge alla moda neoliberale. Ma la sua «mercificazione»
assume una forma più complessa che negli altri settori. La Scuola non
è solamente chiamata a trasformarsi in un vasto mercato, sul quale già
si avventano investitori in certa di posizioni redditizie; ad essa è
soprattutto intimato di “modernizzarsi”, di adattare i suoi contenuti
e le sue strutture, al fine di assicurare la flessibilità dei lavoratori
e dei consumatori. Ma ciò rischia di essere fatto a scapito delle sue
altre finalità.
Da vent’anni la violenza delle lotte concorrenziali conduce i amministratori
economici a ripetere continuamente che la Scuola dovrebbe fornire un maggiore
sostegno questa competizione economica. Mancano i lavoratori qualificati - dicono
- e le qualifiche non rispondono alle nostre domande. Invocano dunque un importante
investimento nell’insegnamento? Nemmeno per sogno, perché si rammaricano
allo stesso tempo che il nostro sistema educativo sia “troppo costoso”.
Ciò che essi chiedono a gran voce è un “adattamento”
dell’insegnamento – dei suoi contenuti, delle sue strutture –
ai loro “bisogni”. Ora, questi bisogni sono dettati da due caratteristiche
del sistema economico.
Primo : l’instabilità. L’accumulazione delle conoscenze e
la ricerca di competitività producono un’accelerazione degli sconvolgimenti
tecnologici, con la loro coda di fallimenti, di ristrutturazioni e di delocalizzazioni.
Prevedere scenari futuri è sempre più difficile. In queste condizioni
l’essenziale – agli occhi degli imprenditori – non è
dotare ciascuno di vaste conoscenze ma assicurare l’adattabilità
dei lavoratori e dei consumatori.
Secondo, la dualizzazione del mercato del lavoro. La “nuova economia”
non reclama solo informatici e ingenieri. Si assiste al contrario ad una esplosione
di impieghi precari, di impieghi a debole livello di qualificazione: commessi,
guardie, addetti alle pulizie, operatori delle macchine distributrici di Coca-Cola,
ecc. rappresentano ormai il 60 % dei nuovi posti di lavoro. Quindi, sostengono
gli imprenditori, bisogna finirla con l’idea di democratizzare gli studi.
L’era della flessibilità
I lavoratori sono condotti ad evolversi in un sistema di produzione che cambia
continuamente. Ora, la complessità crescente delle tecniche messe in
opera rende la formazione più importante che mai. Come risolvere questo
dilemma? Con l’ «apprendimento continuo» o «apprendimento
lungo tutta la vita» [long life learning]. Questa idea non ha alcuna ambizione
umanista. Come spiega l’OCSE, esse «riposa sull’idea che la
preparazione alla vita attiva non può più essere considerata come
definitiva e che i lavoratori devono seguire una formazione continua durante
la vita professionale per poter restare produttivi e impiegabili» (1).
In una tale cornice, l’acquisizione delle conoscenze, l’acquisizione
di una cultura comune, non è più il criterio prioritario. I saperi
cedono il posto alle «competenze»: utilizzare un computer, comunicare,
lavorare in equipe, ecc. Bisogna, spiega in effetti il Consiglio Europeo, «dare
la priorità allo sviluppo delle competenze professionali e sociali per
un migliore adattamento dei lavoratori all’evoluzione del mercato del
lavoro» (2).
Non basta che il lavoratore sia flessibile e competitivo, è il sistema
educativo stesso che è chiamato ad assumere queste caratteristiche. Fin
dal 1989 le potenti lobby padronali della Tavola Rotonda degli Industriali Europei
scriveva che «le pratiche amministrative sono spesso troppo rigide per
permettere agli istituti scolastici di adattarsi agli indispensabili cambiamenti
richiesti dal rapido sviluppo delle tecnologie moderne e dalle ristrutturazioni
industriali e terziarie» (3). Così, da quindici anni, tutti i paesi
europei si sono impegnati sulla via del decentramento e della deregulation dell’insegnamento.
Quando il cittadino diventa consumatore.
Il consumatore così è l’obiettivo del «rinnovamento»
della scuola. La creazione di nuovi mercati di massa, legati alle tecnologie
moderne, esige che i clienti abbiano acquisito le competenze necessarie. così,
in ottobre del 1996, la Commissione Europea ha lanciato il piano d‘azione
«apprendere nella società dell’informazione», affinché
tutti i giovani imparino ad usare i computers a scuola. Essa spiega: «il
mercato europeo (delle tecnologie informatiche della comunicazione, TIC) rimane
troppo stretto, troppo frammentato, il numero ancora troppo scarso di utenti
e di produttori penalizza la nostra industria. […] Perciò è
indispensabile prendere un certo numero di misure per aiutarlo e stimolarlo.
È l’obiettivo del piano d’azione» (4).
L’entrata del marketing aziendale nelle scuole è un altro segno
di questa volontà di utilizzare l’insegnamento per sostenere i
mercati. Nel 1998 la Commissione Europea diffondeva un rapporto su “Il
marketing a scuola”. Nelle loro conclusioni gli autori vantavano “i
vantaggi materiali e pedagogici” di queste pratiche (5).
La scuola : grande mercato del XXI secolo
Ma molti responsabili economici pensano, come l’OCSE, che che ciò
non basta e che “la mondializzazione […] rende obsoleta l’istituzione
locale e ancorata in una cultura determinata che si chiama “scuola”
e, con essa, “l’insegnante” (6).
Le spese mondiali connesse all’educazione rappresentano la bella somma
di 2.000 miliardi di dollari. Ce n’è a sufficienza per far venire
l’acquolina in bocca agli investitori. Per il consulente americano Eduventures,
gli anni Novanta «resteranno nella memoria per aver portato a maturazione
l’insegnamento di mercato (‘for profit education’). Le fondamenta
della vibrante industria educativa del XXI secolo hanno cominciato a fondere
per raggiungere la loro massa critica» (7).
Lo sviluppo della domanda di formazione continua [long life learning] favorisce
in effetti l’emergere di un mercato dell’insegnamento. Un altro
potente catalizzatore del mercato mondiale dell’insegnamento è
lo sviluppo di Internet. Secondo la banca d’affari Merril Lynch, il mercato
dell’insegnamento “in linea è passato da 9,4 miliardi di
dollari nel 2000 a 54 miliardi alla fine del 2002 (8).
L’organizzazione mondiale del Commercio e la Banca Mondiale aprono attivamente
a questa liberalizzazione, specialmente attraverso i GATS.
Conclusioni
L’adeguamento dell’insegnamento alle nuove richieste delle potenze
industriali e finanziarie ha due conseguenze drammatiche : la strumentalizzazione
della scuola al servizio della competizione economica e l’aggravarsi delle
diseguaglianze sociali nell’accesso ai saperi. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, sotto la pressione di una forte domanda di mano d’opera qualificata,
la scuola di massa ha permesso ai bambini del delle classi popolari di accedere
– finalmente! – ai saperi riservati fino allora ai bambini delle
classi privilegiate. Ma non appena questa massificazione è stata portata
a termine, si chiede all’insegnamento di far rientrare l’istruzione
delle classi popolari nei limiti che essa non avrebbe, agli occhi di alcuni,
mai dovuto superare: vale a dire imparare a produrre, a consumare e, magari,
a rispettare le istituzioni.
Così, lungi dal sostenere l’istituzione scolastica nel suo difficile
compito di istruzione e educazione critica, le lobbies economiche seguite a
ruota dai politici, chiedono con forza di abbassare le ambizioni della scuola
alla funzione di sfornare produttori e consumatori. Coloro che vorranno di più
dovranno pagare la scuola privata. Quanto alla scuola pubblica, essa non avrà
più, perfino secondo l’ammissione dell’OCSE, che da “assicurare
l’accesso all’apprendistato di quelli che non costituiranno mai
un mercato redditizio e la cui esclusione dalla società in generale si
accentuerà nella stessa misura per cui altri continueranno a progredire”
(9).
NOTE:
(1) OCDE, Politiques du marché du travail : nouveaux défis. Apprendre
à tout âge pour rester employable durant toute la vie. Réunion
du Comité de l'emploi, du travail et des affaires sociales au Château
de la Muette, Paris, 14-15 octobre 1997, OCDE/GD(97)162
(2) Pour une Europe de la connaissance, Communication de la Commission européenne,
COM(97)563 final
(3) Table Ronde des Industriels Européens, Education et compétence
en Europe, Etude la Table Ronde Européenne sur l'éducation et
la formation en Europe, février 1989
(4) Commission des Communautés Européennes, Mémorandum
sur l'éducation et la formation tout au long de la vie, SEC(2000) 1832,
Bruxelles, le 30.10.2000
(5) GMV Conseil, Le marketing à l'école, étude sur les
pratiques commerciales dans les écoles réalisée à
la demande de la Commission européenne, octobre 1998
(6) OCDE, Analyse des politiques d'éducation, 1998
(7) Adam Newman, What is the education-industry ?, Eduventures, janvier 2000.
(8) Le Monde, 2-3 juillet 2000.
(9) Adult learning and Technology in OECD Countries, OECD Proceedings, Paris1996.
Vedi anche : apprendistato,
aziendalizzazione,
e-learning, long life learning, precario/a
- precarizzazione