La gerarchizzazione è uno dei principali ingredienti
del generale processo di trasformazione che la scuola italiana sta subendo.
Non è altro che il riflesso di quanto accade nella società ed
in particolare in politica: sistema elettorale maggioritario, personalizzazione,
leaderismi, presidenzialismo. Il sistema dei partiti tradizionali e il parlamentarismo
democratico-borghese sono surrogati sempre più da individualità
le cui prerogative diventano ogni giorni più ampie. Il fenomeno non è
proprio originale. Hitler, uno che di gerarchie se ne intendeva, sostenne e
attuò il Führerprinzip, ossia il principio gerarchico autoritario
del “capo” in opposizione al sistema democratico-parlamentare che
impediva l’affermazione di personalità che si elevassero al di
sopra del livello medio.
Una struttura gerarchica, oltre che di un capo, necessità della catena
di comando intermedia; così è nelle organizzazioni gerarchiche
più sperimentate: l’esercito, la chiesa cattolica, il sistema feudale
e le aziende. Un condottiero, un venti per cento di capi e capetti e un ottanta
per cento di sudditi. Ricordate? era proprio il 20% dei docenti che poteva superare
il concorsaccio di Berlinguer e la stessa cifra, probabilmente, costituirà
l’ammontare dei tutor della ministra Brichetto.
L’organigramma gerarchico è perfetto e funzionale: una piramide
di sublime armonia pitagorica.
Gli elementi che tracciano la verticalizzazione delle strutture scolastiche
crediamo siano:
- La nomina politica dei direttori scolastici regionali, in osservanza dello
spoil system introdotto a seguito dell’affermazione del sistema elettorale
maggioritario; il DSR non è più un tecnico ma un politico minacciato
di revoca se non compiace il ministero. La vicenda delle minacce verso i collegi
dei docenti che non applicano la riforma Moratti, spedite dal MIUR nell’estate
2004 attraverso i docili e arrendevoli DSR dimostra la veridicità dell’asserzione.
- L’attribuzione ai capi d’istituto di funzioni dirigenziali con
il suo portato di poteri di spesa e di gestione delle risorse umane e materiali
a detrimento delle prerogative degli organi collegiali. Gestione aziendalista
con improvvisato piglio manageriale. Assieme al dirigente scolastico sono giunte
nelle scuole anche le RSU e la contrattazione d’istituto.
- L’intenzione dei governi di centro-sinistra, di centro-destra e dei
sindacati concertativi di trasformare in capetti una parte del personale docente
e Ata. Berlinguer, il centro-sinistra e la CGIL ci provarono nell’autunno
1999 con il concorsaccio: il 20% degli insegnanti, selezionati attraverso un
esame a quiz (venduti sotto banco dalla CGIL), avrebbe guadagnato sei milioni
di lire all’anno in più, senza svolgere mansioni diverse rispetto
ai docenti-paria. I lavoratori della scuola reagirono con decisione per cui
Berlinguer e soci si rimangiarono il progettino. Lo stesso, purtroppo, non avvenne
nel 2000 con le funzioni obiettivo per i docenti e le funzioni aggiuntive per
il personale ATA (trasformate dall’ultimo CCNL in funzioni strumentali
al POF e in incarichi specifici), anche se - per vari motivi - la portata “gerarchizzante”
di tali figure è stata limitata. Ultimi, in ordine di tempo, giungono
i tutor previsti dalla riforma Moratti. Aldilà di qualche dettaglio,
centrodestra e centrosinistra insistono nel tentativo di creare i “caporali”
tra i docenti e il personale Ata.
- Strettamente legata all’introduzione delle figure di sistema è
la questione delle carriere dei docenti. Nel CCNL del 2003 troviamo ben 2 articoli
in proposito. L’art. 22 prevede la costituzione di una commissione, composta
da ARAN, MIUR e sindacati concertativi, per elaborare ipotesi di carriera professionale
dei docenti. L’art. 43 contempla la possibilità di apportare modifiche
al contratto in relazione all’introduzione della riforma Moratti.
Il 24-5-04 la commissione prevista dall’art. 22 ha partorito un documento
di grande interesse. Sebbene il fine dichiarato dei firmatari del documento
(MIUR, ARAN e concertativi) sia l’introduzione di forme di differenziazione
tra i docenti, i nostri eroi non possono fare a meno di riconoscere il fallimento
delle esperienze già fatte all’estero, nelle quali la retribuzione
è determinata sul merito valutato sulla base “dei punteggi dei
test degli studenti o di valutazioni di supervisori” (DS e ispettori).
Il documento si spinge ancora più in là sostenendo che il valore
dei docenti costituisce il fattore principale della qualità della scuola
“più dell’organizzazione scolastica, della dirigenza o delle
condizioni finanziarie” e che la qualità dei docenti dipende molto
di più dalle “caratteristiche non osservabili” (capacità
comunicative, di gestione della classe, creatività, flessibilità,
ecc.) che da quelle “osservabili” (titoli accademici, formazione,
esperienze esterne e interne). In spregio a queste considerazioni, però,
vengono avanzati 4 criteri su cui basare la progressione di carriera dei docenti:
l’esperienza, i crediti formativi, i crediti professionali (derivati da
“incarichi specifici” come il tutor, funzionari per il supporto,
il tutoraggio, il coordinamento delle attività didattiche educative e
gestionali, le funzioni strumentali al POF) e la valutazione degli esiti dell’attività
didattica.
Insomma, nonostante il sistema del “merito misurato” sia inefficace,
secondo governo e sindacati concertativi, i docenti che meno insegnano dovranno
avanzare di grado e ciò consentirà loro di assumere altri incarichi
speciali (coordinamenti di dipartimenti, di progetti, di rete, tutor di insegnanti,
formazione di pari, ricerca, consulenza, ecc.) allontanandosi sempre più
dalle aule.
- La prospettata destrutturazione degli organi collegiali, diretta ad un trasferimento
di poteri verso la contrattazione sindacale d’istituto (vedi anche il
CCNL 2003) o direttamente al dirigente scolastico e ai suoi caporali (collaboratori,
figure di sistema, tutor). In questo senso vanno alcune proposte di legge speculari
del centro-destra e del centro-sinistra (sostenute attivamente dai sindacati
concertativi) che prevedono – tra l’altro - la riduzione del numero
di docenti e la scomparsa dei rappresentanti degli Ata nel Consiglio di circolo
o d’istituto e l’abolizione del Consiglio di classe. In questo modo
si contribuisce ad annullare ogni forma di cooperazione educativa e si riducono
a mere funzioni di ratifica le competenze degli organi collegiali.
- La gerarchizzazione applicata anche al sapere. La riforma Moratti è
lampante su questo: discipline maggiori (quelle obbligatorie) e minori (quelle
facoltative) con una netta distinzione di contenuti e metodologie, secondo ciclo
d’istruzione distinto in un sistema alto (quello dei licei) e un sistema
basso (l’istruzione professionale).
Sparisce in definitiva l’idea di unità della cultura che faticosamente
si era fatta strada e viene imposta una frantumazione del sapere.
Solitamente la gerarchizzazione viene spacciata dai suoi sostenitori come un
sistema premiale basato su logica meritocratica. Aldilà dei citati fallimenti
di un tale metodo, è esperienza diffusa che un sistema meritocratico
il cui controllo rimane nelle mani di una sola persona si riduce a pura sudditanza
nel quale chi sta sotto cerca di compiacere chi lo deve premiare. Più
che altro vogliono edificare un gigantesco apparato clientelare, in cui chi
sta sul gradino più basso instaura un rapporto di fedeltà personale
verso chi sta immediatamente sopra e chi sta sopra ricambia con la concessione
di benefici e di un’ampia discrezionalità nell’applicazione
delle norme nei rispettivi ambiti.
La gerarchizzazione si regge sulla differenza di funzioni e poteri ma anche
di retribuzioni. Alcuni “gradini” della scala hanno ricevuto negli
anni passati emolumenti adeguati al nuovo status: dirigenti scolastici e direttori
dei servizi generali e amministrativi. Per gli altri (Ata e docenti impiegati
come figure di sistema, collaboratori, ecc.) finora solo briciole e difficilmente
nel futuro immediato potranno ricevere somme consistenti, a fronte dei bilanci
statali in rosso. Ciò, indubbiamente, rappresenta un notevole ostacolo
alla subitanea introduzione di tutor e compagni.
I processi di gerarchizzazione che abbiamo tentato di tratteggiare stravolgono
la struttura di scuola pluralista e collegiale che le lotte dei lavoratori avevano
costruito nell’arco di alcuni decenni. Certo non è il modello di
scuola perfetta ma sicuramente è migliore dell’alluvione di carrierismi,
clientele e servilismo che vogliono imbandirci.
Vedi anche: aziendalizzazione
della scuola, dirigente,
potere,
staff