GERARCHIZZAZIONE
Carmelo Lucchesi, insegnante di sostegno S. M.S. “Dante Alighieri”, Palermo

La gerarchizzazione è uno dei principali ingredienti del generale processo di trasformazione che la scuola italiana sta subendo. Non è altro che il riflesso di quanto accade nella società ed in particolare in politica: sistema elettorale maggioritario, personalizzazione, leaderismi, presidenzialismo. Il sistema dei partiti tradizionali e il parlamentarismo democratico-borghese sono surrogati sempre più da individualità le cui prerogative diventano ogni giorni più ampie. Il fenomeno non è proprio originale. Hitler, uno che di gerarchie se ne intendeva, sostenne e attuò il Führerprinzip, ossia il principio gerarchico autoritario del “capo” in opposizione al sistema democratico-parlamentare che impediva l’affermazione di personalità che si elevassero al di sopra del livello medio.
Una struttura gerarchica, oltre che di un capo, necessità della catena di comando intermedia; così è nelle organizzazioni gerarchiche più sperimentate: l’esercito, la chiesa cattolica, il sistema feudale e le aziende. Un condottiero, un venti per cento di capi e capetti e un ottanta per cento di sudditi. Ricordate? era proprio il 20% dei docenti che poteva superare il concorsaccio di Berlinguer e la stessa cifra, probabilmente, costituirà l’ammontare dei tutor della ministra Brichetto.
L’organigramma gerarchico è perfetto e funzionale: una piramide di sublime armonia pitagorica.
Gli elementi che tracciano la verticalizzazione delle strutture scolastiche crediamo siano:
- La nomina politica dei direttori scolastici regionali, in osservanza dello spoil system introdotto a seguito dell’affermazione del sistema elettorale maggioritario; il DSR non è più un tecnico ma un politico minacciato di revoca se non compiace il ministero. La vicenda delle minacce verso i collegi dei docenti che non applicano la riforma Moratti, spedite dal MIUR nell’estate 2004 attraverso i docili e arrendevoli DSR dimostra la veridicità dell’asserzione.
- L’attribuzione ai capi d’istituto di funzioni dirigenziali con il suo portato di poteri di spesa e di gestione delle risorse umane e materiali a detrimento delle prerogative degli organi collegiali. Gestione aziendalista con improvvisato piglio manageriale. Assieme al dirigente scolastico sono giunte nelle scuole anche le RSU e la contrattazione d’istituto.
- L’intenzione dei governi di centro-sinistra, di centro-destra e dei sindacati concertativi di trasformare in capetti una parte del personale docente e Ata. Berlinguer, il centro-sinistra e la CGIL ci provarono nell’autunno 1999 con il concorsaccio: il 20% degli insegnanti, selezionati attraverso un esame a quiz (venduti sotto banco dalla CGIL), avrebbe guadagnato sei milioni di lire all’anno in più, senza svolgere mansioni diverse rispetto ai docenti-paria. I lavoratori della scuola reagirono con decisione per cui Berlinguer e soci si rimangiarono il progettino. Lo stesso, purtroppo, non avvenne nel 2000 con le funzioni obiettivo per i docenti e le funzioni aggiuntive per il personale ATA (trasformate dall’ultimo CCNL in funzioni strumentali al POF e in incarichi specifici), anche se - per vari motivi - la portata “gerarchizzante” di tali figure è stata limitata. Ultimi, in ordine di tempo, giungono i tutor previsti dalla riforma Moratti. Aldilà di qualche dettaglio, centrodestra e centrosinistra insistono nel tentativo di creare i “caporali” tra i docenti e il personale Ata.
- Strettamente legata all’introduzione delle figure di sistema è la questione delle carriere dei docenti. Nel CCNL del 2003 troviamo ben 2 articoli in proposito. L’art. 22 prevede la costituzione di una commissione, composta da ARAN, MIUR e sindacati concertativi, per elaborare ipotesi di carriera professionale dei docenti. L’art. 43 contempla la possibilità di apportare modifiche al contratto in relazione all’introduzione della riforma Moratti.
Il 24-5-04 la commissione prevista dall’art. 22 ha partorito un documento di grande interesse. Sebbene il fine dichiarato dei firmatari del documento (MIUR, ARAN e concertativi) sia l’introduzione di forme di differenziazione tra i docenti, i nostri eroi non possono fare a meno di riconoscere il fallimento delle esperienze già fatte all’estero, nelle quali la retribuzione è determinata sul merito valutato sulla base “dei punteggi dei test degli studenti o di valutazioni di supervisori” (DS e ispettori). Il documento si spinge ancora più in là sostenendo che il valore dei docenti costituisce il fattore principale della qualità della scuola “più dell’organizzazione scolastica, della dirigenza o delle condizioni finanziarie” e che la qualità dei docenti dipende molto di più dalle “caratteristiche non osservabili” (capacità comunicative, di gestione della classe, creatività, flessibilità, ecc.) che da quelle “osservabili” (titoli accademici, formazione, esperienze esterne e interne). In spregio a queste considerazioni, però, vengono avanzati 4 criteri su cui basare la progressione di carriera dei docenti: l’esperienza, i crediti formativi, i crediti professionali (derivati da “incarichi specifici” come il tutor, funzionari per il supporto, il tutoraggio, il coordinamento delle attività didattiche educative e gestionali, le funzioni strumentali al POF) e la valutazione degli esiti dell’attività didattica.
Insomma, nonostante il sistema del “merito misurato” sia inefficace, secondo governo e sindacati concertativi, i docenti che meno insegnano dovranno avanzare di grado e ciò consentirà loro di assumere altri incarichi speciali (coordinamenti di dipartimenti, di progetti, di rete, tutor di insegnanti, formazione di pari, ricerca, consulenza, ecc.) allontanandosi sempre più dalle aule.
- La prospettata destrutturazione degli organi collegiali, diretta ad un trasferimento di poteri verso la contrattazione sindacale d’istituto (vedi anche il CCNL 2003) o direttamente al dirigente scolastico e ai suoi caporali (collaboratori, figure di sistema, tutor). In questo senso vanno alcune proposte di legge speculari del centro-destra e del centro-sinistra (sostenute attivamente dai sindacati concertativi) che prevedono – tra l’altro - la riduzione del numero di docenti e la scomparsa dei rappresentanti degli Ata nel Consiglio di circolo o d’istituto e l’abolizione del Consiglio di classe. In questo modo si contribuisce ad annullare ogni forma di cooperazione educativa e si riducono a mere funzioni di ratifica le competenze degli organi collegiali.
- La gerarchizzazione applicata anche al sapere. La riforma Moratti è lampante su questo: discipline maggiori (quelle obbligatorie) e minori (quelle facoltative) con una netta distinzione di contenuti e metodologie, secondo ciclo d’istruzione distinto in un sistema alto (quello dei licei) e un sistema basso (l’istruzione professionale).
Sparisce in definitiva l’idea di unità della cultura che faticosamente si era fatta strada e viene imposta una frantumazione del sapere.
Solitamente la gerarchizzazione viene spacciata dai suoi sostenitori come un sistema premiale basato su logica meritocratica. Aldilà dei citati fallimenti di un tale metodo, è esperienza diffusa che un sistema meritocratico il cui controllo rimane nelle mani di una sola persona si riduce a pura sudditanza nel quale chi sta sotto cerca di compiacere chi lo deve premiare. Più che altro vogliono edificare un gigantesco apparato clientelare, in cui chi sta sul gradino più basso instaura un rapporto di fedeltà personale verso chi sta immediatamente sopra e chi sta sopra ricambia con la concessione di benefici e di un’ampia discrezionalità nell’applicazione delle norme nei rispettivi ambiti.
La gerarchizzazione si regge sulla differenza di funzioni e poteri ma anche di retribuzioni. Alcuni “gradini” della scala hanno ricevuto negli anni passati emolumenti adeguati al nuovo status: dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi. Per gli altri (Ata e docenti impiegati come figure di sistema, collaboratori, ecc.) finora solo briciole e difficilmente nel futuro immediato potranno ricevere somme consistenti, a fronte dei bilanci statali in rosso. Ciò, indubbiamente, rappresenta un notevole ostacolo alla subitanea introduzione di tutor e compagni.
I processi di gerarchizzazione che abbiamo tentato di tratteggiare stravolgono la struttura di scuola pluralista e collegiale che le lotte dei lavoratori avevano costruito nell’arco di alcuni decenni. Certo non è il modello di scuola perfetta ma sicuramente è migliore dell’alluvione di carrierismi, clientele e servilismo che vogliono imbandirci.

Vedi anche: aziendalizzazione della scuola, dirigente, potere, staff