POTERE
Alessandro Palmi, insegnante di chimica, Itis (Bologna)
Tra i molti significati che la parola potere assume nelle relazioni
umane, qui vorrei affrontare in modo particolare due aspetti, quello del potere
inteso come percezione personale (il sentimento del potere) unitamente all’aspetto
qualitativo e relazionale del potere stesso.
Il sentimento del potere, in un contesto dato, nasce dall’incrocio di
due variabili principali esprimibili come: “il potere che sento di avere
sugli altri” ed “il potere che sento che gli altri hanno su di me”;
questo potere può essere vissuto come una quantità fissa, a somma
costante (se aumenta il mio potere diminuisce quello altrui) od a somma variabile
(il mio potere può aumentare insieme a quello altrui). Il primo vissuto
è tipico di un modello culturale basato sulla competizione, sull’obbedienza
cieca e la dipendenza come valori, sul conflitto come patologia; il secondo
prevede la collaborazione, il dissenso ed il consenso come valori ed il conflitto
come possibile risorsa.
E’ fin troppo evidente quale dei modelli culturali abbozzati dovrebbe
essere proprio della scuola
Vediamo che tipo di potere e quali relazioni si giocano nelle
scuole, sia dal punto di vista formale che informale. Si potrebbe dire, chi
comanda nella scuola?
Non affrontiamo qui tutte le relazioni di potere che si instaurano tra le diverse
figure professionali della scuola, come tra personale insegnante e personale
ata, o quelle interne alla stessa relazione didattica, tra insegnante e studente,
che in altri lemmi costituiscono il centro dell’attenzione; cercheremo
di considerare il clima di potere generale che si vive all’interno dell’istituzione.
Dal punto di vista formale da anni stiamo vivendo una grossa trasformazione.
Il preside (o direttore) rappresentava il “potere ministeriale”
nella scuola, era il delegato, il referente funzionale di una autorità
superiore che rimaneva comunque esterna alla particolare scuola; questo soggetto
traeva ed esercitava il potere rispetto alla “norma”, limitandosi,
formalmente, ad applicare regolamenti e circolari, non era infatti un soggetto
atto alla negoziazione di tipo sindacale. Tutti gli altri dipendenti erano uguali
(formalmente), i collaboratori venivano votati dal Collegio e l’anzianità
era l’unico elemento che differenziava la carriera retributiva (oltre
all’inquadramento iniziale con cui si veniva assunti). Le principali relazioni
di “potere” formale riguardavano il rapporto docente – collegio
e docente – consiglio di classe, in questo campo il principio di libertà
di insegnamento, fungeva da garanzia per il singolo in rapporto al soggetto
collettivo.
Ora esiste la figura del Dirigente Scolastico (DS); soggetto che possiede un
potere reale da agire anche direttamente sui "sottoposti" (non è
un caso che molta della polemica attuale e molte proposte di varie parti politiche
vertano proprio sulla quantità e qualità di potere da delegare
ai DS), diviene titolare di relazioni sindacali, nomina (secondo l’interpretazione
ufficiale) direttamente i suoi collaboratori e che, in prospettiva, dovrebbe
anche arrivare ad assumere o meno il personale.
Dal punto di vista informale la situazione era molto più variegata, stante
la mancanza di strutturazione rigida nell’organizzazione del lavoro era
proprio nell’informale che si ridefinivano i veri rapporti di potere e
le vere modalità di funzionamento relazionale; le quali risultavano essere
anche molto diverse da scuola a scuola. Le fonti del potere nascevano ad esempio:
- Dall’autorevolezza personale del singolo
- Dal tipo di materia insegnata in relazione al tipo di scuola (pensate al “potere”
del docente di lettere in un liceo classico od in un istituto professionale)
- Dall’anzianità interna alla singola scuola
- Dal tipo di inquadramento (ITP, sostegno, precari ecc…)
- Dall’appartenenza o meno a lobby od altri gruppi informali
Questa non coincidenza tra le fonti del potere agito nelle relazioni e la struttura
organizzativa formale generava tutta la serie di situazioni che si potevano
incontrare nelle varie scuole (senza voler esprimere un giudizio di valore);
probabilmente potrebbe essere un elemento di riflessione utile a comprendere
conflitti e cambiamenti attuali e le diverse ricadute sulle singole scuole.
Il potere è intimamente collegato anche al reddito; il danaro è
uno dei fondamentali parametri di status riconosciuti dal modello culturale
dominante, istintivamente può scattare l'equivalenza più danaro
più potere; se nella scuola si osservano le dinamiche relazionali (in
particolare informali) e quelle salariali dei diversi inquadramenti si trova
che questa implicita equivalenza è sostanzialmente rispettata (generalmente
chi “conta di più” ha un salario più alto). Questo
fatto mette in relazione diretta la questione del potere a quella del salario
(o stipendio?)
Sono in atto nella scuola vari tentativi di ridisegnare le “mappe del
potere”, per far si che queste si adeguino al nuovo modello di scuola
aziendalizzata al servizio della logica mercantile, uno degli strumenti utilizzati
è quello della carriera e della dinamica salariale. Da oltre un decennio
si sperimentano forme di salario incentivante per introdurre differenziazioni
tra i dipendenti; ma la quantità di tali incentivi è fonte di
contraddizione, perché, una volta garantita una soglia di soddisfazione
minima dei bisogni, il semplice incentivo economico non è più
sufficiente.Nel caso specifico della scuola siamo di fronte ad una consistenza
davvero scarsa di tali incentivi. Si pensi, però, ai conflitti, alle
tensioni, al disgusto che la divisione di queste cifre provoca nel sistema scuola…
Questo dipende dal fatto che il salario è stato trasformato in una risorsa
scarsa, anche nella percezione individuale (oltre che dal punto di vista quantitativo);
il concetto di scarsità connota fortemente il salario in termini di competitività,
invidia (tutti concetti legati ad un certo tipo di potere) e dà un senso
nuovo all'incentivo (in particolare diviene importante, oltre alla sua consistenza,
il fatto che "io lo prendo e tu no"). Inoltre la logica della dinamica
salariale legata a fattori di selezione tra il personale, mette in crisi un
aspetto fondamentale nel lavoro didattico collegiale: la sua gratuità,
ossia il fatto che le esperienze, i materiali, le innovazioni didattiche vengano
liberamente condivise, se questi elementi diventano un potenziale elemento di
progressione di carriera cominceranno ad essere gelosamente custoditi.
Un altro strumento è quello volto alla creazione di figure intermedie
che dovrebbero costruire quella gerarchia formale attualmente assente nelle
scuole, ma necessaria alla creazione di un modello aziendale e privatistico
basato sulla competizione tra dipendenti di una istituzione scolastica e tra
le istituzioni stesse. Possiamo già enumerare diversi esperimenti: dalle
funzioni obiettivo, all'infame tentativo del cosiddetto concorsone, per finire
attualmente con la pretesa di introdurre il tutor e con le linee contenute nei
documenti prodotti dal tavolo paritetico istituito ai sensi dell’art.
22 dell’ultimo contratto nazionale.
Tutti tentativi che incrociando in diverso modo le variabili del salario e della
carriera, tendono comunque a ridisegnare le relazioni di potere tra i dipendenti
verso un modello di potere somma zero, dove il possesso ed il controllo prevalgono
sulla condivisione, la competizione sulla collegialità; dove non varranno
“valutate” astratte professionalità, ma concrete forme di
adesione e fedeltà all’istituzione e sottomissione alle gerarchie
che si vorrebbero costruire.
Appare evidente che una reale “lotta per la democrazia” nella scuola
non può prescindere da una attenta analisi di quelli che sono i rapporti
di potere tra tutti i soggetti coinvolti, sia dal punto di vista informale che
formale. In questo senso in un prossimo futuro rivestiranno grande rilevanza,
oltre a quelli già citati, altri fattori quali il completo dispiegarsi
della dirigenza scolastica (forse l’elemento più devastante) ed
il futuro assetto degli organi collegiali, che, ben lungi dal rappresentare
momenti di reale partecipazione, si vorrebbero trasformare in organi di governo
autoritario.
Non ci saranno molti spazi per illusioni personali e fughe all’interno
del microcosmo della propria classe; le nuove forme di potere e relazioni verticali,
di carriere e competizioni che si vanno delineando avranno fortissime ricadute
anche sull’impianto pedagogico si trasferiranno anche a livello della
relazione con gli studenti; se diviene dominante un modello di riferimento aziendale
per la scuola (la cui merce sarà giocoforza l’istruzione), come
si potrà/dovrà agire per mantenere uno spazio indipendente alla
scuola, cioè proporre una scuola che non lavori per un semplice adeguamento
al modello sociale dominante di chi la frequenta; ma al contrario si ponga l’obiettivo
di andare oltre una semplice trasmissione delle conoscenze per arrivare ad una
costruzione condivisa dei saperi anche in funzione critica.
Ci potranno essere forti elementi di demotivazione da parte di chi (per svariati
motivi) si sentirà estraneo al nuovo modello, sia vivendo una condizione
di "potuto" in relazione alle nuove dinamiche relazionali sia per
un forte rigetto dovuto ad inconformità culturale
La nostra risposta non può essere che volta alla costruzione di un sistema
dove le relazioni siano il più possibili orizzontali, dove il potere
sia distribuito e lievitativo, cioè dove tutti i soggetti coinvolti possano
veder accrescere la propria quota di potere non a scapito degli altri, ma come
elemento di crescita collettiva e costruzione di “nuovo potere”;
una democrazia partecipata, un’autogestione dal basso non certo una “autonomia
del dirigente scolastico”.
Vedi anche: collaboratori/trici-bidello/a,
gerarchizzazione,
salario,
studente
(visto da uno studente), insegnante
(visto da uno studente), tutor