STUDENTI (visti da un insegnante)
Andrea Bagni (Firenze)

Come sono gli studenti oggi, nessuno lo sa davvero.
Si sa che sono un casino. Membri di un’altra tribù - quella forse della famosa «terza fase», che conosce sempre meno la forma-libro, concatenazione ordinata e sequenziale del ragionamento che richiede un’attenzione concentrata: sono (sembrano essere) per l’ibridazione, l’ipertesto, la simultaneità.
Provate a guardarli, non dico a scuola (dove spesso mandano le loro disciplinate controfigure studentesche) ma al cinema: riescono a seguire il film e insieme parlare sottovoce con chi è vicino, telefonare o rispondere al cellulare, andare al bar, «messaggiarsi» con chi è lontano. Da non si interrompe un’emozione al non si interrompe la comunicazione. E non c’è più alcuna sacralità del testo.
Il gruppo dei pari è fondamentale: quasi una famiglia propria, di soli fratelli e sorelle. Protettiva, nell’epoca dell’incertezza generale, della società liquida dove tutto è mobile e precario (a partire dal lavoro, un tempo cuore dell'identità). Dove la speranza di grandi cambiamenti sembra tramontata.
Ha scritto Marco Lodoli della generazione anni 70 che «tutti in una cabina, avevano un gettone solo e volevano chiamare dio»; loro hanno sempre »poche tacche» o «poco credito», e dio potrebbe avere il cellulare spento o irraggiungibile...
Anche nelle «occupazioni» la politicità più autentica della scuola spesso sembra scomparire (tempo e ritmi e contenuti della «macchina«, miseria e nobiltà delle relazioni di scuola) sostituita dalla banale imitazione, in qualche volantino scopiazzato da altri, della Grande Politica Adulta.
Noi insegnanti siamo il gruppo dei dispari, asimmetrici - quando riusciamo a non essere patetici eterni adolescenti. Se va bene funzioniamo, mi sembra, come una specie di sponda, triangolazione che crea un contesto, una struttura, un set.
Verso quel contesto, comunque, si sente una specie di odio-amore che segnala come quella «zona di vita» sia significativa. Perché ci si annoia, certo, e si soffre a scuola - soprattutto nelle scuole superiori temo (e soprattutto i maschi, in crisi spesso con l’apprendimento e con se stessi).
Un mare di pagine e voti, discipline e scadenze e orari avvolgono tutti e tutte. E debiti crediti certificazioni. Portfolii. Una «pedagogia nera» docente, da micropotere vendicativo (la canalizzazione precoce della Moratti esercita una inconfessabile attrattiva sui molti che sognano di potersi liberare, magari «per recuperarli» in scuole coerenti con le loro «vocazioni», dei «quasi adatti»: quelli cioè che in classe rompono…).
Rispetto a questa scuola ragazze e ragazzi mi sembra che imparino presto a galleggiare senza troppi danni, riservando se stessi per altro, altrove. All'istituzione finiscono per chiedere «il diploma», in un certo senso legittimati dall’aver subito tutta la megamacchina così com’è; basta che poi non chieda più della restituzione burocratica di pagine e capitoli. Che disciplini magari i corpi e le menti, ma non rompa l’anima. Quella la tengono per sé.
Ma dall’altro lato mi sembrano anche chiedere di più: qualcos’altro fuori dell’orario della classe, e di altro «registro». Allora paradossalmente diventa difficile (almeno per me «maschio adulto», come dicono in «E.R.») ritrovare un set giusto, fuori dall’istituzione che imprigiona ma filtra, distillando sentimenti dalla forma intellettuale già sperimentata e meno «pericolosa». Forse ragazze e ragazzi cercano quella specie di sponda, confine e contesto, di cui dicevo; un punto di riferimento perfino per delle passioni personali (che non ti aspetteresti); ti chiedono di consigliargli dei libri, di continuare a vedersi anche finita la scuola. Per parlare liberamente precisano.
Nella libertà (quella che Moratti-Bertagna cancellano in nome della retorica di una personalizzazione in realtà organicistica) è un possibile dialogo.
Difficile ma capace di dare un po’ di senso - e di felicità magari - a ragazze ragazzi, adulti e adulte.
Perfino a noi insegnanti.

Vedi anche: classe (vista da una insegnante), classe(vista da una studentessa), spazio pubblico, studenti (visti da uno studente)