La figura dello studente è estremamente complessa e le sfaccettature attraverso cui analizzarla potrebbero essere infinite. Per ragioni di sintesi ne tratterò solo due che ritengo centrali: lo studente come parte di un gruppo classe e lo studente come soggetto attivo o passivo nell’organizzazione della scuola e nell’attività della classe.
Uno studente delle secondarie superiori trascorre a scuola
almeno 30 ore settimanali, in cui il rapporto con i compagni di classe è
costante, mentre ogni insegnante è presente in classe mediamente tra
le due e le sei ore. Basterebbe questo dato a rendere evidente l’assurdità
di qualunque teoria o impostazione che non consideri come centrali nella relazione
didattico-educativa anche i rapporti e le dinamiche all’interno del gruppo-classe.
Credo poi che l’importanza delle relazioni umane e sociali tra compagni
di classe sia ben presente nei ricordi di tutti: chi non ha vissuto momenti
di amicizia e solidarietà, esperienze collettive, ma anche conflitti
da gestire e risolvere, o situazioni di esclusione ed emarginazione? Chi non
ha vissuto nel gruppo-classe processi di maturazione e socializzazione fondamentali
negli anni dell’adolescenza?
E’ nella vita di classe, inoltre, che si entra in contatto con valori
quali la solidarietà, l’aiuto reciproco, la collaborazione tra
pari, assai poco diffusi nel resto della società.
Ben lungi dal considerare e valorizzare il ruolo del gruppo-classe nella formazione
degli studenti, le recenti riforme e proposte di riforma del mondo della scuola
(dall’Autonomia Scolastica al Rapporto Bertagna e a vari altri provvedimenti
del ministro Moratti) hanno avuto come denominatore comune la tendenza alla
disgregazione della classe, in favore di un sistema più “flessibile”,
ispirato al modello anglosassone.
L’idea portata avanti più o meno esplicitamente sia da esponenti
del centro-destra sia del centro-sinistra consiste nel "superamento della
vecchia e statica concezione di classe" in nome di una sistema più
flessibile, con classi, interclassi e gruppi di livello e rotazione continua
di studenti e insegnanti. In realtà un sistema simile metterebbe in discussione
quel fondamentale bagaglio di esperienze umane che uno studente può acquisire
solo nella vita di classe, senza d’altro canto fornire reali vantaggi
da un punto di vista strettamente didattico. Inutile dire poi come tali progetti
si inseriscano perfettamente nei disegni più complessivi di mercificazione
dell’istruzione trattati in modo approfondito in altri capitoli. Un sapere
mercificato, quantificato, parcellizzato, infatti, può tranquillamente
essere fornito (o venduto) singolarmente ai singoli studenti, mentre se per
istruzione intendiamo anche l’acquisizione di metaconoscenze, la formazione
di una coscienza critica, la crescita collettiva, allora il sistema della scuola
aziendalizzata e flessibilizzata mostra tutti i suoi limiti.
I problemi legati alla democrazia interna alla scuola e al
ruolo degli studenti nella comunità scolastica sono stati posti con forza
già dai movimenti del ’68 e, in modo ancor più radicale,
da quelli del ’77. I Decreti Delegati sono stati una risposta a queste
pressioni, una risposta assolutamente parziale, tesa anzi a “normalizzare”
e depotenziare le istanze dei movimenti studenteschi.
La fase attuale vede da un lato una progressiva perdita di senso degli organi
collegiali e in generale delle varie forme di coinvolgimento formale della componente
studentesca nell’attività della scuola (le stesse Assemblee d’Istituto
vengono spesso viste come giorni di vacanza!), dall’altro una serie di
tentativi da parte del governo e di gran parte dei dirigenti scolastici di restringere
ulteriormente i diritti degli studenti.
Al di là della sacrosanta difesa dei diritti acquisiti, credo sia importante
che si crei una sinergia tra rivendicazioni degli studenti e di insegnanti e
personale ATA, evitando assurde contrapposizioni. La stessa rivendicazione della
pariteticità tra studenti e insegnanti nel Consiglio d’Istituto
è a mio parere giusta ma non centrale. Centrale è invece la capacità
di proporre e sperimentare nuovi modelli di gestione della comunità scolastica,
improntate ai principi di orizzontalità e collegialità, rifiutando
a tutti i livelli il concetto di gerarchia, riprendendo o reinventando forme
di democrazia diretta e partecipativa, ed inserendo in questi percorsi un reale
coinvolgimento della componente studentesca.
Può sembrare una scommessa persa in partenza, in un periodo in cui qualunquismo,
passività e disinteresse sono estremamente diffusi tra gli studenti,
ma se consideriamo tali atteggiamenti non come ineluttabili ma come conseguenza
di un determinato modello di scuola (oltre che di un modello sociale e culturale
dominante) è inevitabile pensare che l’unica possibile soluzione
a lungo termine consista nell’affrontare con coraggio la sfida della responsabilizzazione
degli studenti.
Vedi anche: studenti
(visti da un insegnante) , classe
(vista da una insegnante), classe
(vista da una studentessa) , potere