Un ragionamento sulle idee di classe che emergono nel lavoro
scolastico e sui loro significati oggi contrapposti appare particolarmente necessario
oggi, quando la frenesia modernizzante e demolitrice della Legge Moratti mette
a dura prova anche questo tra i molti aspetti della nostra idea di scuola.
Si può partire da poche e quasi scontate considerazioni sulla centralità
della classe nel riconoscimento e nella mappatura delle diverse concezioni pedagogiche:
una vera cartina al tornasole.
La classe è spesso sbrigativamente accantonata, relegata nell’immaginario
al luogo “vuoto”, al gruppo “vuoto”, privo di autonomia,
di caratteristiche e di relazioni proprie, determinato solo dalla somma astratta
dei suoi componenti. A quest’idea “negativa”, non connotata,
se ne può idealmente contrapporre una alternativa, che nella classe vede
il primo momento del fare scuola, il cronotopo del lavoro scolastico: un prodotto
e non una somma; un vero laboratorio, un luogo di scambio, un tempo “pieno”
e non solo un luogo di riempimento, di sosta o di attesa.
Anche nel corso di una lunghi anni sui banchi, come studentessa, ho imparato
a riconoscere, tra i miei insegnanti, quanti tendevano a relazionarsi solo con
ventitre individui e quanti riuscivano a tener conto delle dinamiche d’insieme,
quanti nello stesso tempo lavoravano per gli studenti e per la classe.
Ho imparato a distinguere il tempo di lavoro in classe, che è apprendimento
attivo, cooperativo, dialogico, da un’idea meccanica di classe, come pura
assunzione di cose dette e spiegate da lontano.
La centralità dell’elemento classe è indissolubilmente collegata
a un’idea di insegnamento/ apprendimento democratico, fondato sullo scambio
reciproco, sul dialogo che, a differenza della conversazione, è sempre
costruttivo, e a differenza della chiacchiera ha sempre un contenuto, ed è
quindi un momento di crescita per eccellenza. Dialogo tra pari, che del sapere
si appropriano e divengono partecipi e lo “costruiscono” con il
loro lavoro; dialogo con l’adulto/educatore/insegnante, che non si limita
ad esercitare la pura funzione di erogatore di conoscenze assumibili indipendentemente
dal loro contesto.
Il lato più scottante del tema riguarda forse la difficoltà di
pensare la scuola in termini cooperativi e non competitivi; uno sforzo ben presente
all’interno della scuola, ma che viene completamente cancellato da un’idea
educativa rivolta a individui, in perenne competizione tra di loro (a cosa altro
fa pensare l’inquietante presenza del merito tra i criteri per la formazione
dei gruppi alternativi alla classe?), abituati fin da piccoli ad essere valutati
in base al numero di conoscenze acquisite.
In secondo luogo, il mondo della classe è un mondo di relazioni. Lo scambio
di sapere avviene in una relazione paritaria e significativa. La relazione è
fatto scolastico e anche personale. Nella classe si trova un mondo di relazioni
interpersonali, preziose per la crescita, e di fatto oggetto di apprendimento,
non certo nel senso del trito detto che “la scuola è lo specchio
della società”, ma proprio perché, nel confronto tra pari,
i ragazzi acquistano un’autonomia di relazioni che appartiene alla loro
crescita.
L’aspetto relazionale sarebbe del resto uno dei primi a venir disgregato
in una scuola che si limitasse a proporre (imporre?) pezzi di argomenti e di
attività a studenti sempre più individualizzati, che vagano da
un gruppo all’altro.
Anche laddove le relazioni tra pari in classe presentano problemi (penso a un
fenomeno come il bullismo), forse proprio il recupero di una dimensione cooperativa
e relazionale può offrire le vie d’uscita che una repressione,
in sé inutile se non controproducente, cancella.
L’ultimo aspetto caldo, ben presente a chiunque abbia almeno una volta
messo piede in una classe, si chiama “Livello”. Uno dei temi di
discussione più ricorrenti, almeno a partire dalla scuola media, è
il livello della classe, che oggi sentiamo rovesciato nella classe di livello.
Un’unica concezione è sottesa alle due espressioni: la classe deve
essere un insieme omogeneo di persone, dotate delle stesse caratteristiche,
anche culturali e scolastiche, e quindi dello stesso “livello”;
in tale cornice la differenza, qualsiasi essa sia, è percepita come un
problema, un limite. È possibile invece pensare anche il contrario: che
la vera dimensione della classe valorizzi le differenze, proprio mentre tende
a ridurre gli svantaggi, perché la classe è il luogo di un sapere
trasparente nel suo farsi.
In tale cornice, anche l’ostacolo superato diventa motivo di esperienza;
e a quanti decantano le gioie dei gruppi di livello, si potrebbe finalmente
elencare le esperienze di inserimenti di studenti con difficoltà: esperienze
che, quando riescono, sono momenti di crescita per tutti, anche per i cosiddetti
“normali” che imparano a confrontarsi con tutti senza steccati e
pregiudizi.
Si può poi discutere se la classe possa rappresentare l’unica possibile
dimensione non competitiva all’interno del mondo della scuola. Probabilmente
esperienze alterative, in aggiunta e non in antagonismo con quella di classe,
possono anche essere positive, ma solo a condizione che non si tratti di “isole”,
di parentesi non competitive destinate a richiudersi presto in una routine che
è fatta di altro; a condizione che la dimensione collaborativa sia credibile
e reale per gli studenti grazie a un precedente lavoro di classe.
Vedi anche: classe (vista da una insegnante), gruppo di livello, personalizzazione, ricreazione,