Nell’orario scolastico esistono
momenti che, per prassi consolidata, vengono riservati alla ricreazione degli
studenti. La loro regolazione - durata, numero, modalità di svolgimento
- è competenza dell’istituzione scolastica tramite il Regolamento
d’istituto. Il tempo della ricrazione fa parte del monte ore della
didattica, l’insegnante ne ha la responsabilità.
La finalità va dalla mera soddisfazione di bisogni fisiologici - andare
in bagno, fare merenda – alla rigenerazione fisica e psicologica, fino
a diventare un’attività intensissima e di grande investimento emotivo
per molti studenti: il vero fulcro dell’interesse scolastico per tantissimi
giovani in età scolare. La sua durata varia. Solitamente lunga e ripetuta
nelle scuole materne, tende a ridursi con la crescita dell’età
degli studenti fino a soli 10 minuti nelle scuole medie e superiori. Qualora
esistano modelli di organizzazione scolastica alternativi (come il modulo e
il tempo pieno nella scuola elementare) i modelli con tempi distesi comprendono
anche ricreazioni distese.
Nelle scuole elementari e materne la ricreazione costituisce il tempo socializzante
non strutturato, è l’ambito dedicato alla crescita in autonomia;
per l’insegnante è il momento ideale per osservare senza intromissione.
Se si accetta l’assunto che la socializzazione è un elemento decisivo
della dimensione scolastica a questa età, allora – poiché
essa non cresce solo nei momenti didattici e nemmeno sono sufficienti le situazioni
adidattiche, la ricreazione diviene un momento essenziale della giornata scolastica.
Per di più, per le caratteristiche che la vita nelle grandi città
è venuta assumendo negli ultimi decenni, sono sempre più numerosi
i bambini che maturano le uniche esperienze di gioco libero con coetanei negli
intervalli.
Il ruolo dell’insegnante è moteplice: quasi sempre fa l’organizzatore
della cornice, il garante del clima disteso e dell’inclusione di tutti
e tutte; saltuariamente produce stimoli introducendo nuovi giochi, fissando
regole, proponendo la riflessione comune e la conseguente riorganizzazione.
L’insegnante può però anche introdurre elementi di degrado
dell’intervallo: il suo uso come merce di scambio, “il ricatto”,
la “concessione in cambio di”; classici sono l’annullamento
per punizione o la sottrazione dei tempi per il recupero della didattica (“chi
non ha terminato lo fa durante la ricreazione” oppure “salti due
ricreazioni così impari a comportarti come si deve”).
Nella scuola media cambia tutto. Si passa dalla ricreazione lunga della scuola
elementare ai 10 minuti con i tempi tayloristicamente contingentati dove deve
rientrare sia il panino che il passaggio in bagno. Il trauma è grande
soprattutto perché questo passaggio non è graduale e non viene
supportato da attività socializzanti e di conoscenza degli allievi tra
loro, infatti – utile ricordarlo – questo elemento di discontinuità
è introdotto insieme agli altri fin da settembre, quando in classe tra
studenti non ci si conosce. Il senso della pausa perde il valore di scambio
libero di socialità per venire schiacciato sull’alternativa tra
saggio espletamento delle funzioni fisiologiche oppure poco ragionevole perdita
di tempo. Questo è forse il momento più critico, quando ancora
gli studenti non hanno la possibilità di ritagliarsi spazi diversi di
autonomia socializzante – alle scuole superiori cominceranno a vedersi
fuori dalla scuola – per cui rimangono semplicemente amputati di questa
dimensione nell’attesa di ricostruirsela altrove. La scuola non è
disposta a riconoscerla: si arrangino con i frammenti del cambio di insegnante.
Pochi anni dopo, alle superiori, il passaggio si è consumato. In molte
scuole c’è il bar ed è scientificamente impossibile acquistarsi
e mangiare un panino nei tempi a disposizione… figuriamoci parlare. Ma
i frammenti di tempo autonomo hanno preso consistenza: al bar si va durante
l’ora più pesante o noiosa, il corridoio e il bagno riemergono
come luoghi di socialità altra, spesso distante dalla percezione degli
insegnanti. L’intervallo, con i suoi striminziti 10 minuti rimane lì
appeso, oggetto di una continua contesa di attribuzione della responsabilità
tra docenti dell’ora precedente e seguente. Un tempo di relazione che
è talmente distante dal profilo di competenze dell’insegnante –
tutto costruito sulle discipline – che finisce per costituire il terrore
per alcuni o un’interessante apertura sul mondo studentesco per altri.
E’ infine degno di riflessione il fatto che non solo nei grandi progetti
di riforma e documenti di discussione sugli assetti scolastici e sui nuovi saperi,
non solo nei curricoli di scienze della formazione, ma persino nello Statuto
degli studenti questa dimensione della quotidianità scolastica non
venga menzionata. Sembra definibile solo in negativo: non scuola, non didattica,
non degna di riflessione. Tant’è. Ogni riflessione su questo aspetto
non può che nascere e crescere dal basso, fuori dall’accademia
e dall’ingegneria delle riforme, nel confronto tra chi la scuola la vive
giorno per giorno. Studenti e insegnanti.