RICREAZIONE
Gianluca Gabrielli (Bologna)

Nell’orario scolastico esistono momenti che, per prassi consolidata, vengono riservati alla ricreazione degli studenti. La loro regolazione - durata, numero, modalità di svolgimento - è competenza dell’istituzione scolastica tramite il Regolamento d’istituto. Il tempo della ricrazione fa parte del monte ore della didattica, l’insegnante ne ha la responsabilità.
La finalità va dalla mera soddisfazione di bisogni fisiologici - andare in bagno, fare merenda – alla rigenerazione fisica e psicologica, fino a diventare un’attività intensissima e di grande investimento emotivo per molti studenti: il vero fulcro dell’interesse scolastico per tantissimi giovani in età scolare. La sua durata varia. Solitamente lunga e ripetuta nelle scuole materne, tende a ridursi con la crescita dell’età degli studenti fino a soli 10 minuti nelle scuole medie e superiori. Qualora esistano modelli di organizzazione scolastica alternativi (come il modulo e il tempo pieno nella scuola elementare) i modelli con tempi distesi comprendono anche ricreazioni distese.
Nelle scuole elementari e materne la ricreazione costituisce il tempo socializzante non strutturato, è l’ambito dedicato alla crescita in autonomia; per l’insegnante è il momento ideale per osservare senza intromissione. Se si accetta l’assunto che la socializzazione è un elemento decisivo della dimensione scolastica a questa età, allora – poiché essa non cresce solo nei momenti didattici e nemmeno sono sufficienti le situazioni adidattiche, la ricreazione diviene un momento essenziale della giornata scolastica. Per di più, per le caratteristiche che la vita nelle grandi città è venuta assumendo negli ultimi decenni, sono sempre più numerosi i bambini che maturano le uniche esperienze di gioco libero con coetanei negli intervalli.
Il ruolo dell’insegnante è moteplice: quasi sempre fa l’organizzatore della cornice, il garante del clima disteso e dell’inclusione di tutti e tutte; saltuariamente produce stimoli introducendo nuovi giochi, fissando regole, proponendo la riflessione comune e la conseguente riorganizzazione. L’insegnante può però anche introdurre elementi di degrado dell’intervallo: il suo uso come merce di scambio, “il ricatto”, la “concessione in cambio di”; classici sono l’annullamento per punizione o la sottrazione dei tempi per il recupero della didattica (“chi non ha terminato lo fa durante la ricreazione” oppure “salti due ricreazioni così impari a comportarti come si deve”).
Nella scuola media cambia tutto. Si passa dalla ricreazione lunga della scuola elementare ai 10 minuti con i tempi tayloristicamente contingentati dove deve rientrare sia il panino che il passaggio in bagno. Il trauma è grande soprattutto perché questo passaggio non è graduale e non viene supportato da attività socializzanti e di conoscenza degli allievi tra loro, infatti – utile ricordarlo – questo elemento di discontinuità è introdotto insieme agli altri fin da settembre, quando in classe tra studenti non ci si conosce. Il senso della pausa perde il valore di scambio libero di socialità per venire schiacciato sull’alternativa tra saggio espletamento delle funzioni fisiologiche oppure poco ragionevole perdita di tempo. Questo è forse il momento più critico, quando ancora gli studenti non hanno la possibilità di ritagliarsi spazi diversi di autonomia socializzante – alle scuole superiori cominceranno a vedersi fuori dalla scuola – per cui rimangono semplicemente amputati di questa dimensione nell’attesa di ricostruirsela altrove. La scuola non è disposta a riconoscerla: si arrangino con i frammenti del cambio di insegnante.
Pochi anni dopo, alle superiori, il passaggio si è consumato. In molte scuole c’è il bar ed è scientificamente impossibile acquistarsi e mangiare un panino nei tempi a disposizione… figuriamoci parlare. Ma i frammenti di tempo autonomo hanno preso consistenza: al bar si va durante l’ora più pesante o noiosa, il corridoio e il bagno riemergono come luoghi di socialità altra, spesso distante dalla percezione degli insegnanti. L’intervallo, con i suoi striminziti 10 minuti rimane lì appeso, oggetto di una continua contesa di attribuzione della responsabilità tra docenti dell’ora precedente e seguente. Un tempo di relazione che è talmente distante dal profilo di competenze dell’insegnante – tutto costruito sulle discipline – che finisce per costituire il terrore per alcuni o un’interessante apertura sul mondo studentesco per altri.
E’ infine degno di riflessione il fatto che non solo nei grandi progetti di riforma e documenti di discussione sugli assetti scolastici e sui nuovi saperi, non solo nei curricoli di scienze della formazione, ma persino nello Statuto degli studenti questa dimensione della quotidianità scolastica non venga menzionata. Sembra definibile solo in negativo: non scuola, non didattica, non degna di riflessione. Tant’è. Ogni riflessione su questo aspetto non può che nascere e crescere dal basso, fuori dall’accademia e dall’ingegneria delle riforme, nel confronto tra chi la scuola la vive giorno per giorno. Studenti e insegnanti.

Vedi anche: relazione, tempo.