PERSONALIZZAZIONE
Gianluca Gabrielli, maestro elementare, Bologna

Attorno al termine “personalizzazione” si raccoglie una costellazione di richiami, rimandi, allusioni, distinzioni che costituiscono il nucleo concettuale più importanti della “riforma” Moratti. Il termine compare come sostituto metodologico alla “vecchia” individualizzazione, nella definizione ufficiale dei Piani di studio collegati alle Indicazioni Nazionali, come cornice all’opzionalità delle ore nella scuola primaria e secondaria di primo grado. “Personalizzare” è poi il fulcro attorno a cui si muovono numerosi elementi di novità (famiglia, portfolio, tutor, anticipo). Persona è infine il riferimento filosofico-lessicale che compare o aleggia in gran parte del dibattito pedagogico.
Di fronte a questo uso massiccio ed inedito del termine è utile vedere come viene usato e cosa intendono con esso gli estensori della riforma.
I punti di riferimento ideologici dei mutamenti degli ultimi anni hanno due baricentri: la tecnocrazia aziendalistica delle “tre i” e una tradizione del pensiero cattolico declinata in modi particolarmente conservatori. Il riferimento alla “persona” fa parte di questo secondo polo. Per Bertagna e il suo staff “persona” è il termine scelto per identificare il soggetto pieno, completo, irriducibile, unico ed inesauribile; su un gradino più basso l’individuo (per cui era stata costruita la vecchia scuola di massa) si dibatterebbe tra materia e sentimento, privo sia di razionalità che di consapevolezza. Apartire da questa rozza dicotomia nella progettazione scolastica emerge l’invito ad abbandonare l’individualizzazione perché “uniforma”, dà “a tutti, sebbene in modo diverso, lo stesso, che è uguale e ripetibile”, mentre la personalizzazione “apre, accresce, libera, moltiplica l’affermazione personale di ciascuno”, dà “a ciascuno il proprio, che è unico e irripetibile”.
Ovviamente questo capovolgimento di prospettiva comporta estesi mutamenti di lessico: dai Programmi alle Indicazioni Nazionali, dalle Unità Didattiche alle Unità di Apprendimento, dagli Obiettivi Didattici agli Obiettivi Formativi, ecc. In questa volontà di rinominare ogni prassi scolastica si uniscono questioni di egemonia di scuole pedagogiche, l’esigenza di lanciare evidenti collegamenti con aree della riflessione filosofica (il personalismo cristiano), la volontà di mostrare l’esistenza di un progetto complessivo anche dove gran parte delle scelte sono in realtà dipendenti da vincoli di bilancio.
Ciononostante l’operazione ha una coerenza logica che credo emerga man mano che ci si cala nelle reali trasformazioni.
Partiamo dalla programmazione. Così Bertagna: “Tenuto conto delle capacità attualmente disponibili di un certo alunno, delle sue motivazioni, bisogni, interessi, ecc., si può pensare di curvare la scelta delle conoscenze e delle abilità, e relative delle attività, ai bisogni formativi diversificati di questo alunno, mantenendo ferma l’unità del compito di apprendimento. Così, per alcuni si dovrà di insistere su abilità considerate motivanti e strategiche; per altri di ridurre il carico di conoscenze e abilità non strettamente necessarie; per altri ancora di arricchire la composizione dell’intero di apprendimento, ecc.” In nome del rispetto della persona si propone una vera e propria rinuncia a presentare curricoli unitari e contenuti comuni. L’adesione alle caratteristiche diverse dei singoli allievi diventa il motivo per rinunciare ad operare sulla metodologia, sugli stili di apprendimento e di insegnamento (con procedimenti propri della individualizzazione): il nuovo corso diversifica le attività (e conoscenze e abilità) riducendo o arricchendo la composizione del precorso di apprendimento. Se tale pratica poteva rendersi utile in contesti particolari, porla a fondamento della definizione di tutti i percorsi di insegnamento della scuola personalizzante significa porre le premesse per un “sereno” abbandono dei meno “capaci” a percorsi più poveri e per la coltivazione di percorsi virtuosi per i “talenti”. Si propone quindi un quadro del lavoro di programmazione didattica che abbandoni la prospettiva egualitaria per l’offerta differenziata in base alle caratteristiche degli allievi.
Ma personalizzazione è un termine ampio, che si riferisce anche a scelte organizzative che vanno oltre e affiancano sinergicamente questa svolta nella progettazione didattica. Il termine assume quindi una valenza d’insieme che collega molte innovazioni cruciali. Vediamo queste novità una ad una.
La scuola tende a diventare un servizio a domanda individuale e il tutor coordina questa offerta. In questa direzione va l’istituzione delle ore opzionali e facoltative che devono incontrare la domanda dei genitori facendo scegliere loro già a partire dall’età di 5 anni e mezzo parti del percorso formativo scolastico). Queste ore scompongono il gruppo classe in gruppi formati in base alle scelte dei genitori.
Nella stessa direzione va anche l’istituzione dell’anticipo e il superamento della classe omogenea per età come elemento base dell’organizzazione scolastica. Fino ad oggi l’apertura delle classi partiva da esigenze profondamente diverse: sia in senso orizzontale che in senso verticale nasceva da un progetto finalizzato in gran parte alla socializzazione e manteneva nella classe il punto di riferimento forte: si apriva la classe, ma poi si ritornava ad essa. Nella scuola della personalizzazione la classe omogenea non c’è più per lasciare il posto a quella disomogenea per età, in nome dell’ “eterocronia dello sviluppo della persona”; inoltre anche la classe disomogenea si scompone per quantità consistenti del tempo scuola. Le tendenze di sviluppo possibili, in prospettiva, guardano alla non graded school, magari in nome di un Don Milani capovolto: “Non c’è cosa più ingiusta che far parti uguali tra diseguali” (citato da Bertagna agli “Stati generali” del 2001).
Il ritornello della centralità della famiglia (al singolare) nella “riforma” Moratti si può trovare dai manifesti elettorali fino sull’ultimo dei documenti pedagogici. I dati incontrovertibili su cui si basa sono l’istituzione dell’anticipo, l’istituzione delle ore opzionali e facoltative e l’istituzione del portfolio (nella cui compilazione la famiglia è coinvolta). Anche qui le innovazioni sono profonde: non sono più i genitori (plurale) che insieme partecipano alla scuola portando le loro istanze e confrontandosi negli organi collagiali, ma sono le singole famiglie che esprimono richieste didattiche per i propri figli cui il sistema della scuola pubblica, in nome dell’autonomia [sic] e attraverso la flessibilità didattica e organizzativa, risponde offrendo percorsi personalizzati.
Evidentemente questo discorso, nella realtà attuale, si rivela solamente un manto ideologico che riesce a coprire esclusivamente i livelli più bassi di questa domanda: anticipo, qualche materia aggiuntiva da pescare nel mondo della libera professione docente… Dove tale richiesta individuale dei genitori assume dimensioni consistenti e onerose (ad esempio l’iscrizione al tempo pieno) ci pensa l’assenza di risorse a negare la “personalizzazione” collettiva a decine di migliaia di famiglie come niente fosse. Anche in questa accezione quindi la personalizzazione funziona solo nella direzione della disarticolazione della scuola pubblica; nella direzione opposta i vincoli di bilancio ne rivelano il carattere di mera copertura ideologica.
Proseguiamo. Se gli obiettivi degli alunni non sono più gli stessi, allora svanisce il ruolo della scuola nel contrastare gli effetti culturali delle diseguaglianze sociali presenti nella società. I varchi che si aprono sono enormi. Infatti la personalizzazione significa percorsi differenziati già a 5 anni e mezzo in base alle “attitudini” e alle “capacità”.
Per ciò che riguarda le attitudini, è chiaro che a quell’età le differenze tra i vari bambini non rimandano ad insondabili predisposizioni della “persona”, ma in gran parte ai condizionamenti sociali con cui questa persona ha interagito durante la sua esistenza. Eppure il tutor dovrebbe riconoscere queste attitudini e sulla base di esse consigliare alla famiglia la frequenza alle ore opzionali più adatte al bambino/a. L’effetto principale di queste ore opzionali è di costruire momenti scolastici che riflettono semplicemente le caratteristiche socioculturali dell’ambiente di vita della famiglia: pianoforte per alcuni, falegnameria per altri. La scuola dell’individualizzazione proponeva a tutti sia pianoforte che falegnameria, operando affinché ci fosse la messa in relazione dialettica dei diversi tipi di saperi. In questo modo i figli degli immigrati recenti e i figli della media borghesia potevano affrontare gli stessi percorsi fianco a fianco, magari attraverso didattiche cooperative.
Altrettanto grave è lo stravolgimento sulla base delle capacità. Sempre più spesso infatti i documenti pedagogici e quelli ministeriali sono tornati a proporre i “gruppi di livello” tra le scomposizioni consigliate del gruppo classe; ritorna cioè ad essere legittimata la divisione per livelli di competenza (e di profitto scolastico-disciplinare) dei bambini/e. La personalizzazione, in nome della fedeltà alla realtà, ripropone con forza il raggruppamento dei “bravi” e, separato, quello dei “somari”.
Al centro di tutti questi processi sta la nuova figura dell’insegnante tutor che concentra nella sua persona tutte le funzioni chiave della personalizzazione: Raccoglie le istanze delle famiglie in relazione al percorso scolastico, orienta le famiglie stesse riguardo alle ore opzionali, compila il portfolio delle competenze di ogni alunno in contatto con la famiglia e il territorio. La forza didattica della scuola non viene più costruita attraverso la collaborazione tra docenti, (abolito il il consiglio di classe). Il tutor sarà il coordinatore degli insegnanti, sia quelli interni al contratto-scuola, sia quelli esterni previsti già da oggi per le ore opzionali. Al posto del consiglio di classe come luogo di discussione e confronto per la valutazione emerge l’insegnante tutor che raccoglie le certificazioni dei diversi insegnamenti e le assembla nel portfolio. Non è detto che in futuro il tutor non possa diventare l’unico insegnante interno di una scuola pubblica in gran parte esternalizzata e precarizzata.

Vedi anche: anticipo, classe (vista da una insegnante), genitori/famiglia 1, genitori/famiglia 2, genitori/famiglia 3, gruppo di livello, modularità, modularità/personalizzazione, portfolio, tutor.