Due giorni dopo la manifestazione nazionale per la difesa del
Tempo Pieno, tenuta a Roma il 17 gennaio 2004, la senatrice di Forza Italia
Maria Burani Procaccini, Presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia,
ha depositato in Parlamento una proposta di legge che vieterebbe agli Under
11 di partecipare ai cortei.
L’iniziativa presenta un valore simbolico esemplare se messa in relazione
con la nuova scuola disegnata dal Ministro Moratti e con il ruolo assegnato
in essa alla famiglia, perché fa emergere con estrema chiarezza due questioni
fondamentali.
La prima. Di quale famiglia parliamo?
Per un verso nei documenti fino ad oggi prodotti dal Ministro Moratti si esalta
il ruolo della famiglia e la si immagina soggetto protagonista, capace di interloquire
con le scelte didattiche e pedagogiche e di collaborare all’elaborazione
del portfolio. Per un altro le si riconoscono diritti e poteri solo quando è
ubbidiente, tanto che non appena le famiglie si comportano in modo difforme
dalla volontà del potere politico, vengono tutorate e limitate nella
loro libertà d’azione (fino al punto che lo Stato avoca a sé
il diritto di decidere a che età i bambini possono partecipare ad una
manifestazione).
La famiglia della riforma Moratti è una famiglia astratta, omogenea sul
territorio nazionale, sempre consapevole dei bisogni formativo-culturali dei
propri figli e delle opportunità sociali che si prospettano. Una famiglia
così esiste solo nel mondo dell’ideologia. Nulla a che vedere con
le famiglie, al plurale, quelle vere, con i drammi che spesso nascondono, generatrici
esse stesse di sofferenza e di difficoltà. L’apprendimento sarà
così esposto alle sempre più numerose perturbazioni che alla scuola
arrivano dalla fragilità (psicologica, culturale, di ruolo) delle persone
che compongono la famiglia e che ne determinano la drammatica crisi dei nostri
giorni. Eppure una tra le funzioni educative più importanti della scuola
dovrebbe essere quella di accompagnare la crescita dei bambini e dei ragazzi
anche attraverso una presa di distanze dalla famiglia.
La seconda. Quali sono i margini di azione reale dei genitori nella scuola?
La riforma Moratti prevede una netta distinzione di ruolo tra una scuola che
offre opportunità e la famiglia che sceglie. Di fatto si sposta la potestà
decisionale, e quindi la responsabilità, dall’organo professionale
(costituito a seconda dei casi dal Gruppo di insegnanti che opera con l’allievo
o dal Collegio dei docenti) alla famiglia che contratta con uno degli insegnanti,
il tutor, il percorso ottimale per il proprio figlio. E’ come se un paziente
andasse dal proprio medico e “contrattasse” diagnosi e terapia (nel
sistema sanitario questo è avvenuto in alcuni casi, ma solo quando si
è trasformata la professione medica in una attività impiegatizia
e burocratica - il “medico della mutua”). La responsabilità
professionale non è mai negoziabile. Lasciare ai ragazzi e ai genitori
la responsabilità di scegliere ha il sapore dell’abdicazione e
limita la libertà di insegnamento. In più la scuola corre il rischio
di inseguire continuamente richieste individuali e parcellizzate. Che fare nei
casi in cui le scelte delle famiglie fossero in contrasto con quelle didattico
educative della scuola? Come individuare il “limite invalicabile”?
Cosa può succedere in quei casi (e non sono pochi) in cui le famiglie
non sono in grado, per difficoltà sociali, culturali, o semplicemente
per “disattenzione”, di compiere una scelta “libera”
e capace di garantire la crescita del proprio figlio?
La semplificazione ideologica operata dal disegno del ministro Moratti non può
però costituire un alibi per non affrontare il problema vero. Negli ultimi
15 anni qualunque genitore abbia operato negli Organi Collegiali si è
scontrato con una situazione asfittica, privo di reale potere decisionale, irretito
in una partecipazione puramente formale. Quello che in questi decenni è
entrato in crisi non è il “peso” dei genitori sulle scelte
didattico-pedagogiche dei docenti, ma le forme ed i contenuti della partecipazione.
Il genitore non è l’unico soggetto del territorio interessato alla
scuola e, in quanto tale, non può esprimere una rappresentanza omogenea..
Il nodo è un altro: come avviare davvero processi partecipativi: quali
soggetti devono oggi partecipare alla progettazione del lavoro scolastico, in
quali ambiti, con quali potestà e competenze? Da qui occorre ripartire.