ANTICIPO
Giulia Serra, psicologa dell’età evolutiva (Roma)

La nuova riforma scolastica dà la possibilità di iscrivere alla scuola d’infanzia e, successivamente, alla scuola elementare i bambini che compiano, rispettivamente, 3 e 6 anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, spostando di 4 mesi quello che era il limite/obbligo di iscrizione per i nati entro il 31 dicembre.
In sostanza, parlando in termini scolastici, sarà possibile iscrivere i bambini in anticipo di un anno, a 5 anni e pochi mesi.
Questo introduce degli evidenti e sostanziali cambiamenti nell’ordinamento attuale, a cominciare dal periodo precedente la scuola dell’infanzia, quei primi tre anni di vita dei bambini attualmente gestiti dalle famiglie nei modi più svariati: ricorrendo all’aiuto dei nonni, delle baby-sitter, rinunciando al lavoro della madre, o iscrivendo i bambini all’asilo nido.
Per quel che riguarda proprio i nidi, la riduzione della durata massima da 3 a soli 2 anni (giacché, probabilmente, non è stato possibile, per il Ministro, anticipare l’iscrizione a –1 anno) determinerà una riduzione anche dell’importanza e del ruolo rivestito da queste strutture nello sviluppo e nella crescita dei bambini nella prima infanzia, con il rischio di vederle scomparire o di ridurle a delle specie di “parcheggi temporanei” in vista dell’iscrizione alla scuola dell’infanzia.
Ancora maggiori, probabilmente, saranno i cambiamenti per quel che riguarda la qualità dei servizi resi dai nidi, che in un’ottica del genere, non potranno certo prospettarsi un futuro di investimenti e ricerca per poter crescere e superare quei problemi che già adesso li affliggono (lunghissime liste di attesa per i nidi comunali, costo elevato per i nidi privati, ecc…).
Ancor più problematico potrà essere l’adeguamento delle strutture e del personale di scuole dell’infanzia e di scuole elementari, che si troveranno a dover gestire classi con bambini con una differenza d’età fino a 16 mesi, e con esigenze e competenze, ovviamente, molto diverse: basti pensare che tra genitori che decidono di “anticipare” e genitori che decidono di “ritardare”, potrebbero ritrovarsi compagni di classe, in prima elementare, bambini di 5 anni e 4 mesi e bambini, invece, di 7 anni.
Per quel che riguarda la scuola dell’infanzia, poi, viene da chiedersi come mai, viste le rassicurazioni da parte del Ministro riguardo al volerne rispettare le tradizioni e l’identità, la si avvicini, da un lato, alle funzioni e alle competenze del nido e, dall’altro, ad una mera preparazione alla “vera scuola” (quella elementare!), riconoscendo, ai bambini che risulteranno già “in grado” di sostenere le richieste e le regole della prima, l’inutilità di “aspettare” ancora un altro anno, mentre ad altri la possibilità di “sostare” un anno in più, costituendo una sorta di precoci rimandatati, rinunciando così a sostenere la forza e la competenza di un ambiente pedagogico come quello che la scuola dell’infanzia ha saputo costruire negli ultimi 20 anni.
Questo discorso non può certo entrare nel merito delle scelte delle singole famiglie e di quei genitori che, già adesso, iscrivono il figlio un anno in anticipo (con tutte le motivazioni che possono sostenere questa scelta) ma ben diverso dovrebbe risultare il merito delle scelte di un governo e la valutazione delle conseguenze che un orientamento tale può determinare.
Se una tale tendenza delle scelte dei genitori esiste, è probabilmente dovuta (per lo meno, ci si auspica che sia dovuta) a delle considerazioni fondamentali: mio figlio è pronto ad entrare in prima elementare? È utile che io lo iscriva ancora un anno alla scuola dell’infanzia o è preferibile fargli fare direttamente la “primina”?
Se è lecito che ogni genitore risponda autonomamente a queste domande e che abbia la possibilità, qualora sussistano le condizioni di farlo, di iscrivere a cinque anni il figlio in prima elementare, altra questione è istituzionalizzare un tale passaggio.
Dovrebbe voler dire, come minimo, che al Ministero ci si è posti la stessa domanda a cui i genitori dei bambini che frequentano le primine hanno risposto: i bambini (la maggior parte, se non tutti) sono pronti a passare in prima a cinque anni? E, se pure lo fossero, è utile per loro e per il sistema scolastico?
Quanto possa essere non solo inutile, ma anche dannoso per il sistema scolastico sembrerebbe essere abbastanza evidente, per lo meno considerando l’impreparazione delle strutture e del personale ad un cambiamento che potrebbe risultare di notevole entità.
Ma per i bambini? Cosa potrebbe voler dire per loro?
Sicuramente alcuni saranno in grado di sostenere richieste, regole e diverse modalità di relazione della scuola dell’infanzia a 2 anni e della scuola elementare a 5 anni, come, però, altrettanto sicuramente, ci saranno bambini per cui il passo sarà troppo precoce: abbastanza ovviamente, alzando il livello delle richieste, si alza inevitabilmente il numero di coloro che non ce la fanno a rispondervi adeguatamente.
Essere “pronti”, per un bambino, non vuol dire, come si potrebbe semplicisticamente credere, essere in grado, già a 5 anni, di riconoscere tutte le lettere dell’alfabeto, ma vuol dire, soprattutto, avere un equilibrio emotivo abbastanza stabile e delle competenze sociali abbastanza strutturate (per quanto l’età possa consentire) da poter cominciare ad affrontare compiti, a soddisfare richieste ed aspettative, proprie ed altrui, che in prima elementare diventano più significative e pressanti.
È facilmente osservabile in tutte le scuole quanto i bambini possano risultare, per molti versi, “svegli” e capaci di apprendere (usano il computer meglio dei genitori, parlano l’inglese che sentono nei video-games e nelle canzoni), ma è anche altrettanto evidente quanto possano essere incapaci di reggere le piccole frustrazioni dovute alla vita scolastica e di instaurare delle relazioni positive con i compagni o con l’insegnante.
A questo tipo di problematiche (emotive, sociali e anche cognitive) la scuola dell’infanzia dedica quell’attenzione che nella scuola elementare è forzatamente più ridotta, consentendone (o cercando di consentirne) uno sviluppo che permetta ai bambini di vivere e relazionarsi anche lontano dall’ambiente familiare, soprattutto in quell’età (tra i cinque e i sette anni), in cui si sono da poco costruiti un senso della nozione di identità ed in cui cominciano appena a svilupparsi delle vere e proprie cognizioni sociali.
Anche dando per scontato, come sembra fare il Ministro, che i genitori siano, su questo argomento, in grado e abbiano tutti gli strumenti per scegliere al meglio per i propri figli, è realmente utile dare una tale spinta nella “precocizzazione” dell’ingresso in prima elementare?
Considerando la specificità e le competenze maturate dalla scuola dell’infanzia per i bambini di quest’età e il danno inevitabile che il cambiamento dovuto ad una massiccia adesione alla possibilità prevista dalla riforma apporterà ai diversi livelli del sistema scolastico, non sembra possibile dare ragionevolmente una risposta affermativa.
Apparentemente invece, leggendo il disegno di legge ed i vari opuscoli divulgativi, sembrerebbe che il Ministero determini un tale cambiamento affidandosi e lasciando la responsabilità delle risposte a queste domande esclusivamente ai singoli genitori...Perché di responsabilità si tratta, non solo di libertà di scelta e di flessibilità nella gestione dei cicli scolastici come gli opuscoli vogliono lasciar trasparire.
Certo, tutto questo discorso vale se si considera l’interesse dei bambini e del funzionamento del sistema scolastico fondamentale per la loro crescita…
Se invece si considera esclusivamente quanto sarà utile ritrovarsi un anno in anticipo alla conclusione degli studi, quanto sarà “europeo” aver grattato un anno all’esperienza scolastica dei bambini e poter far coincidere la fine del secondo ciclo scolastico con il nuovo obbligo di formazione fino a 18 anni, allora tutto la questione dell’anticipo assume un significato ben diverso…

Vedi anche: famiglia/famiglie 1, 2, 3 , personalizzazione