La nuova riforma scolastica dà la possibilità
di iscrivere alla scuola d’infanzia e, successivamente, alla scuola elementare
i bambini che compiano, rispettivamente, 3 e 6 anni entro il 30 aprile dell’anno
scolastico di riferimento, spostando di 4 mesi quello che era il limite/obbligo
di iscrizione per i nati entro il 31 dicembre.
In sostanza, parlando in termini scolastici, sarà possibile iscrivere
i bambini in anticipo di un anno, a 5 anni e pochi mesi.
Questo introduce degli evidenti e sostanziali cambiamenti nell’ordinamento
attuale, a cominciare dal periodo precedente la scuola dell’infanzia,
quei primi tre anni di vita dei bambini attualmente gestiti dalle famiglie nei
modi più svariati: ricorrendo all’aiuto dei nonni, delle baby-sitter,
rinunciando al lavoro della madre, o iscrivendo i bambini all’asilo nido.
Per quel che riguarda proprio i nidi, la riduzione della durata massima da 3
a soli 2 anni (giacché, probabilmente, non è stato possibile,
per il Ministro, anticipare l’iscrizione a –1 anno) determinerà
una riduzione anche dell’importanza e del ruolo rivestito da queste strutture
nello sviluppo e nella crescita dei bambini nella prima infanzia, con il rischio
di vederle scomparire o di ridurle a delle specie di “parcheggi temporanei”
in vista dell’iscrizione alla scuola dell’infanzia.
Ancora maggiori, probabilmente, saranno i cambiamenti per quel che riguarda
la qualità dei servizi resi dai nidi, che in un’ottica del genere,
non potranno certo prospettarsi un futuro di investimenti e ricerca per poter
crescere e superare quei problemi che già adesso li affliggono (lunghissime
liste di attesa per i nidi comunali, costo elevato per i nidi privati, ecc…).
Ancor più problematico potrà essere l’adeguamento delle
strutture e del personale di scuole dell’infanzia e di scuole elementari,
che si troveranno a dover gestire classi con bambini con una differenza d’età
fino a 16 mesi, e con esigenze e competenze, ovviamente, molto diverse: basti
pensare che tra genitori che decidono di “anticipare” e genitori
che decidono di “ritardare”, potrebbero ritrovarsi compagni di classe,
in prima elementare, bambini di 5 anni e 4 mesi e bambini, invece, di 7 anni.
Per quel che riguarda la scuola dell’infanzia, poi, viene da chiedersi
come mai, viste le rassicurazioni da parte del Ministro riguardo al volerne
rispettare le tradizioni e l’identità, la si avvicini, da un lato,
alle funzioni e alle competenze del nido e, dall’altro, ad una mera preparazione
alla “vera scuola” (quella elementare!), riconoscendo, ai bambini
che risulteranno già “in grado” di sostenere le richieste
e le regole della prima, l’inutilità di “aspettare”
ancora un altro anno, mentre ad altri la possibilità di “sostare”
un anno in più, costituendo una sorta di precoci rimandatati, rinunciando
così a sostenere la forza e la competenza di un ambiente pedagogico come
quello che la scuola dell’infanzia ha saputo costruire negli ultimi 20
anni.
Questo discorso non può certo entrare nel merito delle scelte delle singole
famiglie e di quei genitori che, già adesso, iscrivono il figlio un anno
in anticipo (con tutte le motivazioni che possono sostenere questa scelta) ma
ben diverso dovrebbe risultare il merito delle scelte di un governo e la valutazione
delle conseguenze che un orientamento tale può determinare.
Se una tale tendenza delle scelte dei genitori esiste, è probabilmente
dovuta (per lo meno, ci si auspica che sia dovuta) a delle considerazioni fondamentali:
mio figlio è pronto ad entrare in prima elementare? È utile che
io lo iscriva ancora un anno alla scuola dell’infanzia o è preferibile
fargli fare direttamente la “primina”?
Se è lecito che ogni genitore risponda autonomamente a queste domande
e che abbia la possibilità, qualora sussistano le condizioni di farlo,
di iscrivere a cinque anni il figlio in prima elementare, altra questione è
istituzionalizzare un tale passaggio.
Dovrebbe voler dire, come minimo, che al Ministero ci si è posti la stessa
domanda a cui i genitori dei bambini che frequentano le primine hanno risposto:
i bambini (la maggior parte, se non tutti) sono pronti a passare in prima a
cinque anni? E, se pure lo fossero, è utile per loro e per il sistema
scolastico?
Quanto possa essere non solo inutile, ma anche dannoso per il sistema scolastico
sembrerebbe essere abbastanza evidente, per lo meno considerando l’impreparazione
delle strutture e del personale ad un cambiamento che potrebbe risultare di
notevole entità.
Ma per i bambini? Cosa potrebbe voler dire per loro?
Sicuramente alcuni saranno in grado di sostenere richieste, regole e diverse
modalità di relazione della scuola dell’infanzia a 2 anni e della
scuola elementare a 5 anni, come, però, altrettanto sicuramente, ci saranno
bambini per cui il passo sarà troppo precoce: abbastanza ovviamente,
alzando il livello delle richieste, si alza inevitabilmente il numero di coloro
che non ce la fanno a rispondervi adeguatamente.
Essere “pronti”, per un bambino, non vuol dire, come si potrebbe
semplicisticamente credere, essere in grado, già a 5 anni, di riconoscere
tutte le lettere dell’alfabeto, ma vuol dire, soprattutto, avere un equilibrio
emotivo abbastanza stabile e delle competenze sociali abbastanza strutturate
(per quanto l’età possa consentire) da poter cominciare ad affrontare
compiti, a soddisfare richieste ed aspettative, proprie ed altrui, che in prima
elementare diventano più significative e pressanti.
È facilmente osservabile in tutte le scuole quanto i bambini possano
risultare, per molti versi, “svegli” e capaci di apprendere (usano
il computer meglio dei genitori, parlano l’inglese che sentono nei video-games
e nelle canzoni), ma è anche altrettanto evidente quanto possano essere
incapaci di reggere le piccole frustrazioni dovute alla vita scolastica e di
instaurare delle relazioni positive con i compagni o con l’insegnante.
A questo tipo di problematiche (emotive, sociali e anche cognitive) la scuola
dell’infanzia dedica quell’attenzione che nella scuola elementare
è forzatamente più ridotta, consentendone (o cercando di consentirne)
uno sviluppo che permetta ai bambini di vivere e relazionarsi anche lontano
dall’ambiente familiare, soprattutto in quell’età (tra i
cinque e i sette anni), in cui si sono da poco costruiti un senso della nozione
di identità ed in cui cominciano appena a svilupparsi delle vere e proprie
cognizioni sociali.
Anche dando per scontato, come sembra fare il Ministro, che i genitori siano,
su questo argomento, in grado e abbiano tutti gli strumenti per scegliere al
meglio per i propri figli, è realmente utile dare una tale spinta nella
“precocizzazione” dell’ingresso in prima elementare?
Considerando la specificità e le competenze maturate dalla scuola dell’infanzia
per i bambini di quest’età e il danno inevitabile che il cambiamento
dovuto ad una massiccia adesione alla possibilità prevista dalla riforma
apporterà ai diversi livelli del sistema scolastico, non sembra possibile
dare ragionevolmente una risposta affermativa.
Apparentemente invece, leggendo il disegno di legge ed i vari opuscoli divulgativi,
sembrerebbe che il Ministero determini un tale cambiamento affidandosi e lasciando
la responsabilità delle risposte a queste domande esclusivamente ai singoli
genitori...Perché di responsabilità si tratta, non solo di libertà
di scelta e di flessibilità nella gestione dei cicli scolastici come
gli opuscoli vogliono lasciar trasparire.
Certo, tutto questo discorso vale se si considera l’interesse dei bambini
e del funzionamento del sistema scolastico fondamentale per la loro crescita…
Se invece si considera esclusivamente quanto sarà utile ritrovarsi un
anno in anticipo alla conclusione degli studi, quanto sarà “europeo”
aver grattato un anno all’esperienza scolastica dei bambini e poter far
coincidere la fine del secondo ciclo scolastico con il nuovo obbligo di formazione
fino a 18 anni, allora tutto la questione dell’anticipo assume un significato
ben diverso…
Vedi anche: famiglia/famiglie 1,
2,
3
, personalizzazione