FEDERALISMO
Corrado Mauceri (Firenze)

Poche parole nel linguaggio politico-giuridico hanno avuto uno straordinario successo come il termine “federalismo”, ma anche poche parole presentano un analogo tasso di ambiguità.
Nato per indicare una forma di unione (foedus, che indica un patto, una convenzione , come quella della Costituzione degli Stati Uniti del 1787), il termine “federalismo” è passato a definire qualsiasi assetto organizzativo nel quale il potere sia diviso su base territoriale fino a diventare nelle proposte di talune forze di Governo del nostro Paese una forma di sostanziale “separazione”.
In ragione di tale ambiguità e dei rischi impliciti l’Assemblea Costituente, pur volendo definire un assetto democratico e decentrato del nuovo Stato, ha scelto un modello di Stato unitario con un sistema articolato di autonomie (cd “Stato delle autonomie”) e non una forma di Stato federale; in particolare le forze della sinistra hanno sempre con forza sostenuto le autonomie regionali e locali,ma nel quadro di uno Stato unitario nella consapevolezza che i principi ed i diritti dello Stato sociale affermati nella Costituzione hanno un carattere universale e devono essere garantiti a tutti in tutto il Paese; il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, ecc., possono essere meglio gestiti a livello locale, ma in un quadro legislativo unitario e nazionale valido per tutti e con un impegno di tutta la collettività nazionale.
Purtroppo il disegno costituzionale dello Stato delle autonomie definito nella Costituzione, nella realtà pratica non è stato compiutamente realizzato; nella realtà, pur dopo l’entrata in vigore della Costituzione e pur dopo l’istituzione delle Regioni, lo Stato è rimasto centralista e fortemente centralizzato con un ruolo marginale delle Regioni e soprattutto degli Enti Locali.
Peraltro anche ora le forze politiche al potere, che sostengono una riforma costituzionale dai contenuti secessionisti, nella realtà gestiscono il potere in modo centrelistico e penalizzante di qualsiasi forma di autonomia (la legge Moratti in questo senso è emblematica ).
A questa politica centralista e verticistica, portata avanti dalle forze dell’attuale maggioranza di governo si contrappone da parte delle stesse forze politiche una concezione “secessionista” del Federalismo che, identificando lo Stato con lo “statalismo” mette in discussione non solo lo Stato unitario, ma soprattutto i diritti universali che lo Stato deve garantire a tutti in tutto il suo territorio.
A questa cultura secessionista la sinistra finora non ha saputo, salvo alcune eccezioni, contrapporre una cultura alternativa di Stato democratico, partecipato ed articolato con un effettivo ruolo delle autonomie; anche talune forze della sinistra hanno fatto propria la proposta del “federalismo” sia pure con alcuni correttivi come “cooperativo” o “solidale”, ma senza rendersi conto che uno Stato democratico ha un senso se si fa portatore e garante dei diritti fondamentali di tutti i cittadini.
Il risultato di questa subalternità culturale delle forze del centro-sinistra è stata l’infelice riforma del Titolo V della Costituzione che con le sue contraddittorietà ha creato un quadro istituzionale incerto, ma soprattutto ha facilitato alla maggioranza di destra di andare avanti anche verso la forma della “regionalizzazione” dei diritti fondamentali come la salute e l’istruzione; in questo senso difatti si muove la proposta di riforma costituzionale attualmente all’esame del Parlamento, meglio nota come “devolution”.
In conclusione nel nostro Paese, messo in discussione all’insegna del “federalismo lo Stato delle autonomie, definito dalla Costituzione del 1948, si è avviato non solo un pericoloso processo di destrutturazione dello Stato e delle sue funzioni istituzionali, ma anche di omologazione culturale sempre più subalterna alle logiche dell’appartenenza e dei poteri forti.
Le forze democratiche devono quindi anzitutto opporsi a qualsiasi forma di devolution che riguardi diritti fondamendali come la salute e l’istruzione, ma devono anche impegnarsi ad una lettura del Titolo V, interna ai principi affermati nella prima parte della Costituzione; in particolare per l’istruzione scolastica deve essere afermato con chiarezza che il Titolo V non ha nè modificato nè tanto meno abrogato gli artt. 33 e 34 della Costituzione; ha semplicemente attribuito alle regioni un ruolo legislativo anche in materia scolastica, ma nell’ambito delle “norme generali” che rimangono alla competenza dello Stato e fermo restando il carattere statale del sistema scolastico; sarebbe quindi opportuno per evitare equivoci ed ambiguità, ricominciare a parlare di “scuole statali” che non significa ministeriali, ma scuole che hanno il compito istituzionale di garantire a tutti il diritto di cittadinanza e che quindi sono e non possono non essere istituzioni fondamentali di uno Stato che vuole essere democratico.

Vedi anche: aziendalizzazione scolastica, parità