HANDICAP, DISABILI E DIVERSAMENTE ABILI
Anton Maria Chiassone (Genova)

L’inserimento dei bambini portatori di handicap è uno dei segni, forse il più forte, della qualità che la scuola italiana ha raggiunto per la spinta innovativa delle lotte sindacali, sociali, culturali e politiche degli anni ’70 del secolo scorso.
Lo è perché l’inserimento ha a che fare con i diritti, con l’idea di persona, con l’attenzione all’individuo, al singolo.
In questo senso l’integrazione è una garanzia per tutti, una sfida quotidiana al rispetto dell’identità ed al riconoscimento dell’uguaglianza.
Inserire questi bambini nella scuola di tutti vuol dire prima di tutto riconoscerli come persone, in qualche modo sfidare la malattia, accettare la sfida della malattia e rifiutare di costituire a priori una categoria di cittadini sbagliati, definiti esclusivamente come ammalati e descritti attraverso ciò che non sanno fare, misurati sulla “non abilità”.
Inserirli nella scuola ha voluto dire la sfida dell’educabilità, della stessa capacità del nostro sistema educativo non tanto e non solo di accogliere questi “bambini sfortunati”, ma di educarli, di condurli sulla strada del miglioramento delle loro capacità individuali, accettandone i limiti. Ma intanto imparando a leggere, imparando a cogliere quelle che erano le loro capacità, il loro saper fare, sia pur residuo, in una società tendenzialmente capace di coglierli solo come “giocattoli rotti”, da provare ad aggiustare o mantenere, a cui prestare cure (non sempre), dare assistenza (neanche troppa), ma non guardare dal punto di vista della potenzialità, dell’educabilità.
Oltre la visione medica e la visione assistenziale, che tendenzialmente oggettivizzano la persona, la visione educativa afferma, dovrebbe affermare, l’esistenza stessa di un soggetto di capacità, di qualità, di valori, di diritti.
E’ questa l’enorme sfida pedagogica e sociale che la scuola e la società italiana si sono assunte con le lotte dure e prolungate degli anni ’70.Praticamente unici nel panorama scolastico europeo e mondiale.
Ed è stata una sfida estrema, politica, sociale e pedagogica, una sfida che ha prodotto risultati di enorme rilevanza proprio perché la presenza di bambini che ponevano, anche fisicamente, una tale richiesta di attenzione, ha costretto le scuole e gli insegnanti più attenti a richiedere formazione, ricerca e sperimentazioni che hanno prodotto una ricchezza ricaduta su tutti.
E la presenza di questi bambini, l’attenzione a loro necessariamente prestata, ha portato ad aumentare l’attenzione verso tutti, a scoprire o riscoprire aspetti educativi di base sottovalutati o non considerati. L’attenzione alla globalità, alla corporeità, l’affettività, l’emozionalità, la complessità e la necessità dell’attenzione alla Comunicazione Non Verbale, il valore del gioco.
L’inserimento dei bambini con handicap ha costretto la scuola italiana a costruire il più colossale laboratorio di sperimentazione pedagogica che un sistema scolastico abbia messo in piedi.
Senza strumenti e senza risorse.
L’attenzione al corpo, la necessità di modificare i tempi, di adattare gli spazi, di pensare la relazione, di individuare le capacità piuttosto che investigare le carenze, di considerare le emozioni, di dare spazio all’affettività, sono non casualmente gli stessi valori, le stesse scoperte, le stesse qualità che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo dell’esperienza del Tempo Pieno, inteso qui come scuola di tutti, capace nel tempo di giungere a cercare di far vivere il valore dell’uguaglianza come accettazione e valorizzazione della diversità ed in questo modo diventare strumento di integrazione delle diversità fisiche, sociali, culturali ed etniche.
Uno strumento sociale raffinato nelle mani di una società in via di costante trasformazione e sempre sull’orlo della disgregazione.
Tempo Pieno ed Inserimento sono indissolubili, uno non si regge senza l’altro e la società perde valore senza di essi.

Vedi anche:comunicazione efficace, tempo pieno,