Rimarrebbe deluso chi volesse trovare nella legge istitutiva
del Tempo Pieno (legge n. 820 del 1971) le argomentazioni e le motivazioni che
portarono il Parlamento ad emanare quella legge.
La stessa denominazione della legge: “Norme sull’ordinamento della
scuola elementare e sull’immissione in ruolo degli insegnanti della scuola
elementare e della scuola materna statale”, lascia pensare che si sia
trattato dell’ennesima legge sul precariato ed il riferimento all’ordinamento
appare del tutto casuale e marginale.
L’articolo 1, l’unico in cui si nomina il Tempo Pieno, è
molto sintetico:
“1. Le attività integrative della scuola elementare, nonché
gli insegnamenti speciali, con lo scopo di contribuire all'arricchimento della
formazione dell'alunno e all'avvio della realizzazione della scuola a tempo
pieno, saranno svolti in ore aggiuntive a quelle costituenti il normale orario
scolastico, con specifico compito, da insegnanti elementari di ruolo.
Il conseguimento dello scopo di cui sopra dovrà scaturire dalla collaborazione,
anche mediante riunioni periodiche, degli insegnanti delle singole classi e
di quelli delle attività integrative e degli insegnamenti speciali.
Per ogni venticinque ore settimanali destinate alle attività e agli insegnamenti
di cui al primo comma è istituito un posto di insegnante elementare di
ruolo. A partire dall'anno scolastico 1971-72, […]”.
Tutto qui! Effettivamente era una legge sugli organici ma per realizzare una
trasformazione importante degli ordinamenti e dell’impianto pedagogico
della scuola elementare; quello che potrebbe stupire è che non sia reso
esplicito né la “ratio” della legge né la filosofia
che sosteneva il Tempo Pieno. Ma il Ministro della pubblica Istruzione, Misasi,
che la propose, il Parlamento che l’approvò sapevano bene cosa
fosse il Tempo Pieno, in cosa consistesse, quali bisogni ed istanze esso doveva
soddisfare. Da anni, almeno cinque, ossia da quando la scuola di Barbiana aveva
pubblicato “Lettera ad una professoressa”, la scuola ed il tempo
pieno erano temi che pervadevano l’intero Paese e non solo gli addetti
ai lavori. Le istanze che ponevano in primo piano questi argomenti erano di
natura essenzialmente politica: uguaglianza, giustizia sociale, democrazia,
partecipazione, trasformazione sociale…, non riguardavano solo la scuola
ma i posti di lavoro, le istituzioni, la politica, l’intera società
e non solo in Italia. A porre queste istanze per la scuola era un vastissimo
e variegato movimento fortemente radicato in tutto il Paese.
Credo si utile evocare alcuni elementi di questo movimento. In primo luogo vi
era una rete vastissima di doposcuola diversissimi tra di loro sia per le motivazioni
che li avevano fatti nascere, sia per la loro natura. Tanto per esemplificare
basta citare le migliaia di “doposcuola alternativi” che si svolgevano
nei luoghi più impensati: sottoscale condominiali, parrocchie, case del
popolo, locali occupati ad hoc: erano intrapresi da gruppi di giovani, ma non
solo, sulla spinta di Lettera ad una Professoressa e dalla testimonianza e dalla
figura politica di Don Milani, con la prevalente funzione di lotta alla “selezione
di classe” documentata dai ragazzi di Barbiana.
Di diversa origine e natura erano i “doposcuola istituzionali”,
quelli promossi e gestiti dagli Enti locali, soprattutto Comuni e Patronati
scolastici, per rispondere alle richiesta di cura e custodia avanzata da genitori
sempre più impegnati entrambi nel lavoro in una Italia in rapido sviluppo
industriale e in tumultuose mobilità e cambiamenti sociali. In molte
regioni del Paese questi doposcuola venivano realizzati con grande impegno dei
Comuni, ma soprattutto con impegno e intelligenza di migliaia di operatori e
maestri profondamente influenzati sia dal clima politico che dal dibattito educativo
più avanzato.
Un secondo elemento di questo radicatissimo movimento era quello costituito
da una vasta platea di maestre/i di scuola elementare e materna ed insegnanti
di scuola media che venivano definiti la “scuola militante”, fortemente
impegnata all’interno della scuola e nella pratica didattica quotidiana
a perseguire gli stessi obbiettivi di politica scolastica ed educativa che si
poneva il movimento esterno. Erano gli insegnanti fondatori di una pedagogia
popolare e democratica che in forma organizzata o sciolta praticavano una scuola
attenta a cogliere tutti i suggerimenti che le discipline, in grande evoluzione,
offrivano. Non solo venivano poste al vaglio critico la psicologia dell’apprendimento,
la sociologia, le proposte pedagogiche di filosofi e pedagogisti italiani e
stranieri ma gli stessi progressi epistemologici di alcune scienze studiati
per vedere come potessero essere adattati alla crescita personale e culturale
dei bambini e dei giovani. E’ il caso dell’insiemistica e della
logica per l’insegnamento della matematica, della scuola degli storici
Francesi degli “Annales” per la storia, della linguistica per la
scelta degli strumenti di analisi della lingua…. Tra le associazione che
avevano particolari meriti in questo campo va citato soprattutto il Movimento
di Cooperazione Educativa che costituiva la punta di un iceberg dalla platea
assai vasta. Questa “scuola militante” riuscì non solo ad
integrarsi con il movimento esterno, ma spesso lo suscitò e lo orientò
senza nessuna spocchia specialistica ma in ragione della condivisione dei grandi
obiettivi educativi e politici che l’intero movimento andava maturando.
E’ il caso, per esempio, del gruppo locale dell’MCE torinese che
all’inizio subì anche una forte repressione Ministeriale e da pare
delle amministrazioni locali perché insisteva a non voler abbandonare
la pratica del Tempo Pieno in alcune scuole dell’interland.
Ma vale la pena di ricordare che a fondare una filosofia del tempo pieno avevano
concorso scuole di pensiero assai diverse: Dewey con la sua scuola attiva, la
scuola popolare di Celestin Freinet, la stessa Montessori in Italia, le ricerche
di Piaget, quelle ancora poco note di Vigotskji, costituivano il brodo di cultura
in cui il Tempo Pieno veniva continuamente evocato o che, addirittura, ne costituiva
il naturale approdo su fronte dei contenuti d’insegnamento e degli ordinamenti
scolastici.
Questo straordinario intreccio di elementi, tanto diversi,ma anche tanto unitari,
hanno consentito una coscienza diffusa ed una stagione di lotte che impose il
Tempo Pieno come “esito naturale” e, forse, ciò rendeva pleonastico
ed inutile per il Parlamento argomentare e motivare la legge 820 e la sanzione
normativa del Tempo Pieno.
Non erano trascorsi cinque anni dalla sua istituzione che già il Ministero
cercava di fare marcia indietro, infatti le circolari del 1975 e quella del
1976 che dovevano regolare le istituzioni delle classi a tempo pieno da una
parte evocavano i limiti di organico e quindi di spesa, dall’altra tentavano
una riduzione del tempo pieno a mera istituzione assistenziale consentendo nuove
classi solo “se riguardanti specifiche forme di integrazione scolastica
e semprechè non sia stato possibile sopperire con posti disponibili”
(1).
Non ho dubbi nell’affermare che le iniziative, l’autorganizzazione,
le lotte e le manifestazioni che si sono succedute per tutto quest’ anno
scolastico somigliano per molti aspetti a ciò che è avvenuto ormai
più di trenta anni fa e soprattutto è risaltata la capacità
che genitori ed insegnanti hanno avuto di rintuzzare i tentativi del ministro
e dei suoi manutengoli di separare l’aspetto di assistenza e cura e quello
pedagogico ed educativo (27+3+10 è l’ottuso cardine di questo miserabile
espediente) per arrivare al degrado ed alla eliminazione del T.P.
Per l’anno scolastico che sta cominciando (2004/05) non dovremmo abbandonare
nessuna delle forme di mobilitazione e di lotta che siamo riusciti ad inventare
e realizzare quest’anno, ma un elemento sarebbe massimamente utile: quello
di fa conoscere e rendere visibile quello che si riesce a fare solo nella scuola
a Tempo Pieno, di recuperare la memoria dei contenuti del T.P. ai sui inizi,
la sua capacità di ricercare, sperimentare, e realizzare una didattica,
un fare scuola quotidiano in grado di avvincere i bambini e vulcanizzare genitori
ed insegnanti.
Note
1: Vedi Cristiano Corsini, Dal Patronato alla scuola integrata o a Tempo Pieno
1888-1990, Tesi di laurea facoltà di lettere e filosofia – Università
La Sapienza di Roma, 2003.
Vedi anche: cooperazione,
tempo,