Nella strutturazione delle politiche educative e dell’organizzazione
della didattica, il problema della verifica e della valutazione dei processi
formativi costituisce un nodo cruciale con effetti sulle decisioni assumibili
ai diversi livelli di competenza e responsabilità.
Un effettivo innalzamento della qualità dell’istruzione è
strettamente correlato ad una corretta, responsabile, affidabile valutazione
della scuola e nella scuola (Frabboni, 1994).
Sul tema, nella seconda metà del secolo scorso, si è sviluppato,
anche a livello internazionale un notevole dibattito culturale, a partire da
diversi filoni di ricerca, anche orientati a costruire un insieme di indicatori
in grado di consentire il confronto tra i risultati scolastici di paesi con
ordinamenti e strutture scolastiche diverse. Tale dibattito ha portato, in Italia,
alla recente istituzione del Servizio Nazionale per la qualità dell’Istruzione
ed, in epoca ancora più recente, dell’Istituto Nazionale per la
Valutazione del Sistema d’Istruzione (INVALSI), istituti la cui attività
appare, a tutt’oggi, scollegata dal mondo reale della scuola.
Per altro, l’esigenza di acquisire significativi elementi di conoscenza
sul funzionamento del sistema scuola e sui suoi esiti, è andata emergendo,
soprattutto negli anni novanta, anche a partire dalla necessità di rendere
trasparente il funzionamento di un’istituzione pubblica, che, come le
altre, attraversava un’evidente crisi di fiducia e di consenso. Da questo
punto di vista, le riforme degli anni 90, avviate dalla L 241/90, avevano il
senso di trasformare la Pubblica Amministrazione in un sistema fondato su relazioni
di interazione e di confronto con i cittadini, accessibile e trasparente, caratteristiche
in grado di sollecitare una partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato
più matura e più consapevole. Il filo rosso che collega le riforme
anni 90 della Pubblica Amministrazione, che hanno investito anche la scuola,
può essere riconosciuto nella necessità di rispondere ad una crisi
di ruolo con una maggiore responsabilizzazione delle istituzioni pubbliche e
specificamente delle scuole anche nella direzione dell’autonomia, per
dare un volto nuovo ed una nuova sostanza al rapporto tra istituzioni e cittadini,
relativamente al servizio offerto.
Ed è in questa chiave che può essere letta la diffusione sempre
più capillare, soprattutto nella scuola dell’infanzia ed elementare,
di pratiche, anche di eccellenza di progettazione/ valutazione/ documentazione
(sempre frutto di “sofferta” collegialità) in grado di rendere
trasparente e leggibile l’offerta formativa del servizio scolastico, pratiche
che, nella fase attuale, corrono il rischio di diventare burocratiche, ritualizzate
ed autoreferenziali, se non adeguatemente sostenute sul piano istituzionale.
Di qui la ricerca, nel complesso dei testi normativi di riforma della scuola,
degli strumenti eventualmente in grado di alimentare le strategie valutative
in uso nelle Scuole e di introdurre efficaci innovazioni.
Se valutare significa, in campo pedagogico, dare valore, ai fini della nostra
ricerca conviene chiedersi preliminarmente a quali oggetti, a quali soggetti
e con quali scopi sia stato attribuito un valore significativo nei testi prima
richiamati.
L’art 3 della L 53/2003 e gli artt 4 e 8 del Decreto Legislativo 59/004
indicano come oggetto di valutazione periodica e annuale gli apprendimenti ed
i comportamenti degli studenti nonché le competenze da certificare, valutazione
affidata ai docenti (genericamente citati, senza alcun riferimento alla collegialità
della loro organizzazione), con le “precisazioni” di ruolo rispetto
al tutor (non certo nella direzione del riconoscimento della parità di
tutti i docenti e della condivisione della responsabilità, elementi fondanti
rispetto ad una con titolarità reale e non solo dichiarata ), contenute
nell’art 7 del D. LVO 59/2004.
La verifica periodica e sistematica delle conoscenze e delle abilità
degli studenti nonché della qualità complessiva dell’offerta
formativa di ciascuna istituzione scolastica è, invece affidata all’INVALSI.
Dal complesso dei testi normativi non emergono significati espliciti di alcune
locuzioni –chiave (apprendimenti; comportamenti; competenze; conoscenze;
abilità; qualità dell’offerta formativa) e soprattutto mancano
i nessi di correlazione tra tali locuzioni.
Risulta peraltro tutto da indagare “il problema della certificazione delle
competenze che si connette alla definizione degli standard (di scuola ? Territoriali?
Nazionali?) ed alla particolare accezione di competenza (utilizzo consapevole
di conoscenze e abilità in uno specifico contesto culturale e professionale)
presente nei documenti ministeriali. In essi il concetto di competenza (e di
port folio) non sembra compatibile con il concetto di standard di apprendimento
(misurabile con prove oggettive). In sostanza resta aperto il problema del rapporto
tra personalizzazione e criteri oggettivi di valutazione (Cerini, Spinosi, 2004)
L’individuazione degli oggetti e dei soggetti di valutazione, fin qui
accennata, rimanda in ogni caso ad un modello di scuola centrato sui risultati
piuttosto che sui processi, modello che rischia di indurre alla semplificazione
della complessità piuttosto che alla sua valorizzazione come elemento
di rinforzo dell’identità dell’istituzione scolastica.
“Guardare il sistema scuola con la chiave interpretativa della sfida della
complessità significa prendere atto della natura probabilistica della
relazione attorno alla quale ruotano tutte le attività e tutti i processi
che in essa si sviluppano. Si insegna, affinché si impari. Ma cosa succeda
veramente in una situazione di insegnamento/ apprendimento non è del
tutto conoscibile né predeterminabile con gli strumenti della razionalità
umana.Certo il nesso tra insegnamento e apprendimento può e deve essere
progettato esplicitamente e l’azione degli operatori scolastici va diretta
alla realizzazione di risultati specifici. Ma questi, pur desiderati, auspicati
e previsti, intenzionalmente perseguiti non possono essere deterministicamente
dati per scontati in quanto gran parte dei fenomeni che incidono su di essi
avvengono secondo logiche che sfuggono a tentativi di controllo progettuale
e valutativo. “ (Romei, 1994)
Per questo la scuola non può essere valutata unicamente sulla base dei
risultati di apprendimento degli studenti e meccanismi di valutazione, basati
su indicatori di uscita, per di più gestiti con servizi “esternalizzati”,
rischiano di avere sugli operatori scolastici effetti perversi.
Ulteriori spunti di riflessione ed interrogativi sul quadro normativo citato
vengono dalle teorie dell’organizzazione che sottolineano la presenza
nell’istituzione scuola di zone, processi, corsi di azione caratterizzati
da legami deboli ovvero forti ma allentati (Weiss, 1988).
L’accettazione di questa caratteristica consente di prefigurare un governo
dell’organizzazione in cui il controllo è ritualizzato solo per
gli aspetti formali mentre la costruzione di indicatori plausibili di controllo,
diffusamente percepita come compito collettivo ricco di ostacoli, diventa impraticabile
in presenza di finalità vaghe e non condivise, interpretabili solo su
base personale.
E come non riconoscere il carattere di vaghezza alle formulazione delle finalità
della scuola primaria contenute nell’art 2 della L 53/003 e nell’art
5 del D.LVO 59/004?Come non ipotizzare che il richiamo alla strumentalità
di base come scopo ultimo di questo segmento di sistema, se non correttamente
interpretato e contestualizzato, possa contribuire a disperdere il ricco patrimonio
di ricerche, pratiche didattiche e metodologie legate ai Programmi del 1985
ed al concetto di alfabetizzazione culturale? (Cerini, Spinosi,2004)
Come non rilevare la stessa indeterminazione linguistica, foriera di pericolose
distorsioni, nella locuzione “unità di apprendimento”citata
dalle Indicazioni Nazionali per i piani di Studio Personalizzati come strategia
di progettazione che rende possibile la personalizzazione dei percorsi formativi?
“UNITA’ e APRRENDIMENTO non sono termini nuovi per chi lavora nel
mondo della scuola. In quanto unità, cioè segmento del percorso,
debbono la loro origine all’idea di programmazione e quindi all’idea
che il processo didattico di insegnamento/apprendimento, come processo finalizzato
a risultati preordinati, debba essere proposto in modo articolato, razionale
e sistematico.
In quanto centrato sull’apprendimento si richiamano a tutto il dibattito
che ha fatto registrare uno spostamento dell’interesse teorico e della
ricerca dall’oggetto di apprendimento al soggetto che apprende, focalizzando
l’attenzione sul pensiero e sui suoi processi, dibattito che, in anni
recenti si è arricchito di nuove prospettive:
? l’idea della costruzione sociale della conoscenza,
? lo studio degli stili cognitivi;
? la riflessione sugli aspetti emotivo/affettivi dell’apprendimento;
? la ricerca sulle abilità metacognitive.
L’apprendimento è insomma visto oggi come un processo complesso
e multidimensionale in cui si integrano e si completano varie teorie ed approcci
rispetto ai quali la locuzione utilizzata dalle Indicazioni Nazionali contiene
elementi di vaghezza e di non sufficiente ancoraggio teorico, elementi che danno
l’impressione di una ricerca forzata della “novità”
che lascia agli insegnanti il compito di sbrigarsela da soli “ (Loiero
2004)
Stesse considerazioni valgono per altre locuzioni, a cui viene dato un valore
particolare rispetto al cambiamento che si vuole attivare, prima fra tutti la
PERSONALIZZAZIONE, vero leit motiv della riforma, soprattutto considerata nei
suoi rapporti con l’INDIVIDUALIZZAZIONE, rapporti peraltro strettamente
connessi con atti e procedure valutative.
“Il principio di individualizzazione, fortemente radicato nella realtà
scolastica italiana, si è tradotto nella ricerca di strategie didattiche
finalizzate a garantire a tutti il raggiungimento delle competenze fondamentali
attraverso la diversificazione dei percorsi di apprendimento per far sì
che certi traguardi siano alla portata di tutti… Dietro alla personalizzazione
c’è invece un approccio all’insegnamento che tiene conto
delle caratteristiche degli allievi per aiutare ciascuno a svilupparsi secondo
le proprie personali differenziate possibilità.
Come non riconoscere nell’insistenza sulla personalizzazione un modello
di scuola che organizza gli apprendimenti attraverso un servizio a domanda individuale
in cui l’opzionalità e la facoltatività non portano all’uguaglianza
delle opportunità educative ma sono destinate a consolidare le differenze
di classe …Dietro l’enfasi della personalizzazione sembra annidarsi
il rischio di elitarismo ove essa si adagiasse ed indugiasse sul culto e la
coltivazione dei talenti personali di studenti particolarmente dotati o socialmente
favoriti e tralasciasse di intensificare la qualità e la quantità
degli interventi a favore di chi ha recuperare e/o compensare situazioni svantaggiose
di partenza“ (Loiero, 2004)
Ma proprio quest’ultima riflessione rimanda all’interrogativo iniziale
sulla reale portata innovativa dei testi sulla riforma della Scuola, relativamente
alla voce Valutazione, per arrivare alla provvisoria conclusione che tutte le
parole “nuove”, accreditate dal corpus normativo, contengono rischi
di pericolose regressioni, che il mondo della scuola pensava di avere definitivamente
sventato.
TESTI CONSULTATI
Aavv, lessico della riforma, annali dell’istruzione, n 4/5 2002
Aavv, attuazione della riforma, notizie della scuola n 15/2004-08-25, tecnodid
ARMONE- R Visocchi, l’azione amministrativa dell’istituzione scolastica,
in Notizie della scuola n 23/2004, tecnodid
G. Domenica, Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Bari, 94
R. Melchiori, Ads il laboratorio della valutazione, F. Angeli, Mi,2002
P. Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia; FI, 94
Vedi anche: personalizzazione,
valutazione
(didattica)