LENTEZZA
Laila Scorcelletti, maestra a Velletri, Roma
La parola LENTEZZA, deriva dal latino lentus. Consultando il
vocabolario è possibile verificare che , a tale termine, corrispondono
questi vocaboli: lento, tardo,pigro, flessibile, paziente…
Nella lingua italiana tale termine, per l’immaginario collettivo ha spesso
assunto, genericamente, una connotazione di giudizio negativo nei confronti
delle azioni prodotte dall’uomo.
In questa sede, vorrei proporre una riflessione sugli aspetti positivi che,
in tale periodo storico, possono accompagnare il valore intrinseco della parola
in questione.
Intendo qui evidenziare come il significato che viene attribuito alla parola
LENTEZZA da un determinato contesto culturale, è direttamente proporzionale
al frenetico incalzare dei ritmi che lo connotano.
In altre parole, più il vortice della fretta si accampa nell’organizzazione
capillare di una comunità e più viene “tacciato” di
lentezza anche chi tenta il difensivo recupero di una dimensione che rispetti
i diritti umani.
Voglio rappresentare la lentezza (L), nel significato inverso della velocità,
come il rapporto tra l’UNITA’di TEMPO stabilita (UT) ed il numero
delle azioni (NA) che l’individuo riesce a svolgere in tale unità:
L = UT / NA
Più il quoziente di tale rapporto è alto e più la persona
risulta lenta.
In termini produttivi ogni sistema sociale, sia nella sua accezione più
ampia (l’organizzazione di un popolo in base alla cultura e alla tradizione),
che in quella più ristretta (l’organizzazione di un’azienda,
di una comunità, di una famiglia…) codifica un valore ottimale
dell’elemento NA, rispetto al quale impone richiesta, esplicita o implicita,
di adeguamento. Più è alto tale valore e più una persona
che tende a difendere la sua normalità può essere “ accusata”
di lentezza.
I livelli di sofisticazione dei sistemi produttivi alzano di molto il NA a discapito
dell’equilibrio psicofisico dell’individuo. Troppo spesso il valore
di NA viene individuato ai limiti della tutela del diritto alla salute. Il sintomo
inequivocabile di ciò è il salire del livello dell’ansia.
In questi casi, generalmente, l’adulto sviluppa una sindrome lavorativa…il
bambino, invece, può ancora essere in grado di utilizzare utili strategie
difensive: quando il NA che gli viene richiesto in una UT calpesta la soglia
della sua capacità di adattamento, egli , con un gesto di “ammutinamento”,
non riconosce la prescrittività del valore attribuito a tali elementi.
E pertanto procede o diminuendo il valore di NA o aumentando quello di UT, il
risultato è, comunque, che il quoziente L di tale rapporto si alza.
Nella struttura scolastica, tutto ciò ha una sua connotazione ben precisa.
In una forma sempre più coercitiva, circolari, decreti, riforme, contratti,
…uniformano il linguaggio di tale sistema a quello delle organizzazioni
aziendali.
Gradatamente assistiamo ad un processo di involuzione culturale attraverso il
quale la progettazione, la didattica e la verifica mirano alla produttività
del sistema scolastico a discapito dell’autentica formazione.
Una scuola che privilegia la formazione riconosce un ampio margine di flessibilità
ai valori attribuibili al dividendo (UT) ed il divisore (NA) rispettando i ritmi
ed i tempi dell’alunno.
Uno scuola che mira alla produttività definisce rigidamente entrambi.
A questo punto il bambino può utilizzare due percorsi:
- l’ adattamento forzato alle richieste rischiando una nevrosi produttiva,
già ampliamente diffusa nei suoi modelli adulti di riferimento;
- la lentezza, quale strumento difensivo a tutela della sua salute mentale.
Vedi anche: anticipo,
aziendalizzazione
della scuola, tempo,
tempo pieno,